Media. Crollo del traffico da Google, siti degli editori in caduta libera. La I.A. cambia le regole del gioco e il SEO diviene ininfluente

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Un articolo pubblicato il 10 giugno 2025 sul Wall Street Journal ci spinge a tornare su un argomento scottante: il crollo del traffico da Google e le conseguenti gravi difficoltà dell’editoria online nell’era della I.A. generativa. Una condizione che stanno cominciano a registrare tutti i siti.
Ciò necessita di approfondimento in quanto, peraltro, la situazione è anche più grave di quella da noi descritta qualche settimana fa e riteniamo importante comprendere come gli USA stiano vivendo oggi quello che in Europa vedremo a breve e quali siano le dimensioni del fenomeno.

Sintesi

Il traffico da Google per i principali editori americani è crollato di oltre il 50% in tre anni, secondo i dati di SimilarWeb. L’introduzione di AI Overview e della modalità I.A. trasforma Google da motore di ricerca a “motore di risposte”, minacciando il modello di business tradizionale dell’editoria online.
Business Insider, Washington Post e altre testate hanno visto dimezzati i visitatori mentre Google privilegia risposte dirette e conversazioni I.A. rispetto ai link tradizionali.
La causa principale è identificata nell’evoluzione di Google verso un sistema di answer engine piuttosto che search engine tradizionale, accelerata dall’introduzione di AI Overview nel 2024 e della modalità I.A. conversazionale nel 2025.
Queste funzionalità forniscono risposte dirette agli utenti senza necessità di visitare i siti web originali, riducendo drasticamente il traffico verso gli editori.
Il fenomeno colpisce trasversalmente il settore: da The Atlantic, che ha dovuto assumere un approccio di evoluzione del modello di business, al New York Times, che vede scendere la quota di traffico da ricerca organica dal 44% al 36,5% tra il 2022 e il 2025. Anche gruppi consolidati come Dotdash Meredith vedono ridursi il contributo di Google dal 60% a un terzo del traffico totale.
La risposta degli editori include diversificazione verso newsletter, contenuti premium, audience dirette e nuove fonti di ricavo, mentre si prepara quello che molti CEO definiscono “l’era post-ricerca” dell’editoria digitale.

Brave Search

Per comprendere a fondo il problema partiamo da un esempio.
Grazie (si fa per dire) alle regole della Unione Europea, Google AI mode non è ancora disponibile in Italia, ma possiamo facilmente osservare un sistema equivalente in funzione, tramite il motore di ricerca di Brave. Un esempio che tutti possono replicare in prima persona.

L’Unione Europea (non) dixit

Come mai Brave non è soggetto ai lacci e laccioli imposti dall’Unione Europea? Nessuno ha la risposta, ipotizziamo che semplicemente i burocrati europei non lo conoscano e dunque lo ignorino e conseguentemente lo abbiano momentaneamente trascurato.

Un semplice esempio

Veniamo al punto. Proviamo a chiedere a Brave SearchA chi sarà assegnata, nell’ambito del DAB, l’ex rete 12 del digitale terrestre?“, argomento a cui la nostra testata ha dedicato un recente articolo. Ecco quanto accade:

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Risposta esaustiva completa

La risposta fornita dalla I.A. è talmente completa ed esaustiva da rendere praticamente superfluo cliccare su qualunque dei cinque siti dai quali afferma di aver ricavato le informazioni.

SEO Irrilevante

Ed è davvero tutto qui.
Anni di lavoro sul SEO, anni di tentativi di posizionamento nella famosa prima pagina di Google, anni di acquisto di keywords, resi totalmente anacronistici.

Tutto come previsto…

Veniamo all’articolo del WSJ. Si parte dal ricordare come analisti ed esperti di mercato avessero da tempo ammonito l’industria editoriale riguardo ai rischi derivanti dalla dipendenza eccessiva dal traffico di Google.

…o quasi

Ma nessuno aveva previsto la velocità e l’intensità del cambiamento, che ha colto tutti gli operatori impreparati.
Nicholas Thompson, CEO di The Atlantic, ha dichiarato ad esempio che la pubblicazione deve “comprendere che il traffico da Google continuerà a diminuire” e che l’azienda deve “evolvere il proprio modello di business“.

Business Insider, -55%

I dati forniti da SimilarWeb dipingono un quadro allarmante per l’industria. Business Insider ha registrato un calo del traffico da ricerca organica del 55% tra aprile 2022 e aprile 2025, con la conseguenza di dover licenziare il 21% dei collaboratori. Il mese scorso la CEO Barbara Peg ha definito la mossa “necessaria per affrontare i cali estremi di traffico“.

Washington Post, l’era post-ricerca

Il Washington Post, sotto la guida del publisher e CEO William Lewis, vede per parte sua urgente la necessità di “connettersi con audience precedentemente trascurate e perseguire nuove fonti di ricavo“, in preparazione di quella che definisce l’era post-ricerca.

Evoluzione delle modalità di ricerca

Certo, parte del problema nasce dai nuovi chatbot stile ChatGPT, ormai quinto tra i siti più consultati al mondo come illustrato nel nostro precedente articolo.

Da motore di ricerca a motore di risposte

Ma il colpo di grazia lo sta dando l’introduzione da parte di Google di AI Overview, che fornisce riassunti dei risultati di ricerca direttamente nella parte superiore della pagina: esattamente come nell’esempio che abbiamo riportato in apertura dell’articolo.

