Incroci Tv e stampa: la saga del “milleproroghe” e l’antitrust che non piace alla politica

La storia delle evoluzioni del Decreto cosiddetto “milleproroghe”, nella sua parte che riguarda la norma sul divieto di concentrazioni editoriali tra stampa e televisione, può essere considerata emblematica di una politica ormai ridotta a scenario di facciata.

Una politica (intesa come nobile "arte di governare le società") platealmente sbandata, dentro la quale si muovono soggetti e poteri che poco hanno a che fare con l’interesse pubblico e il sano sviluppo sociale ed economico della collettività. Riassumiamo. il Testo unico della radiotelevisione (D. Lgs. 177/2005) sancisce il divieto, per i soggetti che esercitano l’attività tv in ambito nazionale attraverso più di una rete, di acquisire partecipazioni di imprese editrici di giornali quotidiani o costituirne di nuove, fino al 31 dicembre 2010. L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, temendo che questo limite venga meno, a fine anno 2010 fa notare che il mercato italiano non è maturo al punto da potersi permettere l’abolizione di una norma antitrust così importante; il rischio è ovviamente quello di rafforzare posizioni già ampiamente dominanti a scapito della quasi inesistente concorrenza. I timori si rivelano fondati: il “milleproroghe”, nella sua prima formulazione, si limita a spostare di soli tre mesi il limite, fino al 31 marzo 2011. Le reazioni sono alquanto tiepide, per non dire inesistenti, e questo dovrebbe indurre qualche riflessione nell’osservatore più attento. La prima modifica che viene introdotta al Senato sembra correre ai ripari, ma solo apparentemente: si prorogano i termini a dicembre 2012 introducendo però una serie di meccanismi di calcolo dei “pesi” di mercato che sembra fatta apposta per mettere i bastoni tra le ruote ad almeno un paio di attori importanti: Sky e Telecom Italia. A questo punto arriva lo stop del Quirinale: nel testo non si possono mettere norme ordinamentali, ma solo proroghe. Ed ecco che ritorna il semplice divieto fino al 31 dicembre 2011. Anzi, no: perché non ritornare all’origine, ovvero al 31 marzo? E in quest’ultima formulazione il Decreto diventa legge, prevedendo peraltro la possibilità di un’ulteriore proroga tramite l’emanazione di un DPCM che molti, per ovvie ragioni, considerano improbabile. Nel frattempo va in scena il consueto teatrino delle dichiarazioni: le opposizioni parlano di ennesimo provvedimento “ad personam” per favorire Mediaset/Berlusconi nelle sue presunte intenzioni di mettere le mani sul Corriere della sera, la maggioranza si trincera dietro la necessità di conformarsi alle prescrizioni del Capo dello Stato. Alla fine però il dubbio rimane, e fonti bene informate lo confermano: l’abolizione del limite antitrust potrebbe far comodo non solo a Mediaset/Berlusconi ma anche ai suoi attuali concorrenti, considerati vicini a determinati ambienti dell’opposizione. Così forse si spera di favorire la “strana alleanza” tra Murdoch e il gruppo L’Espresso, tenuta insieme non certo dalla comune visione politica, ma sicuramente dall’avversione verso Berlusconi e dalla montagna di soldi che il magnate australiano è in grado di riversare sul mercato. In tutto ciò il pluralismo dell’informazione, invocato ad uso e consumo delle proprie esigenze di costruzione del consenso, rischia di rimanere inchiodato ancora una volta al suo destino di vuota formuletta, buona per tutte le occasioni. (E.D. per NL)

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