(ASCA) – Roma, 16 giu – Secondo un copione che ormai si ripete identico ogni volta che il tema delle intercettazioni viene affrontato a livello politico, si e’ levato un coro unanime in nome della liberta’ di stampa, che ha coinvolto addirittura organismi internazionali, pronti a lanciare un monito contro la minaccia dell’autonomia dei giornalisti italiani.
Il problema delle intercettazioni disposte dalla magistratura e della loro pubblicazione sui giornali, in realta’, ha sicuramente dei risvolti che possono riguardare il rispetto della liberta’ costituzionale di espressione, ma ancor prima, almeno per quanto riguarda l’Italia, tocca da vicino una delle caratteristiche peculiari del nostro sistema dell’informazione, quello della tradizionale contiguita’ con i circuiti del potere.
In questione, in tal caso, non e’ tanto il diritto alla pubblicazione dei risultati delle intercettazioni e le eventuali sanzioni contro giornalisti ed editori, quanto il fatto che i testi delle intercettazioni giungano alla stampa attraverso meccanismi poco trasparenti, attraverso mani compiacenti, in momenti particolari (o che lasciano l’impressione d’essere particolari) o con modalita’ e tempistiche tali da apparire troppo spesso strumentali. Sono meccanismi, beninteso, che non riguardano solo l’informazione giudiziaria. Analoghi fatti caratterizzano l’informazione economica (basti pensare all’abbondanza dei casi di aggiotaggio), quella politica, ma anche, piu’ banalmente, quella della moda, del gossip, dello spettacolo.
La contiguita’ con il potere, che diviene cosi’ la prima fonte di informazione, assume pero’ rilievo piu’ pregnante quando di mezzo c’e’ un procedimento giudiziario. Mentre, infatti, in tutti gli altri settori di informazione il giornalista ha sempre modo di condurre proprie indagini, acquisire informazioni da piu’ fonti e riequilibrare cosi’ quelle eventualmente ricevute in maniera non del tutto disinteressata, quando di mezzo c’e’ un procedimento giudiziario il segreto istruttorio costituisce un argine definitivo, superando il quale si commette reato. Le fughe di notizie, insomma, finiscono per essere riservate solo ad alcuni e non hanno possibilita’ di riscontro. E che qualcosa in questo circuito sia viziato, lo dimostra il fatto che in tanti anni di intercettazioni e di pubblicazioni piu’ o meno discusse di documenti coperti da segreto istruttorio, non e’ mai sinora avvenuto che qualcuno sia stato imputato, ne’ tantomeno condannato, per aver consegnato alla stampa le trascrizioni.
Il problema dunque oggi, sotto il profilo della liberta’ di informazione e al di la’ della normativa che si vorra’ applicare alla materia, e’ quello di ripristinare il diritto all’accesso alle fonti, ristabilendo criteri di reale concorrenza tra gli organi di informazione. Un’ipotesi provocatoria, una volta stabilito cosa delle intercettazioni va distrutto, potrebbe essere quella di rendere pubblici i documenti restanti con atto formale del magistrato che conduce l’indagine, mettendo tutta la stampa sullo stesso piano ed evitando cosi’ ”scoop” strumentali: trattare, insomma, quei documenti come dati, ne’ piu’ ne’ meno come quelli diffusi dall’Istat. E sull’indice dei prezzi al consumo non si fanno ”scoop”.