La tutela cautelare nel processo amministrativo e la riedizione del potere: patologia del provvedimento amministrativo adottato in violazione di misura cautelare

Il complessivo disegno riformatore realizzato dal legislatore attraverso le ultime leggi processuali e sostanziali hanno spinto la P.A. da una parte ed il G.A. dall’altra verso una concezione sostanzialistica dell’azione amministrativa


Le novita’ di Diritto & Diritti del 04/10/2007

Siracusa Sergio

1. Il processo e la tutela cautelare dopo la L. n. 205/00;
2. I rapporti tra il provvedimento cautelare, il giudicato e l’art. 21 sepites, L. n. 241/90;
3. Il contrasto giurisprudenziale: Tar Liguria, II Sez., n. 158/07;
3.1 (Segue) Il contrasto giurisprudenziale: Cons. Stato, VI Sez., n. 2950/07; conclusioni.

1. Il processo e la tutela cautelare dopo la L. n. 205/00

Il complessivo disegno riformatore realizzato dal legislatore attraverso le ultime leggi processuali e sostanziali – dalla L. n. 205/00 alla riforma della L. n. 241/90 di cui alle leggi nn. 15 e 80 dell’anno 2005 – hanno spinto l’Amministrazione da una parte ed il Giudice Amministrativo dall’altra verso una concezione sostanzialistica dell’azione amministrativa, utile a superare i formalismi determinati dall’occasionalismo legislativo che mediante dette riforme si è cercato di ricomporre; il radicale mutamento di approccio registrato circa il modo di considerare l’atteggiarsi dell’azione amministrativa, provvedimentale e non, ha guidato il percorso evolutivo – dall’amministrazione per atti all’amministrazione per risultati – favorendo l’interpretazione e la rielaborazione di alcuni principi cardine dell’agire amministrativo attraverso gli strumenti dell’analisi economica del diritto (1), ed in particolare offrendo una rivisitazione in chiave fenomenologica e non più meramente programmatoria del concetto di risultato, proiezione in termini di diritto cogente del percorso di positivizzazione dei valori costituzionali di buon andamento della p.a. operata sin dalla L. 241/90 con l’introduzione nell’ordinamento dei principi di efficacia ed efficienza.
Parallelamente tale percorso ha involto ed interessato anche il livello giurisdizionale relativo all’attività della p.a.; com’è stato osservato “riforma della pubblica amministrazione e riforma del processo insieme stanno e insieme cadono” (2), ed i cambiamenti intervenuti nel modo di essere della pubblica amministrazione e nel modo di incidere sulla sua azione hanno imposto la necessità di intervenire nel processo amministrativo, che della tutela dell’equilibrio del complesso assetto di interessi governato dall’azione pubblica costituisce strumento e presidio di effettività.
E sotto tale angolazione prospettica, con riferimento soprattutto al rinnovato ruolo del processo amministrativo quale strumento di regolazione di contrapposti interessi, è stato autorevolmente sostenuto che oggi di “giurisdizione di risultato” sarebbe appropriato parlare(3), e ciò sia nel senso di aspettarsi che il processo divenga capace di assicurare alla parte che ha ragione tutto ciò che spetta sulla base del diritto sostanziale, sia nel senso di far rientrare sempre più nell’oggetto della cognizione non già soltanto il frammento di azione amministrativa rappresentato dall’atto impugnato, bensì la pretesa sostanziale in termini di spettanza o non spettanza di un certo bene della vita che il ricorrente mira a conseguire o a conservare, al di là dello schermo dell’atto o della sequenza di atti impugnati.
