Rai e Mediaset sotto la lente d’ingrandimento della UE per la raccolta pubblicitaria

Avviata una procedura d’infrazione per i due gruppi editoriali. Entro 60 giorni le loro prime repliche, ma il Gruppo di Cologno Monzese già si difende


Avvicinandosi la fine dell’anno, consuntivi e stime, anche per quanto riguarda il mercato pubblicitario, si rincorrono. Le notizie battute dalle agenzia di stampa e riprese dai principali mezzi d’informazione (anche NL se ne è più volte occupato) attestano generalmente il mercato della raccolta pubblicitaria in costante crescita, dipingendolo come bacino di nuove e remunerative opportunità, per le aziende e di conseguenza per le tesse concessionarie collegate ai vari canali della promotion. Nel clamore generale, nella rincorsa a sfruttare sempre di più i new media, arriva per l’Italia il monito dell’Unione Europea, che, con una lettera di messa in mora nei confronti di Rai e Mediaset, si innesta nel dibattito inoltrando una procedura di infrazione per sforamento dei tetti pubblicitari previsti dalla direttiva 89/552/CEE “Televisione senza frontiere”, come modificata ed integrata dalla successiva 97/36/CE. Questa, al suo art. 18, recita che “la proporzione di tempo di trasmissione destinata agli spot di televendita, spot pubblicitari e altre forme di pubblicità (…) non deve superare il 20% del tempo di trasmissione quotidiano. Il tempo di trasmissione per spot pubblicitari non deve superare il 15% del tempo di trasmissione quotidiano”. Proseguendo, la norma specifica ulteriormente stabilendo nel 20% rispetto all’ora di orologio (12 minuti) l’intervallo temporale che complessivamente può essere dedicato a spot e televendite. Nel testo europeo, non rimangono esclusi dal conteggio le autopromozioni, cioè quei passaggi in cui si lanciano programmi od iniziative editoriali della stessa rete.
Questo, il cuore della normativa sovranazionale in materia di advertising in tv, secondo la Commissione Europea violato da Viale Mazzini e dal gruppo di Cologno Monzese. Proprio quest’ultimo, ancor prima di predisporre le proprie difese da inviare entro 60 giorni a Bruxelles, ha immediatamente replicato avviando la consueta “guerra” sui parametri. Difatti, tra gli sport nazionali può ben annoverarsi quello dell’interpretazione delle leggi, ineluttabile consuetudine nei paesi, tra i quali il nostro senz’altro si colloca ai primi posti, affetti dalla gravissima patologia dell’ipertrofia legislativa: fatta la legge trovato l’inganno, in questo l’ermeneutica nazional-popolare consente, troppo spesso, di poter violare la legge rinvenendo nell’antigiuridico atteggiamento una legittima giustificazione . A tal proposito, il Biscione controbatte (Milano Finanza, 12/12/2007, p. 11) facendo sapere che “il gruppo ha sempre rispettato i limiti pubblicitari, nazionali e comunitari. La lettera della Commissione si riferisce a conteggi errati basati su di un’interpretazione arbitraria della realtà italiana”. Ad onor del vero, comunque, Mediaset basa la propria contestazione su di un “atto ufficiale di un’autorità nazionale che regolarizza la materia (e qui, ci sia consentito sottolineare le ridondanti formule sacramentali utilizzate al fine di conferire solennità alla replica, probabilmente un po’povera di contenuti)”, riferendosi alla AgCom che nella scorsa primavera aveva contestato punto per punto le allora semplici osservazioni fatte pervenire da Bruxelles sui medesimi temi.
Insomma, la situazione sembra essere questa: la UE aveva già richiamato l’inadempiente Italia con una missiva che invitava a rivedere la programmazione degli spot in televisione richiamandosi alla direttiva “Televisione senza frontiere”, noi abbiamo fatto finta di niente attraverso la competente Autority con risposte ritenute evidentemente pretestuose, la Commissione, esercitando i poteri previsti dallo Statuto dell’UE, avvia la procedura d’infrazione alla quale dovrebbero, nel termine di 60 giorni, seguire le difese degli accusati che, se poco convincenti, non eviteranno la comminatoria delle rilevanti sanzioni previste.
Il Governo, avvertite le avvisaglie di un imminente maremoto, cavalca l’ondata di piena e, attraverso un’esponente della maggioranza, nella specie, il presidente della Commissione Cultura alla Camera Piero Folena (PD), fa sapere dell’urgenza con cui anche l’Europa richiede l’immediata approvazione della nuova legge sull’editoria (attualmente ddl “Gentiloni”). Orbene, posto che quando in Italia si sente, sul fronte politico, parlare di “novità” c’è solo da fare gli scongiuri, in quanto tutto ciò che prima non viene adeguatamente sperimentato rimarrà sempre perfettibile e mai perfezionato, ritenuto, altresì, che sollecitare con clamore l’ assoluta necessità di una nuova legge produce ciò che di più temibile possa prospettarsi in un ordinamento giuridico, ovvero una legislazione di tipo emergenziale e non organico, riteniamo, forse, sarebbe meglio rivedere e modificare le norme che già ci sono onde porre fine ad una pessima attività interpretativa – di disposizioni nazionali e sovranazionali – che spesso genera letture fin troppo audaci alle quali fa da alibi il difficoltoso percorso dell’osteggiata riforma di settore. Un’attività del genere produrrebbe, oltretutto, l’auspicabile risultato di superare tempestivamente, con onore e dignità, l’imbarazzante empasse.
