Nullità del provvedimento amministrativo

Nell’evoluzione dei concetti di nullità, inesistenza e annullabilità del provvedimento amministrativo, si fronteggiano due scuole di pensiero che hanno affrontato il problema secondo una visione negoziale o pubblicistica della nullità


Le novita’ di Diritto & Diritti del 12/06/2008

Bruno Angela – Cannizzo Carlotta

1. Con la riforma della legge 241 del 1990, operata con la legge n. 15 del 2005, il legislatore ha dettato, per la prima volta, una disciplina generale della invalidità del provvedimento amministrativo.
Gli stati invalidanti dell’atto vengono individuati nelle classiche categorie della nullità e dell’annullabilità, regolate, rispettivamente, dall’art. 21 septies e 21 octies.
In termini generali, solo l’atto conforme al suo paradigma normativo, che esprime la volontà di conseguire un risultato gradito all’ordinamento, produce effetti giuridicamente riconosciuti e tutelati.
La difformità dell’atto al diritto, invece, determina, a seconda della gravità, la sanzione della nullità, che opera automaticamente, o dell’annullabilità, che richiede, invece, un’apposita pronuncia giudiziale.
I provvedimenti, esplicazione dell’autorità amministrativa, sono atti che realizzano in via diretta la cura di interessi pubblici predeterminati; l’invalidità, quindi, indica la non conformità dell’atto rispetto al suo modello legale.
La legge, infatti, definisce nei dettagli sia le condizioni per l’attribuzione del potere e le modalità del suo esercizio, che il rapporto tra autorità e amministrato, individuando i soggetti nei cui confronti l’atto deve produrre effetti.
Prima di avventurarsi nella lettura della nuova disciplina in tema di nullità, appare opportuno ripercorrere brevemente la genesi e lo sviluppo della categoria, al fine di meglio interpretare, attraverso il confronto con il diritto vigente, l’applicazione delle nuove disposizioni.
Per lungo tempo la nullità del provvedimento amministrativo ha avuto un rilievo del tutto marginale, dato che, secondo il pensiero tradizionale, i vizi, che nel sistema civilistico renderebbero l’atto nullo, nel diritto amministrativo, di contro, costituiscono cause di annullabilità o di inesistenza.
Nell’evoluzione dei concetti di nullità, inesistenza e annullabilità del provvedimento amministrativo, si fronteggiano due scuole di pensiero che hanno affrontato il problema secondo una visione negoziale o pubblicistica della nullità.
Secondo la teoria negoziale o privatistica, la nullità dell’atto amministrativo va ricostruita alla stregua delle categorie civilistiche, assimilando il provvedimento al contratto.
In detta prospettiva, il diritto civile, oltre a colmare le lacune del diritto amministrativo, offrirebbe a quest’ultimo le categorie di nullità che contraddistinguono il negozio.
Pertanto, la nullità può essere testuale, qualora derivi dalla violazione di una norma sanzionata con la nullità; strutturale, se deriva dalla mancanza, dall’impossibilità o dall’illiceità di uno degli elementi essenziali del negozio, nonché virtuale, qualora l’atto si ponga in contrasto con una norma che, seppure non colleghi alla propria violazione la nullità, sia da ritenere imperativa, con la conseguente applicazione dell’art. 1418, primo comma, c.c..
Al provvedimento amministrativo va ricondotta, quindi, l’intera disciplina riguardante gli stati patologici del negozio privatistico, in modo tale che la distinzione fra nullità, annullabilità e irregolarità ( nozione tipica del diritto amministrativo, che si ha quando il provvedimento è carente degli elementi non essenziali) risulti essere collegata all’entità della patologia.
Tale ottica spinge detta tesi ad affermare l’applicabilità delle regole processuali sull’actio nullitatis: imprescrittibilità dell’azione, rilevabilità d’ufficio, legittimazione da parte di chiunque vi abbia interesse, insanabilità del vizio.
Su posizioni diverse si colloca la prevalente teoria pubblicistica, secondo cui il diritto amministrativo mantiene la propria autonomia, anche sotto il profilo dell’invalidità degli atti giuridici, negando, in tal modo, l’esistenza di un provvedimento nullo, atteso che l’unica forma d’invalidità dell’atto amministrativo, riconosciuta dall’ordinamento, risulta essere l’annullabilità e, nei casi più gravi, l’inesistenza.
