Radio. Operazione GEDI stimolerà gruppi mediatici europei a guardare con rinnovato interesse a radiofonia italiana, gigante addormentato?

broadcasting, gruppi radio

Il mercato radiofonico italiano, a lungo impermeabile ai capitali esteri, potrebbe finalmente entrare in una fase di importante trasformazione.
Infatti, l’operazione GEDI potrebbe accelerare un processo sistemico atteso da anni ed aprire l’Italia ai gruppi mediatici europei.

Sintesi

Per decenni la radiofonia italiana è stata osservata dall’esterno come un ecosistema chiuso, dominato da modelli familiari, freni regolatori ed un’anarchia dell’etere in grado di scoraggiare l’ingresso dei capitali di gruppi multimediali stranieri.
La recente offerta greco-saudita per l’acquisizione del gruppo editoriale GEDI, però, potrebbe segnare una possibile svolta: l’obiettivo dell’asse Kyriakou-bin Salman potrebbe non essere la mera continuità dell’attività radiofonica fin qui svolta, ma un rebuilding totale secondo logiche anglosassoni di brand identity, governance manageriale ed industrializzazione verticale di processi oggi adagiati su un dispendioso piano orizzontale.
Gli ultimi aggiornamenti sul deal segnalano che sul tavolo ci sarebbe un’offerta ormai “prendere o lasciare” da 140 milioni che includerebbe oltre al quotidiano La Repubblica, anche La Stampa – che già si pensava in navigazione verso il Triveneto -, sebbene con possibili scenari di successive riallocazioni.
Una operazione alla quale il mercato (internazionale) sembra mostrare qualche attenzione, perché l’Italia, pur con altissima penetrazione radiofonica, resta uno dei Paesi europei dove il mezzo è commercialmente meno valorizzato e quindi più promettente in termini di crescita.
Ma non è solo il potenziale margine di crescita della pubblicità a ravvivare l’appeal verso l’Italia: a farlo contribuiscono anche l’avanzata della distribuzione radiofonica digitale (DAB+ e dell’IP), la fine dell’anarchia delle frequenze FM e l’allentamento delle norme antitrust in tutta Europa.
Quindi, se GEDI cambia assetto, l’intero comparto italiano potrebbe essere stimolato ad entrare in una nuova fase industriale, attirando anche altri gruppi mediatici che, per sopravvivere alla voracità delle big tech mondiali, devono irrobustirsi in ambito internazionale.

Mercato refrattario all’ingresso di capitali esteri

Per anni il mercato radiofonico italiano è sembrato un territorio impermeabile ai grandi movimenti fuori porta: una sorta di ecosistema chiuso in cui modelli familiari, logiche conservative ed un quadro regolatorio incerto hanno frenato l’ingresso di gruppi esteri dotati di capitali e visione industriale.

Il dossier GEDI

Eppure, ciò che sta accadendo intorno al dossier GEDI – ed in particolare al suo asset radiofonico composto da Radio Deejay (+ DeeJay Tv), Radio Capital e m2o (oltre alla concessionaria A. Manzoni & C. e prodotti radiofonici ancillari e piattaforme audio accessorie) – suggerisce che questo equilibrio possa avere i mesi contati.

Oltre l’operazione specifica

L’alleanza greco-saudita formata dall’editore-armatore Theodore Kyriakou (Ant1) e dal capitale vicino al fondo del principee primo ministro dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman avrebbe deciso di accelerare su un’acquisizione, che, secondo alcuni retroscenisti, potrebbe essere parte di un piano molto più ambizioso e strutturale: non una mera operazione finanziaria in continuità, ma un rebuilding totale, capace di ridefinire l’identità, l’organizzazione e la strategia di tre storiche stazioni radiofoniche nazionali.

Squadra che vince potrebbe vincere di più se cambia

Il paradosso di tale prospettazione è evidente sin dall’inizio: intervenire su Radio Deejay – un marchio fortissimo, uno dei più iconici dell’intero panorama italiano – sarebbe stato considerato un sacrilegio solo pochi mesi fa. Ma gli acquirenti potrebbero non condividere questo tabù. Il piano, secondo quanto trapela da ambienti vicini all’offerente, non punterebbe a mantenere Deejay, Capital e m2o così come sono. Mirerebbe piuttosto ad integrare queste realtà (una, DeeJay, ancora forte; le altre due, invece, meritevoli di riflessioni sui relativi modelli) in un layout produttivo e organizzativo forse diverso dall’attuale.