Del resto tale processo di sostanzializzazione della tutela è stato indotto ed al tempo stesso accelerato dalla influenza del diritto comunitario e segnatamente dalla necessità di offrire un’adeguata risposta sia alle esigenze di effettività/tempestività/completezza della tutela giurisdizionale imposte dalla giurisprudenza comunitaria sia alla necessità dell’omologazione della nostra tutela giurisdizionale con le istanze prepotentemente affermate nell’ordinamento comunitario, anche alla luce delle esperienze degli altri paesi dell’Unione Europea (4); in questo senso la codificazione ex art. 7, L. n. 205/00 del diritto al risarcimento innanzi al G.A. del danno da lesione di interessi è prova della necessità imposta al legislatore nazionale di ampliare il novero delle soluzioni processuali capaci di dar risposta a tutte le tipologie di posizioni giuridiche vantate dai privati, quale che sia la qualificazione che per esse l’ordinamento statuale abbia scelto (5).
Nell’ambito di tale ampio disegno di riforma inteso ad incidere in senso innovativo su istituti e regole fondamentali del processo amministrativo, la legge 21 luglio 2000, n. 205 ha in particolare provveduto a dettare una nuova disciplina del sistema di tutela cautelare proprio di quel processo (6): ferma la caratteristica strumentalità del procedimento cautelare, si è cercato di accentuare la sua efficacia anticipatoria, nel senso di potenziare una tutela capace di garantire la fruttuosità del provvedimento finale cui la domanda cautelare rimane finalizzata.
Tale è la ratio rinvenibile nel superamento della identificazione della misura cautelare adottabile dal giudice amministrativo nella sola sospensiva dell’esecuzione dell’atto impugnato – evidentemente inadeguata ad assicurare una effettiva e piena tutela interinale delle posizioni soggettive – realizzato attraverso la novella dell’art. 21, L. n. 1034/71, che peraltro evoca chiaramente la formulazione letterale dell’art. 700 c.p.c. rimandando a quella tipologia di tecnica di tutela.
L’art. 3, L. n. 205/00 difatti, riformulando il precetto del citato art. 21 legge TAR, ha previsto che il G.A. possa adottare le misure cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma di denaro, che appaiono secondo le circostanze più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso: questa disposizione ha di fatto consentito di superare l’asfittico modello monistico della tutela parentetica ed ha consacrato in via legislativa il principio di atipicità ed elasticità delle tecniche di tutela cautelare nel processo amministrativo, facendo ius receptum dell’orientamento già affermatosi nelle pronunce dei giudici costituzionali e comunitari (7).
Ancora la previsione della possibilità di una tutela cautelare monocratica destinata ad anticipare le determinazioni di competenza collegiale (cd. decreto cautelare di urgenza di cui all’art. 3 co. 1, L. n. 205/00 – art. 21 bis, L. n. 1034/71) ha demolito il dogma della necessaria collegialità delle pronunce del giudice amministrativo, ancorché non possa sostenersi che in tal guisa sia stata introdotta nel processo amministrativo una vera tutela cautelare preventiva stricto sensu (la cui irrinunciabilità era stata confutata dalla giurisprudenza costituzionale con l’iniziale arresto registrato con l’ordinanza C. Cost. n. 179/02).
Ed ancora a tal riguardo, sotto concorrente profilo, la necessità di recepimento della normativa comunitaria (art. n. 72 ed art. n. 81 rispettivamente delle direttive n. 2004/17/CE e n. 2004/18/CE, in conformità alle c.d. direttive ricorsi n. 89/665/CEE e n. 92/13/CEE) ha portato il legislatore alla codificazione, nel settore dei contratti pubblici, di una tutela cautelare ante causam (stavolta sì in senso proprio) nel processo amministrativo, operata dell’art. 245 D.lgt. 163/06, all’esito delle sollecitazioni provenienti dalla Corte di Giustizia e nonostante la posizione critica originariamente espressa dalla giurisprudenza costituzionale sopra citata (C. Cost., ord. n. 179/02)

