Chatgpt.com è ormai al quinto posto nella classifica Similarweb dei più seguiti siti al mondo, quella da sempre dominata da Google, YouTube e Facebook.
Le implicazioni per chi ha fatto dell‘online il proprio business, o anche, semplicemente, per chi usa il proprio sito come importante mezzo di comunicazione e fonte di monetizzazione, sono potenzialmente devastanti.
In questo articolo cerchiamo di analizzarle e proporre qualche misura palliativa.
Sintesi
ChatGPT.com è ormai al quinto posto tra i siti più visitati al mondo, secondo Similarweb, con un aumento del traffico dell’11% negli ultimi tre mesi (altri portali hanno invece registrato mediamente un calo del 2,5%).
Un successo che evidenzia il crescente ruolo delle intelligenze artificiali generative, che fungono ormai da interlocutori capaci di rispondere a domande complesse e condurre ricerche web, assorbendo contenuti e scoraggiando gli utenti a cliccare sulle fonti originali.
Una tendenza che rappresenta una grave minaccia per gli editori, poiché riduce il traffico verso i siti tradizionali, compromettendo le entrate pubblicitarie.
Per sopravvivere, gli editori devono ripensare il loro modello di business, esplorando collaborazioni dirette con piattaforme AI, creando contenuti premium difficili da sintetizzare o integrando chatbot personalizzati nei propri siti.
In Italia, ChatGPT.com è all’undicesimo posto ma in crescita, suggerendo un’adozione più cauta rispetto agli USA.
Ma tecnologie come NLWeb potrebbero accelerare questa trasformazione, obbligando gli editori a rinnovarsi rapidamente per evitare la dipendenza dal traffico web tradizionale.

ChatGPT nell’olimpo dei siti
C’è un solo sito tra i primi 10 al mondo che ha visto un aumento del traffico negli ultimi tre mesi. E non si tratta di un motore di ricerca o di un nuovo social network: parliamo di una intelligenza artificiale. Segnatamente la più famosa: ChatGPT.
Quinta posizione
ChatGPT.com si trova infatti oggi alla quinta posizione in base alla classifica di Similarweb, con un aumento nel periodo di riferimento (ultimo trimestre) oltre l’11%. Il tutto a fronte di una perdita media del 2,5% da parte di tutti gli altri portali.
Una buona notizia?
Potrebbe sembrare una buona notizia per chi ha una testata online, sia essa un quotidiano classico o un sito di informazione: ecco una nuova fonte di traffico per i nostri contenuti.
Probabilmente no
Ma la realtà è (almeno in prospettiva) all’opposto, in modo potenzialmente catastrofico per gli editori.
ChatGPT.com
ChatGPT.com è ovviamente il sito che ospita ed eroga la versione consumer, interattiva dell’intelligenza artificiale generativa basata sulla famiglia di modelli di linguaggio (LLM) GPT-4.5.
Prima di andare ad approfondire quanto appena esposto è dunque opportuna una breve digressione per ricordare di cosa si tratta.
Non un motore di ricerca
ChatGPT, come le altre AI generative (cioè studiate per generare contenuti inediti sotto forma di testo scritto, audio, immagini o video), non è un motore di ricerca: si può usarlo, ma si tratta di un sistema differente.
Quando lo si utilizza per singole richieste spot, magari con due parole chiave come da decenni si fa con Google, può dare risultati sorprendenti.
Esperienze
Come è accaduto, ad esempio, ai tanti operatori radiofonici che hanno condiviso sui social i risultati deludenti delle loro richieste riguardanti la (propria) biografia formulate al sistema.
Come persone
Questi chatbot vanno invece considerati come persone: occorre dialogare al pari di un umano, ponendo domande chiare, anche molto complesse. O dando compiti specifici. E, in ogni caso, eccellono quando si iniziano vere e proprie discussioni dove entrambe le parti interagiscono.
Il punto critico
Ed eccoci al punto critico.
Non sarà sfuggito a molti il fatto che, da pochi mesi, queste AI, che precedentemente affermavano di avere una conoscenza limitata ad una determinata data (detta cutoff date) e quindi di ignorare i fatti recenti, sono ora in grado di lanciare ricerche web.
Ribaltamento della prospettiva di utilizzo
In pratica, se serve, sono loro a utilizzare Google: basano la propria risposta su quanto trovato, ma non producono né testi né link originali.
Un caso reale
Poiché non ci piace parlare solo in teoria, abbiamo deciso di fare un esempio pratico, da tutti replicabile. I lettori ci perdoneranno se per spiegare nel dettaglio prendiamo questo articolo sui videodischi.
Osserviamo attentamente la seguente interazione:
Il problema delle fonti
In questo esempio l’utente fa una domanda molto specifica, citando un modello di videodisco “oscuro” di cui si parla in pochissimi articoli in rete (anzi, in realtà sospettiamo solo in quello d’origine.)
ChatGPT risponde correttamente, dopo averci pensato su (“chain of thought“) nella parte inclusa tra i metatag <think>.
Quale articolo?
Ma il punto è: il bot dice testualmente “…citato proprio nell’articolo”. Quale articolo? Siamo sicuri si tratti di quello originario, ma non abbiamo in questo caso link attivi. Nessuna speranza di ricevere un click da questo utente.
