Mastella vuole bloccare “Il capo dei capi”, Fava non ci sta: fiction non diseducativa, realtà più complessa di come si immagina

Dopo il caso de “La vita rubata”, Mastella attacca la fiction di Canale5. Si scatena anche una controversia tra i sindaci di Corleone e Gela


Andrebbe sospesa perchè manca quell’aspetto educativo che rimanda ai valori di una società sana. Il capo dei capi è un farabutto. Non credo si possa battere la mafia se non crescono i valori nella società. Quando si inneggia a un camorrista, a un mafioso, questo mi spaventa”. Con queste parole il ministro di Grazia e Giustizia, Clemente Mastella, aveva chiesto appena pochi giorni fa il blocco della messa in onda della fiction di Canale5, “Il capo dei capi”, dedicata alla vita di Totò Riina. L’affermazione non arriva certo nel momento migliore. Il tempistico ministro, infatti, pochissimi giorni prima, si era fatto portavoce della richiesta del gip di Messina, Alfredo Sicuro, di bloccare un’altra fiction (“La vita rubata”), questa volta della Rai, dedicata alla memoria di Graziella Campagna, uccisa 17 anni fa dalla mafia perché testimone involontaria di un omicidio. Il perché di questa scelta risiede nel fatto che il prossimo 13 dicembre ci sarà il processo di secondo grado contro i presunti assassini. Cosa che potrebbe anche mutare l’avvicendarsi dei fatti e, quindi, anche della narrazione. Dopo un iniziale rinvio a data da destinarsi, comunque, l’accordo è stato trovato: ha annunciato Cappon, infatti, che la prima puntata della fiction sarà trasmessa il 24 febbraio e la polemica si è spenta. Mastella, però, ha subito trovato il modo per accenderne un’altra, chiedendo che sia fermato lo sceneggiato su Riina, già in onda da alcune settimane, in attesa dell’ultima puntata. Sarebbe diseducativo, secondo il suo modo di vedere. Non la pensa così, invece, Claudio Fava (foto), uno degli sceneggiatori de “Il capo dei capi”. Fava, che oltre ad essere uno sceneggiatore è anche un europarlamentare Ds, è figlio di Giuseppe Fava, che nel 1984 fu ucciso a Catania da sicari di Cosa nostra. “Non è un film western con buoni circondati da un’aura di santità e cattivi rozzi e stupidi – sostiene Fava, in difesa dello sceneggiato – i mafiosi vanno descritti per come sono, cercando di capire che esiste anche una seduzione del male, con capacità di agganciare anche l’anima dei ragazzini. Ma questo va raccontato insieme con le contiguità e le complicità di cui hanno goduto”. Lo sceneggiatore non ritiene che lo sceneggiato mitizzi la figura di Riina ed, anzi, contrattacca: “La realtà è molto più complessa di come vorrebbe immaginarla qualcuno”. Poi, in ultima istanza, sferra un attacco personale al ministro ed alla classe politica nella quale politicamente si è forgiato: “C’è una frase chiave […] di un poliziotto: In Sicilia se parli di mafia, parli di Dc. E se parli di Dc, parli di Chiesa. Ecco perché non potremo mai fare la lotta alla mafia”. La questione, intanto, si è spostata anche nelle aule dei consigli comunali siciliani. Di due in particolare: quello di Corleone e quello di Gela. Antonino Iannazzo (centro-destra), sindaco del paesino in provincia di Palermo dove si fa risalire la genesi dell’organizzazione criminale mafiosa, attacca le dichiarazioni di Mastella, accogliendo in piazza Daniele Liotti (che nella fiction interpreta un poliziotto buono alla caccia del boss) come “risposta a chi dice che i giovani si riconoscono in Riina”. Il collega Rosario Crocetta, eletto nelle file dei Comunisti italiani di Diliberto, che da anni lotta in prima fila contro il racket, dà ragione al Ministro: “La fiction favorisce i processi di identificazione nei confronti di un barbaro criminale mafioso come Riina”. (Giuseppe Colucci per NL)

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