Radio: Australia 1923, il fallimento del primo DRM

Il DRM inteso non come sistema di radio digitale come “gestione” dei diritti digitali


da Radio Passioni

Durante il mio viaggio a Mosca mi sono perso una interessante discussione originata da BoingBoing e rilanciata da Punto Informatico e dall’amico Fabrizio “Hamlet” di Technosoc. L’argomento è il DRM inteso non come sistema di radio digitale come “gestione” (qualcuno non è d’accordo sull’uso di tale termine, considerato troppo edulcorato) dei diritti digitali. Lo spunto viene in realtà da un blog condiviso australiano specializzato nell’analisi dei blog e del loro impatto nelle strategie di comunicazione aziendali, Blogcampaigning, che ha proposto un parallelo curioso per partecipare alla discussione su una tesi condivisa da molti: il DRM si basa su motivazioni fallaci e può solo nuocere ai consumatori e alla concorrenza.
Gli autori di Blogcampaigning raccontano che in Australia, gli albori della storia della radio sono contraddistinti da una scelta che si rivelò presto sbagliatissima. L’idea era stata quella di autorizzare la creazione di alcune stazioni a pagamento e di mettere in commercio apparecchi in grado di ricevere una sola stazione (oggi parleremmo di ricevitori quarzati). Fu un insuccesso clamoroso, perché molto presto i potenziali clienti e i rivenditori di radio si accorsero che era molto meglio avere a che fare con un mercato di radio capaci di ricevere tanti programmi. Alla fine gli australiani optarono per un sistema misto di licenze commerciali (finanziate dalla pubblicità) e servizio pubblico.
Il parallelo tra questa pionieristica forma di “analog rights management” e gli attuali sistemi di vendita dei contenuti “liquidi” è forse azzardato, ma gli spunti di riflessione sono parecchi. Beninteso, l’articolata problematica del DRM poggia su substrati tecnologici, economici e legali assai più evoluti dell’ingenua pretesa di equiparare la fruizione di contenuti radiofonici all’unica forma di contenuto liquido conosciuto 85 fa: il filo del telefono. Mi viene in mente che anche in Italia i primi pionieri della “radiofonia” pensavano piuttosto a una sorta di filodiffusione (si veda al proposito il materiale di archivio Telecom su “L’Araldo telefonico e ancora più questo interessante articolo di Benedetta Prario e Gabriele Balbi dell’Usi di Lugano apparso sulla rivista online Observatorio dell’istituto di ricerche OberCom).
Non posso riportare qui tutto il materiale ma vi suggerisco di andarvelo a esplorare; potete cominciare dallo spunto originale australiano, successivamente riportato su BoingBoing, su Punto Informatico e infine su Technosoc dove Hamlet riporta anche un interessante sito sulla storia della radio australiana.

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