Il 30/11/2025 come linea di frattura ed il 15/12/2025 per la comunicazione del deal: l’operazione GEDI/ANT1 (che vede coinvolte la famiglia greca Kyriakou ed il principe saudita Mohammed bin Salman) accelera. Ma rivela anche la fragilità dell’intero sistema editoriale italiano.
Sintesi
La scadenza del 30/11/2025, inizialmente percepita come una semplice tappa negoziale, si sta rivelando il punto di snodo di un’operazione che supera il confine della cessione del perimetro radio + La Repubblica + concessionaria Manzoni di GEDI al gruppo greco ANT1.
L’affare, rimasto fin qui sospeso tra indiscrezioni, due diligence ed un gap economico di quaranta milioni tra domanda e offerta, mette a nudo non solo la volontà di Exor di lasciare un settore percepito come marginale, ma soprattutto la ritirata del capitale italiano da un comparto incapace di garantire prospettive industriali.
L’ingresso del modello ellenico – che potrebbe essere formalizzato dalle parti entro il 15/12/2025 – distante per cultura editoriale, approccio radiofonico e logiche di governance – preannuncia una metamorfosi profonda per radio e quotidiani del gruppo, con possibili ricadute su palinsesti, identità editoriali ed organici.
Sullo sfondo, la vicenda GEDI diventa il simbolo di un più ampio smottamento: quello di un sistema informativo che, tra digitalizzazione tardiva, mancanza di visione e dipendenza dalla pubblicità tradizionale, non riesce più a preservare i propri asset strategici, lasciando che a colmare il vuoto siano capitali e modelli culturali esteri.
Il 30/11/2025
Nei nostri precedenti articoli avevamo sottolineato come il 30/11/2025 sarebbe probabilmente stata la deadline per l’operazione di acquisizione dell’area eterogenea del gruppo editoriale GEDI costituita dalle radio di Elemedia (società di GEDI cui fanno riferimento le reti radiofoniche nazionali DeeJay, Capital, m2o, oltre a DeeJay Tv ed alle radio ancillari digitali), dalla concessionaria pubblicitaria A Manzoni & C. e dall’ingombrante quotidiano La Repubblica da parte del gruppo greco ANT1 (della famiglia di armatori ed editori Kyriakou, guidata da Theodore Kyriakou), con dietro capitali che, secondo più ricostruzioni, si intrecciano con l’orbita finanziaria saudita (con il principe Mohammed bin Salman).
La ridda di informazioni ed indiscrezioni
E l’importanza di tale scadenza (si dice per una trattativa esclusiva con annessa due diligence) sembra aver trovato conferma nel fatto che da giovedì scorso c’è stata un’esplosione di informazioni ed indiscrezioni, che non nascondiamo di aver faticato a mettere in ordine logico, anche perché spesso andavano ben oltre il perimetro dell’operazione in sé (riferendosi a report andati bene per due radio su tre, tensioni sui vertici apicali, ecc.). Una data che peraltro segue di pochissimo quella del patteggiamento nel procedimento penale GEDI-INPS sui prepensionamenti a favore di circa 80 dipendenti e che ha condotto allo svincolo di 19,2 milioni di euro sequestrati e che anticipa quella che sarebbe stata scelta per la comunicazione dell’affare fatto: il 15/12/2025 (anche se qualcuno precisa: entro il 15/12/2025).
Lo smottamento
L’operazione GEDI/ANT1 è diventata, nelle ultime settimane, una lente attraverso cui si osserva il progressivo smottamento di un intero sistema. È un episodio che partendo dalla legittima volontà di un grande gruppo con interessi industriali mondiali di disimpegnarsi da un business editoriale di caratura locale, fonte di perdite economiche costanti, ha pian piano svelato fragilità strutturali, interrogando identità culturali e costringendo a ripensare l’idea stessa dell’informazione italiana. E mentre tutte le indiscrezioni rimandano ad un affare che potrebbe chiudersi addirittura entro la fine dell’anno, la sensazione prevalente — dentro e fuori le redazioni — è quella di un passaggio di fase irreversibile.
Il dato non ignorabile
Si parte da un dato apparentemente poco significativo, ma che non può essere ignorato: la distanza tra domanda e offerta, quel gap, si dice, di quaranta milioni fra le aspettative di John Elkann (espressione della Exor N.V., holding finanziaria olandese controllata dalla famiglia italiana Agnelli, cui fa riferimento GEDI) e la disponibilità degli acquirenti greco-sauditi. Non è un dettaglio negoziale, ma un sintomo. Un niente (parliamo di 40 milioni, cioè il valore che venti anni fa era stato attribuito ad una rete FM lombarda), che però ci dice come il mercato italiano non attribuisca più valore pieno a quello che, fino a pochi anni fa, era considerato un asset mediatico irrinunciabile.
(Dis)interesse nostrano
Un segnale che ci indica come gli operatori domestici non siano in grado — o non siano più disponibili — ad investire in un settore che non garantisce sufficienti certezze industriali. Il fugace (e da noi etichettato subito come poco convinto) interessamento di attori italiani come la galassia Luxottica aveva rappresentato una possibilità di continuità nazionale. Ma l’effetto combinato delle tensioni giudiziarie e finanziarie che stanno attraversando l’ambiente e delle crescenti fragilità del sistema nel suo complesso ha fatto svanire quel possibile soccorso interno. Non si tratta, insomma, solo dei greci che arrivano. Si tratta degli italiani che si defilano.