Il modello anglosassone

Ed ecco il punto più sorprendente: il modello scelto non sarebbe quello greco – con le sue logiche editoriali ultraottimizzate in termine di gestione dei costi, ormai note – bensì quello anglosassone. Un sistema basato su identità di brand fortissime e verticali; newsroom integrate, ma con chiara distinzione dei target editoriali; processi industrializzati, dalla produzione alle vendite; sviluppo multipiattaforma come fulcro e non come semplice estensione; forte autonomia creativa degli hub interni; governance manageriale.

Gruppi di ispirazione

In pratica, il modello Global (Capital Radio, Heart, LBC, Gold Radio, Smooth, Radio X ) e Bauer Media (gruppo tedesco con 15.000 dipendenti in 14 paesi, con Bauer Media UK che edita Hits Radio, Magic Radio, Kiss, Absolute Radio).

Il rush finale verso i 140 milioni

Sul piano finanziario, ciò che fino a poche settimane fa appariva come un confronto complicato tra Exor – la holding degli Agnelli-Elkann (che non vede l’ora di sfilarsi da un no-business che dal suo ingresso, nel 2019, per 200 mln di euro, ha: accumulato perdite dirette per 360 mln; condotto ad un’iscrizione a bilancio 2024 per 118 mln di valorizzazione del gruppo GEDI; registrato nell’ultimo esercizio un rosso di 35,9 milioni, essenzialmente riconducibile alla carta stampata) – ed il player greco Ant1 potrebbe aver trovato un equilibrio. La distanza iniziale tra richiesta e offerta sarebbe stata colmata in extremis, in vista della scadenza di una lettera d’intenti (al 30/11/2025).

Il perimetro esteso dell’operazione

La cifra intorno alla quale si potrebbe chiudere l’accordo – che potrebbe essere annunciato intorno a metà dicembre (difficile che Elkann abbia voglia di ricominciare a trattare daccapo con altri a gennaio 2026, in occasione del cinquantesimo del quotidiano La Repubblica, fondato da Eugenio Scalfari il 14 gennaio 1976) -, sarebbe di 140 milioni di euro, comprensivi non solo dell‘asset radiofonico e della concessionaria di pubblicità, ma anche delle testate (maldigerite dagli offerenti) La Repubblica e La Stampa (e qualcuno dice pure l’Huffington Post).

NEM meno

E proprio l’inclusione de La Stampa apre un ulteriore scenario: lo storico quotidiano cui era tanto legato Gianni Agnelli da averlo bollato come intoccabile, potrebbe essere poi trasferito al gruppo triveneto NEM (che aveva acquistato già diverse testate GEDI due anni fa), in attesa che vengano reperite le risorse necessarie per l’operazione.

Non cambiano le valutazioni, ma i confini dell’operazione

In sostanza, i greci non avrebbero aumentato la loro offerta, ma solo allargato il perimetro dell’acquisizione includendo – anche se a valori differenti dai desiderata di Exor, che dovrà, quindi, in caso di definizione, registrare una minusvalenza -, La Stampa (considerato da Ant1 solo formalmente un quotidiano nazionale, essendo sostanzialmente venduto in Piemonte), lasciando inalterati i valori originari (attribuendo al quotidiano torinese un valore tra i 20 ed i 30 mln di euro), a dimostrare che il prezzo è quello e non si discute (più).

Cifre ridicole (parametrate su Exor)

Una dinamica complessa, che, da una parte, evidenzia come si stia da tempo discutendo di cifre tutto sommato ridicole per Exor, holding con un patrimonio netto di 36 miliardi di euro ed un utile consolidato 2024 di 14,6 miliardi di euro e, dall’altra, come, probabilmente, l’asse Kyriakou–bin Salman non stia ragionando tanto e solo come acquirente di titoli, ma di soggetto sistemico.

Un’operazione che i gruppi europei osservano con attenzione

Il punto forse meno compreso della discussione è questo: l’interesse per GEDI non è solo italiano. Le radio di Elkann sono finite, nel tempo, al centro delle analisi di diversi gruppi europei, che da anni guardano al mercato italiano come ad un gigante addormentato.