Competizione ChatGPT – Google

Il lancio negli Stati Uniti della modalità I.A. del mese scorso rappresenta un ulteriore passo verso la competizione diretta con piattaforme come ChatGPT, ritenute, come ricordiamo, una minaccia vitale al business model del motore di ricerca primo al mondo.

Sviluppare nuove strategie

“Google sta passando da motore di ricerca a motore di risposte”, ha dichiarato appunto Thompson nell’intervista al Wall Street Journal. Indispensabile – afferma – sviluppare nuove strategie.

New York Times, -9%

Anche i dati del New York Times mostrano come il cambiamento sia ormai in atto: la quota di traffico proveniente da ricerca organica sui siti da postazione fissa desktop e mobile è scesa al 36,5% ad aprile 2025, rispetto al quasi 44% di tre anni prima.

Ricerche in diminuzione

Un ulteriore segnale a conferma del fenomeno arriva da un’inaspettata testimonianza nel tribunale federale dello scorso mese. Nell’ambito del procedimento sulla presunta violazione della normativa antitrust contro Alphabet, Eddie Cue di Apple ha rivelato che le ricerche Google nel browser del produttore di iPhone erano recentemente diminuite per la prima volta dopo decenni.

Dati affidabili

Apple è in grado di fornire un dato affidabile in quanto il browser nativo di iOS (Safari) contabilizza ogni ricerca, per il semplice motivo che la società riceve una commissione su ogni query effettuata tramite iPhone.

Cambiano le abitudini degli utenti

E poiché l’uso degli iPhone è in crescita (o quantomeno lo è stato fino al 2024), l’unica conclusione possibile è che gli utenti stiano perdendo l’abitudine al modello “Ricerca Google + lettura sito”.

Italia

Gli editori del nostro paese non hanno ancora subito il drastico calo di utenti e ricavi che si è verificato negli USA (anche se iniziano a percepirne il calo da almeno da un semestre). Ma tutte le pubblicazioni per le quali abbiamo accesso diretto alle statistiche mostrano lo stesso trend: referral da Google e da Facebook in calo, stabili quelli da Instagram ed in aumento solo quelli da chatgpt.com.

Bot non interessati ai banner

Ma è un aumento teorico: spesso si tratta di agenti che leggono i nostri siti proprio ai fini di essere in grado di proporre le sintesi. Inutile sottolineare che nel caso di chatgpt.com non tutti gli accessi sono effettuati da umani: spesso sono invece i bot che leggono i nostri articoli, proprio al fine di crearne le sintesi. Naturalmente i banner serviti a questi bot non possono generare valore, né per gli inserzionisti, né per i siti stessi.

Che fare?

La portata del cambiamento emerge chiaramente dai commenti degli stessi protagonisti dell’industria. Alicia Wittink, CEO di Dow Jones (editore del Wall Street Journal), sottolinea come questa sia “una fase critica che richiede urgente adattamento del modello di business”.

Modelli di business

Le testate stanno esplorando diverse strategie di sopravvivenza: dall’intensificazione degli sforzi sui social media alla creazione di community proprietarie, dal potenziamento di newsletter e podcast allo sviluppo di prodotti e servizi premium che possano generare ricavi diretti senza dipendere dal traffico di ricerca.

Podcast

I podcast fanno a pieno titolo parte del mix e il caso di Bloomberg sembra confermarlo. Molti, se non tutti i giornalisti opinionisti dell’editore/agenzia fondata da Michael Bloomberg, hanno recentemente lanciato un proprio podcast, generalmente con lo stesso titolo e gli stessi contenuti degli articoli appena pubblicati. Per un caso pratico si veda (e ascolti) Money Stuff di Matt Levine.

La sfida

La sfida è duplice: mantenere la qualità giornalistica che distingue l’editoria professionale (o quantomeno la distingueva, prima dell’era dei clickbait). Utilizzare in modo corretto la I.A., come strumento di efficienza e completezza, acquisendo più competenze dei propri lettori nel cosiddetto prompt engineering. E, senza attendere oltre, sperimentare e sviluppare canali di distribuzione e monetizzazione alternativi.

Una luce in fondo al tunnel?

In definitiva, esiste una luce in fondo al tunnel in cui l’editoria sta per entrare?
Forse sì, ed e’ stato proprio il nostro direttore a metterlo in evidenza in un recente editoriale, partendo da una osservazione: da cosa hanno imparato le I.A.? Conosciamo la risposta: dalla lettura dell’enorme corpus di materiale scritto creato da esseri umani.

Atrofia di contenuti

Proiettiamoci ora in un futuro in cui i vari motori come Google non sostengono piu’ indirettamente i creatori di contenuti in quanto le risposte vengono tutte dalle I.A.: i siti, non piu’ economicamente sostenibili si spengono uno dopo l’altro.

Autoreferenzialità

In questo scenario da cosa impareranno le I.A.? Qualcuno dice dai dati sintetici, in altre parole contenuti generati dalle intelligenze artificiali stesse. Ma, in un contesto di questo tipo, il pericolo di un’autoreferenzialità senza creazione di nuove idee sarebbe evidente.

Go There

Inoltre, aggiungiamo noi, è il caso di non dimenticare mai uno dei payoff di CNN: “Go There“. Significa andare sul posto, trovare le notizie in prima persona, impegnarsi in approfondimenti personali e originali.

Esclusiva umana (per ora)

Potremmo sbagliarci, ma non riteniamo che questo sarà facilmente rimpiazzabile da una I.A. Non per i prossimi anni, almeno.  (M.H.B. per NL)

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