In coerenza, si è affermato che la violazione di norme imperative comporta l’annullabilità del provvedimento; ciò stante, la violazione di legge, di cui agli artt. 26 t.u. delle leggi sul Consiglio di Stato e 2 della legge T.A.R., deve intendersi come violazione di norme imperative, dato che sono tali tutte le norme che disciplinano l’azione dei pubblici poteri.
E’ evidente, quindi, che la tesi autonomistica non riconosce la nullità virtuale dei provvedimenti amministrativi, in considerazione del fatto che l’azione amministrativa è disciplinata solo da norme imperative, trovando fondamento nei principi costituzionali di buon andamento e di efficienza previsti dall’art. 97 Cost.
Conseguentemente, secondo la tesi in argomento, anche la mancanza degli elementi essenziali dell’atto amministrativo deve essere ricondotta – fatta eccezione per i casi in cui il difetto strutturale sia così radicale da far supporre l’inesistenza del provvedimento – alla violazione di legge, non esistendo, al pari dell’art. 1325 c.c., una norma che definisca gli elementi essenziali del provvedimento.
In merito, poi, alle ipotesi di nullità testuali, solo agli inizi degli anni 90 la giurisprudenza amministrativa, cambiando il precedente orientamento, ha affermato che nel caso in cui la legge sanziona con la nullità, questa deve intendersi in senso tecnico, con le conseguenze previste dalle regole civilistiche.
Rispetto alle due teorie sopra descritte, emerge una tesi intermedia, prevalente nella giurisprudenza più recente; essa, da un lato, rivendica per la nullità amministrativa spazi di autonomia rispetto alle regole civilistiche di cui agli artt. 1418 e segg. c.c., individuando vizi tipicamente pubblicistici, quali la carenza, in astratto e in concreto, del potere; dall’altro, riconosce le patologie civilistiche, dando rilievo, sia alle nullità testuali, che alle nullità strutturali.
Tanto premesso, deve rilevarsi che il legislatore, in buona sostanza, con la legge n. 15 del 2005, ha recepito detti orientamenti, introducendo nell’ordinamento la categoria delle nullità dell’atto amministrativo.
L’art. 14 della citata legge, infatti, inserendo il capo VI bis dopo l’art. 21 della l. 241/90, definisce, all’art. 21 septies, primo comma, nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi previsti dalla legge.
Non c’è dubbio che la previsione della nullità, quale specie aggiuntiva di invalidità del provvedimento amministrativo, risulta essere una novità per il sistema italiano, prima caratterizzato dalla coincidenza tra invalidità ed annullabilità.
Su ciò esiste piena condivisione dei commentatori dell’art. 21 septies.
Diverso, invece, appare il giudizio sulla tipologia di vizi produttivi di nullità, nonché sull’opportunità di configurare la nullità quale ulteriore qualificazione di un provvedimento invalido.
Invero, alcuni esprimono giudizio positivo sulla codificazione della nullità, perchè fa chiarezza sulla sua configurabilità quale categoria generale applicabile anche al diritto amministrativo; altri, invece, sostengono che la nuova disposizione, rendendo il regime delle invalidità più vasto rispetto al passato, ha spezzato l’equilibrio fra validità ed efficacia del sistema ante riforma.
È certo, comunque, che il legislatore ha voluto distinguere la nullità dall’annullabilità del provvedimento per vizi di legittimità, abbandonando il pensiero della giurisprudenza tradizionale che ha inteso ricondurre nell’ambito dell’illegittimità vizi molto gravi.
Giunti a tal punto, quel che ci interessa sottolineare è che il legislatore ha recepito l’elaborazione giurisprudenziale in tema di nullità dell’atto amministrativo, prevedendo, tra le cause di nullità, la carenza di potere in astratto ( difetto assoluto di attribuzione) e quella particolare ipotesi di carenza di potere in concreto dato dalla violazione o dall’elusione del giudicato.
Ed ancora, ha riconosciuto, oltre alle nullità testuali, quelle strutturali, prendendo, in tal modo, le distanze dalla tesi autonomistica, secondo cui in assenza di una espressa comminatoria di nullità, il difetto degli elementi essenziali va sanzionato sotto il profilo dell’annullabilità o, nei casi più gravi, attraverso il ricorso alla categoria dell’inesistenza.
La nuova norma sembra, invece, negare la nullità virtuale, ex art. 1418, comma 1, c.c., confermando che la violazione di norme imperative non produce nullità, ma l’annullabilità del provvedimento amministrativo.

