“Sempre meglio che lavorare – Il mestiere del giornalista”: Michele Brambilla racconta vent’anni d’esperienza da giornalista in Italia

Nomi, cognomi e indiscrezioni: il vicedirettore de “il Giornale” traccia un ritratto del mondo giornalistico italiano e dei suoi problemi congeniti


Sempre meglio che lavorare – Il mestiere del giornalista” è il titolo dell’ultima fatica di Michele Brambilla (foto), vicedirettore de “il Giornale” di Giordano, con alle spalle una lunghissima esperienza al “Corriere”, in stretta collaborazione con Indro Montanelli. “In Italia i giornalisti si dividono in due categorie: quelli che lavorano al Corriere e quelli che vorrebbero lavorare al Corriere”, si legge nelle prime pagine del suo libro, in uscita in questi giorni. Parole che provengono da chi, forse con un pizzico di sbruffoneria, narra diciotto anni della sua carriera al servizio della redazione milanese. “Sempre meglio che lavorare”, infatti, non è un testo sulla professione giornalistica intesa in senso teorico, né tantomeno vuol rappresentare una sorta di “scuola” per novelli cronisti. Questo libro, giurano coloro che lo hanno letto in anteprima, è una sorta di collage d’esperienze, personali e non, che hanno al centro del proprio fuoco la redazione giornalistica ed i suoi componenti. Componenti con un nome ed un cognome, la gran parte dei quali ben noti al grande pubblico italiano. “All’uomo interessa l’uomo”, diceva in proposito Montanelli, e forse questa sarà una delle ragioni per cui i critici giurano che il libro si toglierà molte soddisfazioni in libreria. Brambilla è un giornalista che i più ostili definirebbero “ultraconservatore”; la sua carriera si è svolta, giornali di provincia a parte (è stato direttore, ad esempio, de “La Provincia”, quotidiano comasco), tra fogli molto blasonati, tutti dichiaratamente conservatori. I primi passi li ha mossi proprio nella redazione di Via Solferino, lasciano presagire una carriera ricca di soddisfazioni. Da sempre adepto di Montanelli, pur non avendoci mai lavorato, è stato vice capo cronista di Milano, quindi vice caporedattore della Cultura e del magazine “Sette”. Del grande maestro, però, Brambilla ha un po’ ripercorso le tappe (perlomeno come testate in cui ha lavorato…): lasciato il “Corriere” per la direzione de “La Provincia” nel 2002, infatti, dopo una breve collaborazione con “Libero” è diventato vicedirettore de “il Giornale”, prima con Belpietro, ora con Giordano. Certo, “il Giornale” di Montanelli era di ben altra pasta, ma non v’è dubbio che Brambilla nella sua scelta professionale abbia influito la riverenza che nutre nei confronti del fondatore de “La Voce”, il quale ha anche scritto la prefazione del suo libro “L’Eskimo in redazione” e del quale ha curato “Le nuove stanze” (Rizzoli, 2001), libro-testamento di uno dei più grandi giornalisti del secolo passato. Brambilla è noto anche per essere un giornalista dichiaratamente cattolico; ha scritto numerose opere riferite all’ambito religioso (“Gente che cerca. Interviste su Dio” del 2002 o “Gesù spiegato a mio figlio”, dello stesso anno, ad esempio).
In “Sempre meglio che lavorare” vi sono molte storie, aneddoti interessanti sul giornalismo italiano dell’ultima fase del novecento, decisamente interessanti per chi si affaccia a questa professione, ma anche per chi ha vissuto la storia del “secolo breve”, raccontata dalle penne dei personaggi ritratti. Infine, un ammonimento per i novelli giornalisti, per coloro che sono ancora romanticamente innamorati di questa professione: “magari i più vogliono fare i giornalisti perché pensano di poter girare il mondo. Se questo è il loro obiettivo sarebbe meglio che si imbarcassero sull’Amerigo Vespucci […] con i voli low cost gira oggi di più il mondo una cassiera del supermercato di periferia che un medio giornalista”. (Giuseppe Colucci per NL)

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