Il futuro (commerciale) della radio

Nelle aree demograficamente piu rilevanti ed economicamente più ricche si assiste ad un inaspettato (per i meno accorti) fenomeno


Trenta, venti o anche solo dieci anni fa, se qualcuno vi avesse detto che a Milano non ci sarebbero state più radio locali, non vi sarebbe stato dubbio che la sua credibilità, ai vostri occhi, sarebbe precipitata ai minimi termini. Oggi, invece, quel tale lo ammirereste come un guru mediatico e a lui probabilmente vi rivolgereste per vaticini.
Cosa è successo, quindi?
E’ accaduto che nelle aree meno popolose o più disagiate, sotto il profilo economico, le radio locali sono sopravvissute (seppur lo sterminio o, meglio, la selezione naturale non abbia lasciato indenne nessuna terra italica…) mentre in gran parte delle metropoli del nord Italia i superstiti si contano spesso sulle dita di una mano (è il caso di Milano, ma anche di Varese, Como, Mantova, Cremona, per rimanere in Lombardia).
Non è contraddittorio tutto ciò? Dove ci sono maggiori risorse economiche le emittenti cedono le armi, mentre dove le terre sono pubblicitariamente misere sopravvivono?
La risposta non è unica, ma costituita, come sempre, da un coacervo di cause.
In primo luogo, la globalizzazione mediatica e la perdita d’identità locale delle popolazioni metropolitane ha fatto sì che il prodotto editoriale locale perdesse di appeal. In una città come Milano, in cui non è certo raro che non si conoscano gli inquilini del proprio piano, non stupisce il progressivo disinteresse per un’emittente fortemente caratterizzata sul piano areale. Vero è anche che le emittenti locali poco hanno fatto per contrassegnarsi, ritagliandosi una nicchia, anche se gli esperimenti in tal senso non sono mai stati premiati (ne è l’esempio principe il progetto Radio Milano Uno del gruppo Sugar), così da scoraggiare qualsiasi tentativo d’investimento.
Non che per i giornali vada meglio, sicché non pare nemmeno onesto addossare la croce ai soli editori radiofonici.
Se la cavano un po’ meglio le tv, ma quello, si sa, è sempre stato un mondo a parte.
Ad ogni modo, per tornare sull’argomento in titolo (alle motivazioni sociali, politiche, economiche, tecniche e culturali dell’estinzione delle radio locali abbiamo dedicato ampio spazio nelle scorse settimane), si osserva che la nuova configurazione dell’etere della Lombardia (ci si perdoni il costante riferimento a questo territorio, ma crediamo che oggettivamente nessuno possa contestare che esso è da sempre il laboratorio della radiofonia italiana, sicché è giocoforza il luogo ideale per sondarne le tendenze) sta alterando principi commerciali cardine del settore, un po’ come è successo tempo fa in ambito nazionale.
A riguardo, si ricorderà che nei primi anni ’90 la tendenza delle radio nazionali era ancora quella di aggregarsi a carrozzoni per essere (apparentemente) meglio vendute all’inserzionista di grande levatura, così come del resto accadeva (ed accade) alle radio locali per la pubblicità nazionale.
A contrapporsi a questa scelta furono da subito (e praticamente da sempre) Alberto Hazan (editore di Radio 105 e RMC) e Lorenzo Suraci (editore di RTL 102,5), imprenditori che capirono l’importanza delle “concessionarie captive”, create ad hoc per valorizzare la singola identità editoriale.
Come spesso accade, quella che era una acuta lungimiranza, veniva guardata con indifferenza, con sospetto o addirittura con malcelata ironia da quei concorrenti che qualche decennio dopo avrebbero percorso la stessa strada (magari autocelebrandosi per la scelta, in maniera un po’ ridicola…).
Invero, quegli editori avevano capito prima di tutti che la radio non era il vagone, ma la motrice del treno della pubblicità…
Il futuro era già chiaro nella loro mente: presto o tardi non sarebbero state le radio a stazionare davanti alle porte degli inserzionisti (o dei centri media), ma il contrario.
E’ noto che la lenta maturazione del fenomeno lo ha portato a concretizzarsi pienamente nel primo quinquennio del nuovo millennio.
Ora, i primi segnali mostrano una riproposizione dell’evento su scala superlocale (propedeutica ad un’estensione locale): l’avreste mai detto che ci sarebbero state più concessionarie (e/o venditori) di pubblicità che emittenti da vendere?
In Lombardia, dopo gli ultimi avvicendamenti editoriali, è infatti già caccia alle emittenti di punta da inserire nel carnet di quelle che si propongono come i nuovi competitori sul mercato pubblicitario maxiareale.
Come al solito, lungimirante il questo senso è stato Loriano Bessi, che è attualmente il maggior editore locale della Lombardia, con un volume di ascolti insuperato, determinato dalla contemporanea presenza di marchi quali Radio Cuore (e Cuore 2), Gamma Radio, Radio Reporter e Radio Fantastica.
Media Hit Local (www.mediahitlocal.it) ne é la nuova formidabile macchina da guerra, che ha quali guerrieri personaggi di spicco della pubblicità radiofonica nel nord Italia.
Ma anche altre strutture commerciali si sono organizzate all’uopo: la milanese Radio Millennium (interessata da una significativa espansione attuata a pochi anni dalla nascita, in controtendenza con l’involuzione generalizzata del settore) è uno degli esempi più vivaci di euforia commerciale. Dopo un periodo di outsourcing nella raccolta, Millennium si è dotata di una rete vendita interna creando una concessionaria captive così consolidata da aver la necessità di raccogliere pubblicità anche per altre emittenti.
Nel bergamasco e nel bresciano esistono importanti centri di raccolta di pubblicità locale; la più quotata è l’AGP (Agenzia Generale Pubblicità www.agp.it) del gruppo Number One alla quale fanno riferimento oltre ovviamente a Radio Number One, anche Radio Bergamo, Radio Millenote e Videobergamo.
Questi pochi esempi bastano a rappresentare quello che – ricalcando ciò che è avvenuto nel nazionale – sarà il percorso della radiofonia locale di qualità italiana: forti emittenti locali (magari appartenenti a medesimi gruppi editoriali) dotate di efficienti strutture commerciali interne o legate saldamente a concessionarie esterne monomandatarie.
I principali analisti settoriali lo vanno ripetendo da dieci anni (o più): la maturità del mercato pubblicitario italiano coinciderà con la riduzione del numero delle emittenti, in quanto esso (mercato) non potrà sostenere (dignitosamente) più di 300 emittenti commerciali di significativo spessore, circa una ventina di soggetti nazionali a vario titolo (reti e syndication) ed una cinquantina di superstation (a corollario, gli advisor stimano la presenza in un etere consolidato di circa 500 tra microemittenti commerciali e stazioni comunitarie).
A occhio e croce, quasi ci siamo.

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