2. Il primo comma dell’art. 21 septies, prevede la nullità strutturale dell’atto, per cui “ è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali”.
Detta categoria, ancor prima della legge di riforma, ha trovato conforto in quella parte di dottrina che muove dall’approccio civilistico, secondo cui il diritto privato svolge una funzione “residuale”, trovando applicazione tutte la volte in cui non sia prevista una disciplina pubblicistica.
In tale ottica, le ipotesi di nullità strutturale, riconducibili alla mancanza, all’indeterminatezza o all’illiceità degli elementi essenziali dell’atto, sono da ricavare dalle norme del codice civile in materia negoziale.
I sostenitori della teoria pubblicistica, di contro, hanno evidenziato che la teoria negoziale male si adatta al provvedimento amministrativo, totalmente estraneo alla logica e ai paradigmi dell’autonomia negoziale; ciò stante, i difetti strutturali dell’atto amministrativo vanno ricondotti nell’ambito dell’annullabilità e, per i vizi più gravi, in quello dell’inesistenza (ad es. atto ioci causa o docendi causa, usurpazione di potere, violenza fisica).
Nelle applicazioni concrete, la nullità è stata affermata nei casi relativi all’inesistenza dell’oggetto (ad es. ablazione di beni già acquisiti dalla p.a.) e all’illiceità dell’oggetto ( ad es. gara avente ad oggetto la vendita di un bene incommerciabile).
Nella generalità dei casi, invece, il provvedimento è stato considerato annullabile.
Tanto premesso, è evidente che trattasi della parte più complessa del nuovo articolo, sia per le difficoltà di definire gli elementi essenziali del provvedimento amministrativo, che per la forte tentazione di modellare detta nullità alla stregua del negozio giuridico.
Tralasciando, per il momento, di considerare il particolare sforzo richiesto all’interprete, per potere distinguere i casi di nullità da quelli di mera illegittimità, deve evidenziarsi che il linguaggio oscuro della norma porta a ritenere che il legislatore- mostrando interesse per i vizi strutturali, in coerenza con il disposto di cui all’art. 1, comma 1bis, della legge 241, che generalizza l’applicazione alla p.a. del diritto privato – abbia voluto condividere la tesi negoziale.
Ebbene, seppure è comprensibile per l’interprete rifarsi alle categorie civilistiche in tema di nullità per carenza di elementi fondamentali – l’articolo in commento, infatti, ricalca il codice civile che, all’art. 1418, comma 2, sancisce la nullità del contratto per la mancanza di uno dei requisiti elencati nell’art. 1325 – lo stesso dovrà, comunque, tenere sempre a mente la diversità degli ambiti nel quale il concetto è destinato ad operare.
Una minore prudenza potrebbe essere giustificata solo nell’applicazione dei principi generali del diritto privato, se destinati a valere nei confronti di qualunque soggetto di diritto e, conseguentemente, anche della p.a., quando si trovi nelle stesse condizioni dei privati.
In ogni caso, il primo problema da affrontare è quello dell’individuazione, in mancanza di altri riferimenti normativi, degli elementi essenziali dell’atto amministrativo, muovendo dalla pregressa elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.
Il compito è arduo considerato che neanche i più grandi fautori del diritto amministrativo, Virga, Sandulli e Giannini, hanno mai raggiunto identità di vedute in merito agli elementi essenziali e accidentali dell’atto amministrativo.