Meno valorizzazione = maggiori possibilità di crescita

La ragione è semplice: l’Italia è uno dei pochi Paesi europei dove la radio mantiene una penetrazione molto alta (anche se ormai quasi solo in auto), un ascolto stabile e un radicamento culturale profondissimo, ma dove, al tempo stesso, è fra i media meno valorizzati sul piano commerciale. In sostanza, la pubblicità vale meno di quanto potrebbe e dovrebbe; gli investimenti industriali sono inferiori agli standard europei, e la governance è ancora perlopiù familiare. E, diciamolo una volta per tutte, anche dal punto di vista editoriale gli sforzi prodotti sono al minimo della sopravvivenza, con scarsa o nulla voglia di andare oltre il già fatto.

Lo scossone

L’ingresso di un soggetto estero forte – soprattutto se portatore di una visione industriale moderna – può quindi essere interpretato come un segnale preciso: il mercato italiano è pronto per entrare nella sua fase adulta.

Il nodo del valore: perché oggi l’Italia non fa più paura agli investitori stranieri

Ma c’è un altro elemento di rottura col passato: l’evoluzione tecnologica, che sta giocando un ruolo decisivo. La modulazione di frequenza italiana, a lungo considerata un territorio anarchico, ormai difficilmente pianificabile (ex post), sta perdendo centralità in favore di due ambienti molto più ordinati: il DAB+, ormai in via di consolidamento e l’IP, che permette modelli distributivi più moderni ed analytics più complete.

Normalizzazione

In parallelo (e come conseguenza dell’avvicendamento tecnologico), il valore delle imprese radiofoniche si è normalizzato: la fine dell’era del trading delle frequenze – che nel primo decennio 2000 aveva drogato i valori spaventando investitori stranieri – ha riportato il mercato su multipli razionali, comparabili a quelli europei.

Di peggio in male

E poi c’è un altro fattore: l’Italia oggi è uno dei Paesi europei dove la radio è venduta peggio rispetto al suo potenziale. Il che, ad occhi esteri significa solo una cosa: che ha margini di crescita incomparabilmente superiori rispetto a Regno Unito, Germania o Francia. A condizione di cambiarne le regole, ovviamente.

Antitrust: meno vincoli per resistere alla pressione delle big tech

A spingere nella stessa direzione c’è anche un cambiamento culturale nelle politiche regolamentari. Negli USA, nel Regno Unito, in Francia, in Germania e ora anche in Svizzera, si viaggia verso un allentamento delle restrizioni antitrust per consentire ai broadcaster tradizionali di competere con i colossi OTT. L’idea è semplice: se i big globali crescono per gigantismo e superconcentrazione, i sistemi nazionali non possono sopravvivere con la frammentazione figlia di vincoli alla crescita fissati nel secolo scorso.

La piccola Svizzera

Il caso svizzero è emblematico. Il Parlamento elvetico ha approvato in questi giorni un aumento della quota del canone destinata alle radio e tv locali; un alleggerimento dei limiti alle concessioni; un rafforzamento delle misure di sostegno al settore. Un segnale politico che anche l’Italia, prima o poi, dovrà considerare.

Il modello UK su Deejay: fantascienza o futuro imminente?

Tornando al tema centrale, cioè l’ipotetico rebuilding dell’assetto radiofonico di GEDI, applicare il modello anglosassone su Deejay, Capital e m2o non significherebbe necessariamente snaturare le attuali radio, quanto, piuttosto, rafforzarle attraverso un processo di potenziamento di brand identity nel lungo periodo, con una verticalizzazione dei processi produttivi (editoriali e commerciali) in soluzione di continuità con l’attuale (dispersivo) schema orizzontale di moltiplicazione dei costi e dispersione delle economie.

Se cambia GEDI, cambia tutto il mercato

Se l’operazione dovesse andare in porto, il mercato radiofonico italiano – fermo da anni in una posizione di finta comfort zone – potrebbe entrare in una fase nuova: più dinamica, più internazionale, più industriale. Non si tratta solo di chi compra o di chi vende, ma del messaggio che l’operazione manda: l’Italia non è più un mercato di nicchia, ma un mercato da accendere.

Riflettori europei

Non è un caso che dopo i greci, stiano accendendo i riflettori sul comparto radiofonico italiano anche gruppi mediatici europei. (M.L. per NL)

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