Tornando all’intervento della Commissione Europea, a detta del Commissario per la Società dell’informazione e dei media Viviane Reding (foto), “Le emittenti hanno bisogno della pubblicità e i pubblicitari hanno bisogno delle emittenti, ma occorre anche garantire una protezione efficace dei consumatori. Abbiano bisogno soprattutto di una pubblicità responsabile”. Efficacemente e con una ragionevolezza che talvolta adombra i nostri protagonisti istituzionali, aggiunge che “Per beneficiare delle regole meno dettagliate e più flessibili in materia di pubblicità previste dalla direttiva sui servizi dei media audiovisivi senza frontiere di prossima adozione, l’Italia, alla stregua degli altri stati membri, deve rispettare ed applicare pienamente le disposizioni comunitarie in vigore ( cfr. www.key4biz.it)”.
A conferma della veridicità delle affermazioni-accuse che l’UE rivolge al nostro paese, uno studio indipendente ha evidenziato che le emittenti italiane non rispettano le disposizioni quantitative in materia di pubblicità stabilite dalla direttiva “Televisione senza frontiere”, in particolare la regola che fissa il tetto massimo a disposizione per le attività pubblicitarie per ora di trasmissione in 12 minuti, quella che prevede un intervallo di almeno 20 minuti tra due cicli di pubblicità e quella inerente le interruzioni pubblicitarie durante i film. Insomma, di carne al fuoco ce n’è a sufficienza per giustificare il risentimento delle istituzioni europee. Sembrerebbe lecito domandarsi, ingenuamente, come ciò sia possibile ed il perché di cotanta scelleratezza da parte dei due gruppi televisivi italiani di riferimento. La risposta è semplice ed il collegamento con la polemica poc’anzi sollecitata immediato. La regola UE è una direttiva, a differenza dei regolamenti non si innesta automaticamente nel nostro ordinamento giuridico (come si dice in gergo, non è “self-executing”), ma necessita di essere recepita dal Parlamento con una legge ad hoc che la interpreti e la adatti alla realtà nazionale. Così e stato, se non fosse che più che interpretare ed adattare, i nostri parlamentari, pare l’abbiano stravolta tradendone lo stesso spirito. Difatti, “abracadabra”, si è confezionato una normativa che, nel calcolare i tempi massimi di pubblicità, non tiene conto delle “televendite” che addirittura debordano dal limite dei 15 minuti giornalieri per ogni canale televisivo generalista, già fissati dalla regola sovranazionale per le finestre di programmazione a ciò deputate (con quale pregio, poi, queste non siano inquadrabili nell’ambito della promozione pubblicitaria il nostro legislatore non ce lo fa sapere… anche quest’aspetto sarà evidentemente devoluto alla tecnica dell’interpretazione delle leggi). Inoltre, contrariamente a quanto previsto dalla direttiva, per la legge italiana l’autopromozione non è una forma di pubblicità; ne consegue che nei programmi, tra cui anche i telegiornali, vi sono troppe e troppo lunghe interruzioni per spot. Aggiungasi, ulteriormente, il denunciato non rispetto della dignità umana e non discriminazione che, sempre a detta della Commissione e per come viene riportato da www.key4biz.it, sono parametri ai quali l’Europa si è conformata nella legislazione pubblicitaria e l’Italia non applica ai messaggi di autopromozione diffusi sui canali televisivi .
Ma c’è di più nelle considerazioni del Commissario Reding. Difatti, la stessa ha ragione di dubitare circa l’efficacia della procedura prevista dalla legislazione italiana per sanzionare le infrazioni in materia di pubblicità televisiva, troppo debole per riverberare sulle aziende televisive l’effetto dissuasivo proteggendo in modo efficace i consumatori. Sembra, dunque, sia per le reti più conveniente violare la legge piuttosto che ridurre il carico pubblicitario dai palinsesti.
Ennesimo pasticcio all’italiana, non si smette mai di indignarsi del modo con cui i nostri politicanti conducono le istituzioni nazionali verso il ridicolo dinanzi agli organi istituzionali europei. Rimane solo da ringraziare il legislatore nazionale per l’ottima cura riservataci.(Stefano Cionini per NL)

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