Già da tempo la dottrina amministrativa maggioritaria ha rilevato come nel provvedimento amministrativo gli essentialia non abbiano la stessa rilevanza che essi rivestono nel negozio giuridico, affermando, tra l’altro, che l’essenzialità degli elementi dell’atto amministrativo è una nozione dogmatica che non trova riscontro né nel diritto positivo, né nel diritto vivente, posto che l’atto amministrativo ha una natura diversa rispetto al contratto.
Altri autori, inoltre, hanno sostenuto che il vizio di violazione di legge è in grado di ricomprendere molte fattispecie che, di contro, si vogliono far rientrare nella nozione di nullità strutturale e che alcuni vizi, che nel diritto civile producono nullità del negozio giuridico (ad es. mancanza o illiceità della causa), nel diritto amministrativo sono, invece, considerate cause di annullabilità in quanto figure sintomatiche dell’eccesso di potere.
La giurisprudenza, peraltro, con riferimento all’individuazione degli elementi essenziali, non sembra discostarsi in modo significativo da quella precedente alla riforma.
La giurisprudenza recente, tuttavia, è solita richiamare la pronuncia del Consiglio di Stato (n. 6023/2005), secondo cui la nullità o l’inesistenza dell’atto amministrativo è limitata ai casi di carenza assoluta di un elemento essenziale, che può riguardare l’assenza dell’agente o del destinatario, la radicale carenza di potere in capo all’autorità procedente, il difetto della forma, dell’oggetto o della volontà.
In ogni caso, nonostante la mancata definizione degli elementi essenziali, non bisogna correre il rischio di ricostruire la nullità strutturale del provvedimento amministrativo facendovi confluire i classici vizi di annullabilità, con evidente invasione di campo.
Ciò, infatti, non può che generare problemi, anche sul piano del riparto di giurisdizione, aumentando la zona grigia della doppia tutela, a scapito dei cittadini e della giustizia.
Peraltro, l’introduzione dell’istituto della nullità strutturale nel diritto amministrativo, proprio in ragione del fatto che non sono definiti, a livello generale, gli elementi essenziali del provvedimento, oltre a suscitare problematiche applicative di grande rilievo, appare difficilmente conciliabile con la struttura peculiare del provvedimento amministrativo e con i valori propri dell’agere dei poteri pubblici.
Ebbene, qualunque idea si voglia avere dei requisiti essenziali, non bisogna, tuttavia, dimenticare che il negozio giuridico trova il suo fondamento nella libera volontà delle parti e che il provvedimento, di contro, rappresenta l’esercizio della funzione amministrativa che trova nella norma la propria ragione d’essere.
Va da se che nella prospettiva pubblicistica, non solo l’aspetto funzionale dell’azione amministrativa rende del tutto secondaria l’analisi strutturale del provvedimento – né è prova la persistente disparità di vedute circa l’individuazione degli elementi essenziali – ma è probabile che la nullità strutturale non trovi significativo riscontro nella prassi applicativa.
Conclusivamente, attesa la discordia in merito agli elementi essenziali del provvedimento, al fine di garantire certezza e stabilità all’azione amministrativa, appare quanto mai opportuno condividere una interpretazione dottrinale restrittiva della categoria, dovendosi parlare di nullità quando dalla carenza dell’elemento, per l’inesistenza dello stesso, discenda il totale difetto strutturale dell’atto.