Riproviamo
Non ci perdiamo d’animo e riproviamo…
Terzo tentativo
A questo punto, dopo averci con convinzione indirizzati al sito delle teche RAI, al terzo tentativo, otteniamo finalmente il desiderato link:
Un riassunto vintage
Ma attenzione: ChatGPT non manda l’utente al sito, proponendo invece di riassumere o leggere un estratto dell’articolo, per giunta in tono ironico e vintage.
Il punto
E questo è il punto: vero, c’è il link e forse qualcuno deciderà di utilizzarlo; ma riteniamo che molti accetteranno invece la proposta di “riassunto” o la lettura dell’estratto, magari proprio per godersi la lettura ironica.
Niente click
In nessuno dei due casi, in sostanza, l’utente finirà sul sito ospitante l’articolo e dunque in nessuno dei due casi sarà esposto ai relativi banner pubblicitari.
Chi manda il traffico?
Ok, il sito avrà avuto in qualche momento del passato un click, un accesso, proprio da parte del bot di OpenAI che “leggeva” l’articolo per alimentare la AI.
Ma sospettiamo che il bot fosse poco interessato alla nostra pubblicità e comunque che non abbia proceduto ad alcuna “conversion“.
Tendenza preoccupante
Abbiamo detto che ChatGPT.com cresce e tutti gli altri siti (incluso Google) arretrano: l’AI generativa sta dunque assorbendo il contenuto del web, diventando il punto di accesso principale per gli utenti, a scapito dei siti tradizionali, inclusi quelli editoriali.
NLWeb
E – aggiungiamo per inciso e si tratta di una notizia decisamente recente – tecnologie come NLWeb rischiano di velocizzare il fenomeno. Ci riproponiamo di tornare su NLWeb appena lo avremo sperimentato direttamente.
USA vs Italia
Gli editori europei hanno probabilmente un po’ più tempo di quelli USA: la cultura del vecchio continente ci porta infatti ad adottare le novità con una certa cautela (quando non a diffidarne) e questo è evidente anche dal ranking di ChatGPT.com in Italia: solo all’undicesimo posto (ma in crescita, e ormai avanti a nomi importanti quali gazzetta.it o mediaset.it).
Quanto è grave la perdita?
Un importante indicatore viene da Cloudflare: il rapporto tra le pagine web indicizzate da Google ed i visitatori inviati ai siti, è passato da 2:1 dieci anni fa a 15:1 negli ultimi sei mesi. Ciò conferma che le piattaforme IA stanno estraendo enormi quantità di contenuti senza reindirizzare un numero significativo di utenti ai siti originali.
75% delle query restano nella IA
A livello globale, il 75% delle richieste che avrebbero generato accessi diretti viene ora risolto su chatGPT e concorrenti, senza che gli utenti visitino le fonti.
Ripensare il modello di business
Molti analisti sostengono dunque che per sopravvivere in questo nuovo ecosistema digitale le pubblicazioni debbano abbandonare la dipendenza dal traffico web tradizionale (e dall’attenzione maniacale al SEO) e trovare modi per integrarsi direttamente con le piattaforme IA.
Questi dunque alcuni suggerimenti.
Collaborazioni dirette
Le pubblicazioni possono fornire contenuti esclusivi direttamente a piattaforme come ChatGPT, Claude, Gemini o Perplexity, che li integrano nelle risposte agli utenti. Questo modello potrebbe permettere di raggiungere il pubblico tramite i chatbot, con accordi di condivisione dei ricavi pubblicitari o da abbonamenti.
No country for small sites?
Ma ovviamente il punto debole è la poca speranza dei piccoli editori di arrivare ad accordi (o anche semplicemente di essere presi in considerazione) da/con i colossi delle IA. Finora infatti queste retrocessioni di ricavi hanno riguardato una schiera ridottissima di grandi editori.
Contenuti premium
Le pubblicazioni potrebbero puntare su formati unici, come storie multimediali o interviste esclusive difficili da sintetizzare per l’IA. In altre parole, l’originalità del contenuto dovrebbe permettere di differenziarsi dalla tendenziale uniformità di quelli creati dalle varie IA (che tendono a essere apparentemente sopra le parti, per così dire “buoniste”, e a non offrire mai il fianco a critiche da una o l’altra delle parti).
Diventare se stessi un ChatBot
L’ultima idea è di incorporare nel proprio sito un ChatBot che risponda in modo più efficace e puntuale rispetto a quelli generici. In altre parole, i siti potrebbero ospitare IA capaci di interagire come i migliori modelli, ma dove la conoscenza interna è limitata a quella che gli editori decidono di fornire.
Una AI “trainata“ dagli editori
Una sperimentazione in questo senso è disponibile a questo indirizzo, tramite la tecnologia di una società al 100% italiana. Come sempre il modo migliore per comprendere quanto andiamo scrivendo è provare in prima persona, cosa che invitiamo tutti i lettori a fare fin da subito.
Conclusioni
Tra pochi anni nessuno dei siti editoriali così come li conosciamo oggi potrà sopravvivere con il classico business model del SEO, dei link e delle keywords. Occorre pensare rapidamente a un riposizionamento strategico, sperimentando senza timore le varie strade percorribili. (M.H.B. per NL)