RayWay: le ragioni (valide) del digitale

Radio Passioni cerca di chiarire molte perplessità e di capire meglio l’atteggiamento di un grande broadcaster come la Rai nei confronti dell’evoluzione della radio verso il digitale


da Radio Passioni

Alla fine del seminario sulla radio digitale all’Ordine degli ingegneri di Milano della scorsa settimana, avevo chiesto ad Aldo Scotti, il responsabile per il controllo qualità dei servizi in RaiWay, la possibilità di approfondire alcuni temi in una chiacchierata personale. Stamattina sono andato a visitare l’ingegner Scotti e la sua collaboratrice responsabile dei due centri di controllo Rai di Monza e Sorrento, alla sede di Monza. Una fantastica palazzina progettata da Giò Ponti nel 1952.
Voglio ringraziare calorosamente Scotti e tutto il Centro controllo per la disponibilità dimostrata. La discussione mi ha permesso di chiarire molte perplessità e di capire meglio l’atteggiamento di un grande broadcaster come la Rai nei confronti dell’evoluzione della radio verso il digitale. Evoluzione che secondo Scotti è assolutamente inevitabile: prima o poi l’analogico verrà spento perché ci sono troppe motivazioni di qualità e maggiore efficienza del digitale per portare avanti all’infinito una politica di uso congiunto delle risorse spettrali. Detto questo, il passaggio non avverrà nell’immediato.
Lo staff di Scotti si è impegnato a lungo a valutare i sistemi T-DMB (ereditato dallo standard Eureka 147, ne abbiamo appena parlato) e DRM sia dal punto di vista della scelta e dell’implementazione, sia da quello delle misure sul campo, basate per il DRM sui risultati dei test da Siziano 693 kHz. In una stanza del centro di Monza sono allineati su uno scaffale non meno di sei ricevitori analogico e digitali Roberts-Sangean utilizzati, insieme alla strumentazione professionale, per una approfondita campagna di ascolti effettuata dai tecnici RaiWay.
Il risultato è una mappa del Nord Italia con una area colorata in blu che copre buona parte delle regioni del Nord e ampie zone di Toscana e Emilia Romagna. Inglobata in questa area blu, una area rossa corrispondente all’incirca alla pianura padana. Altre due macchie di rosso si trovano intorno a Genova e un’altra sul litorale della Versilia. Che cosa significano questi colori? L’area blu, spiega Scotti, indica l’area in cui uno strumento professionale riesce a decodificare le trasmissioni di Siziano in ore diurne. Quella rossa, più ristretta, indica la zona in cui l’ascolto è risultato possibile con il solo Roberts, un ricevitore classificabile tra gli apparati consumer (anche se relativamente più costoso di una radio normale).
Le prove svolte, prosegue Scotti, ci dicono che il DRM è molto più efficiente. La mappa si basa sulla ricezione di un segnale generato da un impianto di 37 kW. Se si volesse ottenere lo stesso tracciato con le onde medie analogiche la potenza impegnata (con più emittenti) sarebbe di 450 kW. Naturalmente non ho ragione di dubitare delle parole di Scotti, ma certo, le informazioni in mio possesso e quelle fornite da altri osservatori non professionisti della comunità del radioascolto, non sono altrettanto positive. Purtroppo non sono ancora in grado di visualizzare la mappa di cui stiamo parlando, ma a me non risulta che la ricezione dei 37 kW da Siziano permettano decodifiche così affidabili per esempio sulla costa dell’alto Adriatico. Devo però aggiungere una osservazione di Scotti che può avere molto peso: secondo l’esperto della Rai i risultati migliori per il DRM si ottengono con antenne magnetiche, non elettriche (come le antenne filari o verticali che siamo abituati a utilizzare noi DXer e ascoltatori “impegnati”). In effetti, il Roberts monta addirittura una piccola antenna in ferrite esterna rotabile, che i tecnici Rai hanno evidentemente saputo mettere ben a frutto.
Conversando con Aldo Scotti mi sono vieppiù reso conto che il mio punto di vista di hobbysta è difficilmente conciliabile con un approccio pragmatico da operatore. Scotti ha ribadito per esempio che a suo parere – un parere surrogato dalle verifiche sul campo – un segnale digitale DRM risulta decodificabile anche con valori di campo molto bassi e disturbati dal fading. Insomma, mentre io sostenevo di essere in grado di capire che cosa diceva Radio New Zealand sulle onde corte analogiche, malgrado il fading e che una contemporanea trasmissione digitale di Radio New Zealand risultava del tutto non utilizzabile, Scotti per le trasmissioni locali di Siziano sostiene l’esatto contrario (ho promesso anche di inviare una registrazione di Radio New Zealand perché secondo il tecnico sarebbe impossibile ricevere direttamente un segnale dalla Nuova Zelanda con soli 100 kW di potenza senza stazioni ripetitrici intermedie!)