3. Con riferimento alla disposizione dell’art, 21 septies, secondo cui il provvedimento amministrativo è nullo per “difetto assoluto di attribuzione”, si pone il problema di stabilire a quale istituto giuridico il legislatore abbia inteso fare riferimento, posto che la formula risulta suscettibile di più significati.
Muovendo dall’assunto che a detta categoria vada ricondotta l’incompetenza assoluta – ipotesi che si verifica quando in base alla ripartizione delle attribuzioni, l’organo emanante è esterno all’articolazione organizzativa cui compete l’adozione dell’atto – rimane da stabilire se il legislatore abbia inteso ricomprendere nell’art. 21 septies sia la carenza di potere in astratto, che in concreto.
Secondo autorevole dottrina, Cerulli Irelli, Spasiano, Aiello, D’Orsogna, Chiappa, rientrerebbe nell’ambito della nullità, per difetto assoluto di attribuzione, solo la figura della carenza di potere in astratto e, perciò, solo le ipotesi in cui il potere non sussiste in via generale o in capo all’amministrazione che lo ha esercitato, rimanendo escluse le ipotesi di carenza di potere in concreto, vale a dire quando il potere esiste in astratto ed è stato attribuito dalla legge all’autorità, ma nella specie essa lo esercita al di fuori dei presupposti di legge e, quindi, dei limiti imposti dalla norma attributiva.
In tal caso – trasformandosi la carenza di potere in concreto nella violazione dei limiti posti dalle norme per il corretto esercizio del potere e, quindi, in un vizio di legittimità – la giurisdizione è riconducibile al giudice amministrativo; di contro, nel caso di carenza di potere in astratto la giurisdizione appartiene al giudice ordinario.
Detta prospettiva trova conferma nella prevalente giurisprudenza amministrativa, che ha ritenuto nullo il provvedimento emanato in carenza di potere in astratto e annullabile quello emanato in carenza di potere in concreto (Cons. Stato, sez. V, 23 settembre 2005, n. 5013; sez. IV, 28 febbraio 2006, n. 891; sez. VI, 21 agosto 2006, n. 4858).
Ciò stante, deve ritenersi che, nel sistema delineato dalla legge n. 15 del 2005, fatta eccezione per l’ipotesi della violazione o elusione del giudicato, ogni violazione, seppure grave, che comunque non incida sulla stessa esistenza del potere, non rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 21 septies; conseguentemente, le ipotesi di carenza di potere in concreto trovano sanzione sotto il profilo dell’annullamento.
In senso contrario, invece, si pone la giurisprudenza della Cassazione, secondo cui tutte le ipotesi di provvedimento adottato in carenza di potere, di qualunque specie esso sia, danno luogo alla nullità dell’atto, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario ( Cass. S.U. 9 giugno 2006 n. 13431 e 9 giugno 2004 n. 10978).
Detto contrasto, risalente nel tempo, si inserisce all’interno di un più ampio dibattito, che vede su posizioni diverse il Consiglio di Stato e la Suprema Corte, in merito alle nozioni di carenza di potere, con riferimento al riparto di giurisdizione.
E’ da rilevare, tuttavia, che rispetto a questo consolidato orientamento, che configura quale ipotesi di nullità anche quelle fattispecie riconducibili alla carenza di potere in concreto, la Cassazione, Sezioni unite, in una ordinanza del 2007, n. 2688, in coerenza con il pensiero della Corte costituzionale, sentenza n. 191 del 2006, ha ritenuto che l’annullamento dell’atto non interrompe il collegamento con l’esercizio del potere – anche se lo stesso si è rilevato illegittimo e, per effetto dell’annullamento, ha cessato di esplicare i suoi effetti affermando, conseguentemente, la giurisdizione del giudice amministrativo.
Peraltro, nel caso, il difetto assoluto di attribuzione sembra coincidere con la nozione di carenza di potere in astratto e la Corte di Cassazione sembra aderire con quanto affermato, nel 2005, dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, secondo cui il provvedimento è nullo solo in caso di inesistenza del potere (carenza in astratto); di contro, se il potere c’è, e si è in presenza di una violazione attributiva dello stesso, il provvedimento è illegittimo e la carenza di potere, piuttosto che in astratto, è in concreto ( Cass. S.U , ordinanze 13 giugno 2006, nn. 13659 e 13660, e 15 giugno 2006, n. 13911; Cons. Stato, A.P. nn. 2,4 e 9 del 2005).

