Questione di par condicio

In tv c’è chi la rispetta e chi no. Ma questa legge ha una reale utilità? E, soprattutto, perché c’è chi vuole abrogarla e chi si batte per tenerla in vita?


La par condicio è un derivato del principio statunitense dell’“equal time”, che garantisce che, in periodo di campagna elettorale, ovvero quando le liste candidate alle elezioni vengono presentate, sia garantito (o quantomeno si tenti di conseguire) il perfetto pluralismo tra le parti politiche candidate, in relazione alla loro presenza sui media. In Italia, dalla nascita della Repubblica, è sempre esistita una certa forma di regolamentazione della presenza politica che potesse condizionare l’esito del voto dei cittadini. Si trattava, in principio, di leggi che definivano alcune norme circa le affissioni e i manifesti. Aggiornata nel corso degli anni, ha conosciuto una nuova stagione con l’avvento di Berlusconi nella “res pubblica” del Paese. Con la legge n. 515/93, prima, e con la n. 28/2000, poi, il sistema politico si è, in qualche modo, tutelato contro il potere mediatico del Cavaliere.
In sostanza, senza scendere nei particolari giuridici, la par condicio serve ad equilibrare gli spazi in tv dei candidati premier in periodo di campagna elettorale. Negli ultimi quindici anni le cose, pur con le mancanze e le multe sistematiche verso alcune emittenti, erano apparse, bene o male, semplici: il 50% del tempo andava al candidato di centro-destra, l’altro 50% al candidato di centro-sinistra. Quest’anno, con la divisione delle parti politiche, c’è una folta schiera di candidati premier: pare una puntata di “Re per una notte” del compianto Sabani, da ribattezzare come “Premier per una notte”. Le cose, perciò, sembrano essersi un po’ complicate, con i “piccoli” che invocano spazio e sparano a zero sulle tv la loro indignazione non appena ne hanno occasione, ed i “grandi” che predicano il “voto utile” e non la dispersione di voti verso compagini che non hanno praticamente nessuna possibilità di vincere.
Un paio di giorni fa, come spessissimo accade, ancor più quando si è in regime di par condicio (ce la si cava con qualche multa e nulla di più), Berlusconi ha telefonato in diretta al Tg4 di Emilio Fede ed ha fatto la sua brava campagna elettorale anche lì. Ora, i duetti tra Fede e Berlusconi rappresentano un patrimonio per l’Italia al pari delle scenette tra Totò e Peppino, o tra Benigni e Troisi. Ecco perché, forse, buona parte dell’intellighenzia italiana non li prende più nemmeno in considerazione, affrancandoli dalle leggi della par condicio. E proprio di par condicio si parlava, con Fede stizzito per questo “bavaglio” (così lo chiama) impostogli dalla legge e dal non poter fare informazione così come piace a lui. Berlusconi, da par suo, rispondeva addebitando le responsabilità di questo “bavaglio” alla sinistra, ribattendo: “non appena andremo al governo, l’abrogheremo. È una legge che non esiste in nessun Paese occidentale, è il contrario della democrazia. Dovevamo abrogarla, ma poi l’Udc di Casini si è opposta pensando soltanto ai propri interessi di piccolo partito”. È possibile, certo, discutere e criticare una legge magari imperfetta in molti suoi aspetti, ma l’abrogazione porterebbe probabilmente a condizioni allarmanti per la nostra democrazia. Ma non per il valore della legge in sé, bensì per l’anomalia della situazione italiana.
Tornando a Fede, ed alla sua condizione di “imbavagliato”, scopriamo che questa presunta autocensura obbligata, in realtà, proprio non esiste. Fede, semplicemente, la par condicio non la rispetta sempre: predica l’abrogazione della legge ma spesso non la rispetta. La proporzione delle presenze nel suo tg tra esponenti del Pdl e del Pd (tralasciando per semplicità quelli delle altre forze politiche) è di 4 a 1: per ogni parola di Veltroni, Berlusconi ne dice quattro. Più equilibrati gli altri spazi d’informazione in chiaro: “Porta a Porta” e “Speciale Tg1” registrano una sostanziale parità, segno che Vespa e Riotta hanno recepito il messaggio lanciato dall’Authority. Parità, al Biscione, anche per il “Costanzo Show” e il “Tg5” e, a “La7”, per il TgLa7. Propendono leggermente verso Veltroni “Unomattina” (14 presenze a 12) e “Omnibus” (32 a 28) mentre verso Berlusconi, “Matrix” (4 a 2). Da segnalare, tra l’altro, che né il candidato del Pdl né quello del Pd hanno mai accettato di presenziare in una trasmissione in presenza del contraddittorio. Ovvio: in campagna elettorale bisogna convincere la gente, se si dice una bugia e si viene subito smentiti la gente non si convince. Tralasciando quest’ennesima anomalia, notiamo che, tra i cosiddetti “piccoli”, è Bertinotti è il più presente in tv, pur sempre zavorrato da una schiera di contraddittori. Dietro di lui, nell’ordine, Casini e la Santanchè al terzo e quarto posto, nel pieno rispetto di quella che si prevede sarà la gerarchia elettorale. Almeno secondo i sondaggi (dove, ovviamente, ciascun candidato ha i suoi, che gli attribuiscono percentuali più alte rispetto a quelle dei sondaggi dell’avversario) la cui diffusione, tra l’altro, secondo le regole della par condicio, è proibita nei quindici giorni precedenti le votazioni. Regola che nella passata tornata elettorale è stata sistematicamente infranta (come dimenticare i famosi sondaggi americani di Berlusconi, sbandierati fino all’ultimo giorno).
Esiste nel nostro Paese, in ogni caso, una folta schiera di detrattori dell’attuale legge sulla par condicio, che sarebbero ben lieti se Berlusconi la abrogasse come ha annunciato pochi giorni fa. Alcuni giornalisti e politologi la ritengono una legge sbagliata, per non parlare dei rappresentanti dell’ex Forza Italia, che l’hanno sempre osteggiata, salvo dover rinunciare, nelle passate legislature, ad abolirla per la reticenza dei loro alleati (Fini in testa) che, pur ritenendola migliorabile, hanno sempre rifiutato un voto che la cancellasse.
Da segnalare, per finire, che giusto ieri l’Autorità Garante nelle Comunicazioni, ha inflitto una multa a Mediaset “per il mancato rispetto, da parte del Tg4, dei richiami ad un maggior equilibrio tra tutti i soggetti politici concorrenti, nell’informazione relativa alla campagna elettorale”. Il tg di Fede aveva già subito un richiamo la scorsa settimana e, in occasione della scenetta con il candidato del Pdl, aveva dichiarato: “siamo stati condannati a pagare 100 mila euro di multa e vedrete che sarà anche peggio. Spero che non ci sia anche la norma dell’arresto. Comunque cercheremo di riparare a tutto quello che c’è da riparare. Come conduttore, come giornalista con cinquant’anni di professione, che di campagne elettorali ne ha fatte tante, permettetemi di dire che non è mai successa una cosa come questa. Riflettete sulle condizioni nelle quali alcune tv sono costrette a lavorare. A noi viene fatta una multa, ad altri viene indirizzato un semplice richiamo”. Il richiamo di cui parla il conduttore del Tg4 è quello ricevuto dalle reti Rai e Mediaset per la stessa faccenda. Richiamo che, visti i dati prima elencati, pare più che ragionevole in relazione alla multa inflitta al suo telegiornale. Certo, in ogni caso fino a quando si infliggono multe a chi può pagarle, il problema non si risolverà mai. (Giuseppe Colucci per NL)

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