Molto interessanti le opinioni sulla futura transizione verso il digitale, per la quale Scotti non ritiene debba essere indispensabile imporre una data precisa di switch off (che a suo modo di vedere ha reso più complicata e incerta la transizione al digitale televisivo). L’idea è che l’uso complementare del T-DMB nelle frequenze assegnate e del DRM sia in onde medie che in modulazione di frequenze debba essere regolamentato soprattutto dalle dinamiche di mercato. Il DRM, sottolinea Scotti, è di gran lunga più efficiente del T-DMB nell’uso delle frequenze perché in grado di trasportare, grazie alla modulazione più moderna, l’equivalente di 4 bit di informazione per Herz contro il bit per Hertz del DMB. In più, il DRM è una tecnica molto adatta alla digitalizzazione di una singola stazione, contro l’approccio basato su multiplex del T-DMB. Quest’ultimo però, farebbe bene a cominciare a sfruttare finalmente la porzione di banda L a esso assegnata, cosa che potrebbe diventare più facile una volta che Agcom avrà deciso in materia di procedura per la richiesta delle licenze. (La Rai sta effettuando una prova molto limitata di T-DMB in banda L su Torino.)
E’ possibile che una tecnologia in band come DRM sia in effetti più conforme alle esigenze di pluralismo e accessibilità da parte di emittenti locali e comunitarie. Ma qual è il parere di RaiWay sulla problematica della “convivenza” tra sistemi analogici e digitali nelle situazioni di implementazione del DRM o di IBOC? Intanto IBOC viene giudicato del tutto irrealistico in Italia a causa degli abnormi vincoli di protezione tra canali che nessuno qui riuscirebbe a rispettare. DRM, viceversa, si presterebbe molto meglio a un inserimento di stazioni digitali in un contesto tradizionale analogico. Sia sulle onde medie dove, afferma Scotti, rispettando la regola di una attenuazione di almeno 7 dB rispetto alle potenze dell’analogico, il DRM a 9 kHz sarebbe fin d’ora compatibile con la attuale canalizzazione ITU; sia in FM, dove il Digital Radio Mondiale versione “plus” potrebbe sfruttare separazioni di soli 50 o 100 kHz. Il presunto vantaggio di IBOC e della sua modulazione ibrida è solo apparente perché anche DRM+ può consentire la trasmissione simultanea di una componente analogica e una digitale. La cosa potrebbe essere gestita molto facilmente nel caso di stazioni FM monofoniche, utilizzando per la componente digitale lo spazio normalmente occupato dall’informazione “canale A-B” prevista per l’FM stereofonico. La versione definitiva del DRM+ dovrebbe essere approvata definitivamente dall’ITU entro il 2008 e a partire da quel momento sarebbe teoricamente possibile attivare le prime trasmissioni digitali sull’FM, senza troppi danni per le trasmissioni analogiche preesistenti.
Insomma, molti temi interessanti quelli affrontati con RaiWay, incluso quello relativo alla problematica dei contenuti e alla necessità, per gli editori radiofonici, di accettare proattivamente l’idea del cambiamento, considerando che del futuro mix di canali di distribuzione faranno sempre più parte le tecnologie di Internet con e senza fili. Quello dei contenuti sarà un tema fondamentale perché sarebbe del tutto insensato creare nuove, più estese modalità di trasporto senza che queste vengano davvero sfruttate. Un’idea, in questa fase di sperimentazione, potrebbe essere servirsi del DRM per veicolare il servizio che oggi permette ai non vedenti di ascoltare il racconto di uno sceneggiato televisivo (oggi questa opportunità viene offerta attraverso la rete in onde medie analogica).
Infine, la questione ricevitori: avremo finalmente un vero mercato di terminali alternativi all’analogico? Con volumi e price point comparabili? L’impegno in questo senso da parte di produttori di chipset e apparecchi sembra confermato, anche se i ritardi ci sono stati. Quanto al fattore prezzo, emerge un’obiezione sensata. I consumatori si sono abituati a un mercato dei telefonini caratterizzati da prezzi a volte molto elevati, su cui gli acquirenti spesso non battono ciglio. Trasferita in ambito radiofonico, questa lezioni potrebbe indurre a un certo ottimismo. Se la “nuova” radio è in grado di offrire di più, i consumatori potrebbero essere disposti ad accettare una soglia di accesso in linea con un mercato più evoluto. Spendendo qualche euro in più. Ma qui si ritorna al problema di cosa mettere dentro la nuova scatola radiofonica che presto o tardi dovremo aprire e consumare.

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