4. Tra le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, l’art. 21 septies annovera quella della violazione o elusione del giudicato, recependo il consolidato orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato ( Cons. Stato, sez. IV, 24 febbraio 2000, n. 1001; Cons. Stato A.P. 11 marzo 1984, n.6).
In relazione a tale ipotesi di nullità, il secondo comma di detto articolo attribuisce una riserva esclusiva di giurisdizione al giudice amministrativo.
Tale previsione ha generato perplessità circa l’eventuale convivenza tra il giudizio introdotto dalla legge 15/2005 e il tradizionale giudizio di ottemperanza, teso a far valere l’obbligo dell’amministrazione di conformarsi al giudicato, ex art. 27, n. 4, t. u. Cons. di Stato.
A ben vedere, detta disposizione non sembra voler sottrarre parte del contenzioso ai giudici dell’ottemperanza, piuttosto intende prevedere una specifica ipotesi di nullità, distinta da quella prevista dal primo comma.
E’ pacifico in giurisprudenza che la posizione giuridica del privato nei confronti della P.A., a fronte di un giudicato favorevole, sia di diritto soggettivo; ebbene la disposizione di cui al secondo comma non pare porsi in contrasto con detto assunto, atteso che, limitatamente alle azioni di nullità per violazione o elusione del giudicato, ne attribuisce la cognizione al giudice amministrativo, anche nel caso in cui esse siano promosse a tutela di diritti soggettivi.
Piuttosto, detta disposizione deroga, non già alla competenza giurisdizionale del giudice amministrativo a tutela degli interessi legittimi, ma alla competenza del giudice ordinario a tutela dei diritti soggettivi.
Il primo e secondo comma dell’art. 21 septies, quindi, fanno riferimento alla disciplina della tutela di due diverse posizioni giuridiche: il primo riguarda l’azione di nullità, per contrasto con un precedente giudicato, esercitata da chi non vi è stato parte e, pertanto, la posizione del privato è di interesse legittimo; il secondo comma, invece, si riferisce all’azione per la dichiarazione di nullità esercitata da chi, avendo ottenuto un giudizio favorevole, chiede l’esatto adempimento della statuizione giurisdizionale e, quindi, la posizione del privato è di diritto soggettivo.
In sintesi, mentre il primo comma guarda solo a posizioni di interesse legittimo, per cui una eventuale precisazione della giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo, stante la previsione di cui all’art. 103 cost., sarebbe risultata pleonastica; il secondo comma, di contro, facendo riferimento a ipotesi che possono coinvolgere posizioni di diritto soggettivo, ha opportunamente precisato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Non c’è dubbio, peraltro, che con la specificazione della giurisdizione esclusiva, in materia di nullità del provvedimento amministrativo sia nel caso di violazione, che di elusione, il legislatore, oltre ad esprimere preferenza per la giurisdizione del giudice amministrativo, ha voluto, quanto all’effetto invalidante dell’atto amministrativo, accomunare la violazione del giudicato, ritenuta quale ipotesi di inesistenza del potere amministrativo, all’elusione.
La norma in esame è stata, di contro, fortemente criticata da autorevole dottrina, Sciullo, Fracchia, Scoca, per le seguenti ragioni: il provvedimento, nonostante sia affetto da nullità, è, comunque, idoneo a produrre effetti fino alla sua eliminazione da parte del giudice; è difficile ricondurre detta figura nella nozione di carenza di potere, atteso che, nel caso di violazione del giudicato, esiste la norma attributiva del potere, peraltro vincolato; il legislatore ha trasformato una figura di natura processuale, conferendole natura sostanziale; non ponendosi alcun problema di ripartizione, visto che il giudice dell’ottemperanza è sempre quello amministrativo, la previsione della giurisdizione esclusiva non trova fondamento.

