L’idea è questa. Consentire a circa 3 milioni di persone, presumibilmente povere ed escluse dal frenetico mondo moderno, di essere online. Per fare ciò Google avrebbe intenzione di acquistare ben 16 satelliti a bassa orbita, i quali, a loro volta, potrebbero diffondere facilmente la rete in molti paesi africani. E se si sottolinea facilmente è proprio perché qualcuno – trattasi nello specifico dell’imprenditore americano Greg Wyler – nel vicino 2006, tentò di seminare fibra ottica tra le strade del burrascoso Rwanda. Il risultato fu tra i peggiori: i costi per l’installazione si rivelarono troppo elevati (circa venti volte più alti che negli Stati Uniti); i territori si dimostrarono – e sono tuttora – troppo vasti (sebbene in questo gli Stati Uniti non sono certo da meno e dunque, per qualcun altro, il secondo problema poteva essere del tutto irrilevante). Così da Mountain View arriva una soluzione migliore. Anzi, la soluzione. Quella di sistemare poco meno di una ventina di satelliti a bassa orbita sui cieli africani, così da rendere disponibile il web a costi accessibilissimi (stando a quanto è stato riferito dalla grande G, ridotti addirittura del 95%). L’operazione, da effettuarsi con l’appoggio della televisione via cavo d’oltre oceano John Malone, è stata battezza O3B, Other 3 Billion, altri 3 miliardi: è curioso ricordare che la totalità della popolazione africana sorpassa di poco gli 800 milioni di abitanti. Di conseguenza 3 miliardi sembrano identificare meglio l’ammontare degli utili di Google, dall’inizio alla fine dei lavori. Comunque sia, il progetto googliano ha riscosso interesse da ogni angolo del pianeta, sebbene in una circostanza simile, chiunque avrebbe auspicato l’arrivo di lamentele dai blogger più perfidi (per esempio: “perché Google porta in Africa i bit prima dell’acqua?”, “cosa se ne fa dei social network una tribù che balla per invocare la pioggia?”, ecc.). Stupisce addirittura la citazione silenziosa della notizia da parte del sito www.missionaridafrica.org. Ma del resto, ricorda il titolo di un articolo sull’argomento di Punto Informatico, “Google è collegamento”. O forse un tecnologico semidio in grado di risolvere le piaghe del digital divide. (Marco Menoncello per NL)