Venti di crisi, Radio: mercato della pubblicità locale impazzito?

Il medium radiofonico su scala locale sta reagendo alla crisi finanziaria in maniera schizofrenica


Al momento la crisi internazionale è ancora di carattere finanziario, ma, senza correttivi efficaci, presto potrebbe degenerare in crisi economica, con i conseguenti significativi effetti sui consumi (peraltro già misurabili) e quindi, a cascata, su ogni aspetto sociale. Per l’intanto, il mercato della pubblicità reagisce a modo suo allo scenario contingente. Tuttavia, se su scala nazionale il settore è ampiamente monitorato, sicché è relativamente facile disporre di dati attendibili anche nel breve termine, sul metro locale la situazione è, come sempre, difficilmente interpretabile. La raccolta della pubblicità sulle radio locali (nell’accezione più vasta del termine) sfugge, infatti, alla maggior parte dei rilevatori, perché è impossibile tenere sotto controllo il mercato sia per la polverizzazione del medium nel nostro paese che per l’impossibilità di accertare in tempo reale, o comunque nel breve termine, il volume di investimenti pubblicitari ad esso destinato. Il migliaio di radio teoricamente attive sul mercato italiano (tra commerciali e comunitarie, che pure raccolgono pubblicità sebbene, ovviamente, in percentuale poco rilevante ma sufficiente ad influenzare le statistiche), che, nella realtà fattuale, si traducono in circa 900 soggetti giuridici (molti sono titolari di più emittenti che generano, naturalmente, un unico fatturato) – dei quali meno di 300 si spartiscono l’80% dei ricavi pubblicitari ed i restanti sopravvivono con la quota economica residuale – non è in grado di restituire immediatamente i propri dati economici. Le informative sistemiche vengono infatti conosciute ad oltre un anno di distanza, in occasione del deposito dei bilanci e/o della ricostruzione degli stessi ai fini degli adempimenti previsti dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Sul fronte degli inserzionisti locali, stante la natura eterogenea degli stessi, non è analogamente ricostruibile un dato attendibile degli investimenti effettuati sul medium radiofonico.
Orbene, per cercare di comprendere, nel limite del possibile e con tutte le cautele di un esame sommario, cosa stia succedendo, questo periodico ha misurato il polso della raccolta pubblicitaria radiofonica su scala locale (almeno per quanto riguarda il mercato areale o superlocale), intervistando un numero considerato significativo di editori equamente distribuiti sul territorio nazionale. La pur limitata analisi ha permesso di rilevare che, dopo un agosto disastroso (nel senso di “più disastroso” delle precedenti annualità) ed un inizio di settembre fiacco, verso la fine del mese scorso, pressoché ovunque, è stata registrata un’impennata, o comunque un segnale positivo, della prenotazione delle inserzioni sulle più influenti radio locali commerciali per territorio, pur per brevi durate di emissione (del resto pare che i contratti di durata inferiore ai tre/quattro mesi siano ormai la regola). Difficile dire quanto ciò sia stato determinato da una reazione spasmodica del mercato alla crisi finanziaria, che potrebbe aver condotto molti esercenti attività commerciali a pensare di stimolare gli acquisti attraverso campagne pubblicitarie sui media areali (o almeno su alcuni di essi, posto che la stampa locale vive ormai una crisi cronica), piuttosto che da un mix di contromisure adottate dagli editori stessi per cercare di bilanciare la sofferenza di raccolta dei mesi precedenti attraverso un’intensificazione della vendita, magari anche con azioni di dumping. Chiaro che, qualunque delle due fosse la motivazione, ci si troverebbe di fronte a dati poco rappresentativi del trend generale di raccolta pubblicitaria, posto che occorrerebbe prima scoprire se il fenomeno misurato è il classico fuoco di paglia piuttosto che il risultato di una contromisura commerciale di medio periodo (nel qual caso verrebbe influenzato positivamente il settore nel relativo lasso temporale). Va, infatti, rilevato come il classico paradosso pubblicitario per cui un inserzionista investe quanto il mercato già tira (e quindi ha risorse economiche da destinare al budget) e non quando ha veramente bisogno di pubblicità per aumentare le vendite (ma non ha soldi da spendere), potrebbe, in questo momento di fortissima pressione psicologica e mediatica sul rischio recessione, cortocircuitare e, paradossalmente, determinare un comportamento inusualmente logico e almeno potenzialmente virtuoso. Altrettanto evidente è che in questa particolare fase economica gli inserzionisti che decidessero di rivolgersi al medium radiofonico locale per bilanciare il calo delle vendite attraverso azioni di propaganda commerciale potrebbero aspettarsi ottimisticamente reazioni dalle campagne pubblicitarie maggiori o migliori di quelle che, in realtà, il particolare momento è in grado di riservare, sia per la contingenza che per le caratteristiche del medium impiegato per la veicolazione delle promozioni, con conseguenze negative immediate sul proseguimento dell’investimento. Da non sottovalutare, poi, il rischio insolvenza connesso a soggetti che dovessero avviare campagne pubblicitarie temerarie o addirittura disperate confidando di poter coprire i costi dell’investimento con i ritorni della pubblicità stessa.

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