5. L’art. 21 septies, comma primo, contiene, in chiusura, un rinvio generale agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge.
Il legislatore, nel corso degli anni, ha introdotto alcune disposizioni che comminano espressamente la nullità, con ciò contribuendo a superare la tradizionale impostazione pubblicistica, che riteneva la nullità incompatibile con il diritto amministrativo.
Alla base di detto ripensamento vi era, inizialmente, l’esigenza di assicurare il principio costituzionale del buon andamento, evitando aggravi di spesa per i bilanci pubblici; le prime declaratorie di nullità riguardano, infatti, gli atti di spesa delle amministrazioni comunali privi di copertura finanziaria.
In ogni caso, la nullità testuale non presenta problemi di particolare complessità, trovando ingresso, da tempo ormai, nel diritto amministrativo, attraverso singole ipotesi normative.
Le previsioni di maggiore rilevanza riguardano la nullità in materia: di proroga degli organi amministrativi, prevista dagli artt. 3 e 6 della legge n. 444 del 1994; di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni; di procedure di spesa; di accordi ex art. 11 della legge n. 241 del 1990; di statuto dei diritti del contribuente, ai sensi dell’art. 11 della legge n. 212 del 2000.

6. Come testimoniano le opinioni dottrinali e giurisprudenziali espresse sul tema, l’art. 21 septies si presta a letture contrastanti, non solo per il contenuto da dare al vizio di nullità, ma anche per l’impatto che il riconoscimento di questa categoria ha sul conseguente regime processuale.
Detto articolo, infatti, disciplina la giurisdizione nel solo caso della violazione o elusione del giudicato, lasciando aperta la questione sulle altre ipotesi di nullità.
Sotto il profilo sostanziale è pacifico che l’atto nullo non sia capace di produrre effetti giuridici; ciò, peraltro, trova conforto nell’art. 21 novies, che prevede l’annullamento d’ufficio dei soli provvedimenti affetti da annullabilità, escludendo quelli colpiti da vizi di nullità.
In relazione alla tutela giurisdizionale, deve ammettersi, in via generale, che della nullità del provvedimento possano conoscere entrambi i giudici: a seconda della situazione soggettiva di cui è portatore il soggetto che agisce; del rilievo che l’atto ha nella vicenda controversa e dei rimedi che questi chiede al giudice.
Detta prospettiva, oltre a dare continuità alle due giurisdizioni, risulta essere la più coerente con la lettera dell’art. 21-septies, che nulla dice sul giudice competente a conoscere della nullità, prestando interesse solo per le questioni relative alla violazione o elusione del giudicato, per le quali dispone la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
La ricostruzione attualmente prevalente è quella secondo cui, in assenza di una statuizione espressa del legislatore, bisogna applicare i principi generali.
Di fronte alla nullità di un atto lesivo, quindi, la tutela rimane quella che è, svolgendosi innanzi al giudice amministrativo, nel caso in cui la posizione del destinatario del provvedimento sia di interesse legittimo e innanzi al giudice ordinario, per le questioni relative a provvedimenti nulli, incidenti su diritti soggettivi che, con riferimento ad atti ab origine inefficaci, non degradano ad interessi legittimi.
Infine, pur non disciplinando il legislatore le altre azioni esperibili di fronte al giudice amministrativo, si ritiene che la tutela dell’interesse legittimo non debba essere esclusivamente di tipo impugnatorio e necessariamente di annullamento, ben potendo il giudice amministrativo adottare sentenze di accertamento o dichiarative, in virtù dell’applicazione analogica delle norme del codice civile.
Dal punto di vista processuale si pongono ulteriori profili problematici che riguardano la legittimazione ad agire, la rilevabilità d’ufficio e l’imprescrittibilità dell’azione.
Riguardo al primo punto, la dottrina maggioritaria, facendo riferimento alla disciplina del codice, ritiene che la legittimazione ad agire spetti a tutti i soggetti che vi abbiano interesse, siano essi portatori di interessi legittimi, di diritti soggettivi o di qualsiasi altro interesse leso dal provvedimento.
In merito alla rilevabilità d’ufficio, questa è per lo più ammessa sia dalla giurisprudenza, almeno a partire dalle decisioni dell’Adunanza plenaria del 92, che dalla dottrina.
A tale proposito, la bozza di un testo di proposta di legge, redatta da un gruppo di lavoro insediato presso ASTRID, prevede che il giudice amministrativo, nell’ambito della propria giurisdizione, dichiari la nullità del provvedimento d’ufficio o su ricorso di chiunque vi abbia interesse.
Con riferimento, poi, al regime dei termini dell’azione di nullità nei confronti di un provvedimento amministrativo, in dottrina si è posta una triplice alternativa: applicabilità di un termine di prescrizione, imprescrittibilità in analogia con la disciplina del diritto privato; applicabilità del termine di decadenza previsto per l’azione di annullamento.
In particolare, da un lato, si afferma che l’azione di nullità debba essere fatta valere nel termine di 60 giorni, dato che la nullità, al pari dell’annullamento, rientra nell’ambito dell’illegittimità del provvedimento amministrativo; dall’altro, invece, si ritiene che tale azione trovi la sua disciplina nell’ambito del diritto comune.
La giurisprudenza, dal canto suo, ha affermato la prescrizione decennale dell’azione di nullità solo a fronte di un atto adottato in violazione o elusione del giudicato.
A rigore l’azione di nullità dovrebbe considerarsi imprescrittibile; tuttavia, per la peculiarità di alcuni casi, si può condividere il pensiero di chi, anche in assenza di un’espressa previsione legislativa, ritiene detta azione soggetta a termine di impugnazione; fatti salvi i casi, che peraltro dovrebbero ricadere nella cognizione del giudice ordinario, di nullità che conseguono alla commissione di un illecito.
È evidente che la questione risulta ancora priva di un fondamento sistematico e normativo, ciò rende auspicabile l’intervento del legislatore il quale, sul piano politico, potrebbe orientarsi anche nel senso di preferire la stabilità e l’effettività dell’azione amministrativa, ancorché nulla.

Angela Bruno* e Carlotta Cannizzo**

*Avvocato – Dirigente – Ufficio di Staff Avvocatura del Comune di Vittoria – RG.
Specialista in Scienze delle Pubbliche Amministrazioni

** Specialista in professioni legali

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