L’impatto dell’invasione ellenica
Nel frattempo, mentre le redazioni GEDI vivono un misto di spaesamento ed inquietudine, emerge uno dei punti più sottovalutati dell’intera vicenda: l’impatto dell’operazione sulla radiofonia in generale. È sorprendente come, nel dibattito pubblico, la questione sia rimasta quasi ai margini. Eppure, se c’è un settore destinato ad essere trasformato radicalmente da un cambio di proprietà in direzione ellenica, è proprio quello radiofonico. Il modello Kyriakou, è infatti lontanissimo dall’architettura culturale e professionale di Radio Deejay, Radio Capital e m2o.
Personalità ? No grazie
Il sistema italiano – e GEDI ne è stato uno dei massimi interpreti – ha spesso costruito la propria forza sulla figura della personality: voci riconoscibili, conduttori carismatici, programmi modellati sulla presenza autoriale, non semplicemente sulla struttura di rete. In casa Kyriakou il paradigma è quasi opposto: lì domina la logica della stationality, dove è il brand, la linea editoriale e la coerenza formale della stazione a prevalere sulla centralità individuale. Le personalità non sono motori, sono componenti. Non sono figure catalizzanti, ma elementi sostituibili all’interno di un meccanismo più grande e più standardizzato.
Metamorfosi genetica
Se questo modello venisse applicato anche in Italia da Theodore Kyriakou, come appare estremamente probabile in caso di positiva conclusione del deal, la radio GEDI ne uscirebbe completamente ridisegnata. Non sarebbe un semplice restyling: sarebbe una metamorfosi genetica. Il pubblico italiano, abituato a identificare certe radio con i loro conduttori, a seguirli come figure familiari, a connettersi emotivamente con loro, potrebbe trovarsi spiazzato. E le redazioni radiofoniche dovrebbero confrontarsi con un nuovo modo di concepire le professionalità : meno protagonismo, più sistema; meno creatività personale, più aderenza ad un format, anzi, ad un layout.
Hub produttivo
A complicare ulteriormente il quadro, c’è la struttura industriale tipica del gruppo ANT1, basata sulla filosofica verticale di Theodore Kyriakou, che in tutte le sue operazioni editoriali ha preferito coltivare un forte accentramento produttivo. Non un network di sedi e menti indipendenti (come per GEDI), ma un hub centrale che coordina ed alimenta tutti i marchi sotto un’unica centrale di comando identitaria. È un modello efficiente, senza dubbio. Fa risparmiare, velocizza i processi, massimizza le economie di scala. Ma è anche un modello che porta con sé una conseguenza inevitabile: la razionalizzazione degli organici ed il sacrificio delle indipendenze.
No alle duplicazioni
L’accentramento, in Italia, significa una cosa soltanto: riduzione delle duplicazioni, fusione delle funzioni, compressione dei margini di autonomia, e, ipoteticamente (si fa per dire), tagli. È una trasformazione che potrebbe toccare tanto il giornalismo quanto il comparto radiofonico e quello digitale. E questo spaventa, non tanto perché sia inedito — l’editoria italiana ha vissuto molte stagioni di ridimensionamento (le stesse precedenti alienazioni di GEDI sono andate in quella direzione — quanto perché questa volta l’operazione sarebbe imposta da un modello estraneo al contesto culturale locale.
Cosa ribolle
Eppure, di fronte a tutto questo, c’è un’altra questione che ribolle in sottofondo: la linea editoriale. La Repubblica, soprattutto, rappresenta un unicum nel panorama italiano. È un quotidiano che ha incarnato, in mezzo secolo, una precisa sensibilità civile, politica e culturale. È una testata che ha fatto della sua linea di sinistra un suo tratto identitario. Metterla nelle mani di un gruppo straniero (che a quanto pare l’acquisirebbe solo perché obbligato per rilevare le radio, quindi senza particolare convinzione imprenditoriale e tantopiù editoriale) — per di più con partecipazioni che lambiscono una delle aree geografiche meno compatibili con i temi dei diritti civili, della libertà d’espressione, del pluralismo dell’informazione — pone interrogativi profondi.
Visibile ed invisibile
Nessuno può dire oggi come si declinerebbe l’indipendenza editoriale sotto la nuova proprietà . Nessuno può prevedere se le pressioni sarebbero invisibili o evidenti, leggere o pesanti, dichiarate o implicite. Ma il solo fatto che ce lo si chieda dimostra quanto fragile sia il nostro sistema.
Il mosaico
E qui sta forse il nodo più doloroso: la vicenda GEDI è solo l’ultima tessera di un mosaico molto più grande. È la conferma che l’Italia non è più in grado di sostenere da sola i propri gruppi editoriali. È il risultato di decenni di digitalizzazione tardiva, modelli di business obsoleti, incapacità di armonizzare stampa, radio e digitale in un ecosistema coerente (GEDI in questo è stato tra i principali baluardi di suicida resistenza ai cambiamenti, soprattutto in ambito radiofonico).
Il vuoto che si riempie
È l’esito della separazione cronica tra innovazione e governance, della dipendenza dalla pubblicità tradizionale, della mancanza di investimenti tecnologici e della totale assenza di una politica industriale per l’informazione. In questo contesto, ANT1 dei Kyriakou non è un invasore: è un vuoto che si riempie.
Il modello giusto
La domanda, allora, non dovrebbe essere se il modello greco-saudita sia quello giusto. La domanda autentica è perché non siamo stati in grado di preservare il nostro. E se ora accettiamo una trasformazione che potrebbe ridefinire non solo GEDI, ma il modo stesso in cui l’Italia produce e consuma informazione, non dovremmo limitarci a chiedere cosa succederà ai giornali e alle radio del gruppo.
Ricadute
Dovremmo chiederci cosa succederà alla nostra capacità di comprendere la realtà . Perché la vera ricaduta di questa operazione non sarà industriale. Sarà culturale. E, forse, democratica. (M.L. per NL)












