2. I rapporti tra il provvedimento cautelare, il giudicato e l’art. 21 sepites, L. n. 241/90.

Orbene questo breve lavoro, senza avere la pretesa di analizzare nel dettaglio la disciplina dei procedimenti o la tipologia dei provvedimenti cautelari delineati dalla L. n. 205/00 – al di là del rapido riferimento effettuato al back-ground ed alle direttrici che hanno ispirato l’intervento riformatore in materia – intende piuttosto proporre delle riflessioni su quale possa considerarsi nel vigente ordinamento l’impatto e l’efficacia della tutela parentetica, momento pregnante di realizzazione delle istanze di effettivo conseguimento/conservazione del bene della vita dedotto nel processo; e tanto soprattutto dal punto di vista della p.a., al fine cioè di analizzare le capacità del provvedimento giudiziale di cautela di consumare il potere provvedimentale facente capo all’amministrazione e sotteso alla fattispecie di lite.
Più nel dettaglio si tratta di considerare il grado di incisività della tutela offerta dalla pronuncia cautelare all’interno di una coppia di coordinate.
La prima, sul versante giurisdizionale, è integrata dal rapporto esistente tra l’efficacia della statuizione giudiziale provvisoria non impugnata a fronte della forza granitica del giudicato il quale, come sappiamo, vincola sinanche il legislatore; la seconda, sotto il profilo sostanziale, è costituita dalla relazione tra il principio di inesauribilità del potere amministrativo, che impedisce di ritenere consumabile la facoltà della p.a. di intervenire nei rapporti riconducibili alle funzioni pubbliche, e i profili di nullità del provvedimento amministrativo avente contenuto violativo od elusivo del giudicato, come affermati dal legislatore della novella n. 15/05 (art. 21 septies, L. n. 241/90) a codificazione di un orientamento proveniente dalla giurisprudenza circa la ritenuta immanenza nell’ordinamento di tali ipotesi virtuali di nullità provvedimentale.
Sul piano processuale il nodo gordiano intorno al quale si è incentrato il dibattito dottrinale è rappresentato dal grado di definitività e di stabilità da riconoscere ai provvedimenti di natura cautelare; in altre parole il profilo problematico considerato è integrato dal tasso di non modificabilità e dalla capacità di regolare in maniera tendenzialmente definitiva l’assetto di interessi composti dalla pronuncia resa nella fase cautelare, a fronte della natura ancillare e strumentale che tipicamente connota la fase parentetica.
Dal punto di vista sistematico la questione involge problematiche sottese alla qualificazione stessa della natura della tutela cautelare; si tratta in effetti di valutare l’attitudine al giudicato della decisione preventiva e strumentale, la capacità di resistenza e la forza passiva delle statuizioni rese in via provvisoria, ed in sostanza l’efficacia conformativa nei confronti della p.a posseduta dal provvedimento, sia avuto riguardo alla sua concreta capacità di stimolare l’ulteriore attività provvedimentale sia avuto riguardo alla idoneità a circoscrivere l’ampiezza del potere pubblico esercitabile all’interno dei confini posti ab externo dalla necessaria osservanza al provvedimento giudiziale, regula iuris del rapporto dedotto in lite (8).
Sul piano sostanziale l’obiettivo di approntare una soluzione de iure condito al problema è stato, come anticipato, affrontato dal legislatore della novella L. n. 15/05, con l’intervento chiarificatore (dacchè di intervento innovativo non sembra opportuno parlare) positivizzato nella previsione di cui all’art. 21 septies della riformata L. n. 241/90 (9); tale previsione tuttavia, nel fare espresso riferimento alla ipotesi di “violazione od elusione del giudicato” lascia aperto il fronte del dibattito sul problema della qualificazione in termini di patologia dei provvedimenti della p.a. contrastanti con statuizioni giudiziali non aventi forza di giudicato (10).

3. Il contrasto giurisprudenziale (Tar Liguria, II Sez., n. 158/07; Cons. Stato, VI Sez., n. 2950/07).

La questione, nella sua portata problematica delineata all’interno della coppia di coordinate sopra tracciata, ha invero originato un contrasto in giurisprudenza registrato tra l’orientamento manifestato da alcuni giudici di primo grado rispetto alla posizione successivamente assunta dal Consiglio di Stato.
Due recenti pronunce ci danno l’opportunità di considerare la differenza di approccio critico alla medesima fattispecie di diritto.
Un primo orientamento ha evidenziato un’opzione ermeneutica tendente a limitare la portata applicativa della norma, circoscrivendo entro i limiti derivanti da un’interpretazione letterale della legge l’ambito oggettivo di applicazione della sanzione della nullità provvedimentale ex art. 21 septies L. n. 241/90.
In tale direzione muove Tar Liguria, II sez., n. 158 del 02.02.07. Nella fattispecie esaminata il ricorrente aveva ottenuto in via cautelare la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato; di poi l’amministrazione adottava un provvedimento contrastante con il comando cautelare, ancorchè fondato sui medesimi presupposti dell’atto impugnato. Il Collegio sulla censura di nullità ai sensi dell’art. 21 septies l. 241/90 così si esprime: “L’ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo prevista dalla norma invocata attiene alle ipotesi di contrasto del provvedimento con un giudicato. Ne consegue che la norma stessa non vale a disciplinare le ipotesi in cui il provvedimento contrasta con le statuizioni di un ordinanza cautelare ancorché non più soggetta a gravame (c.d. giudicato ”improprio” cautelare). Ed invero la intrinseca provvisorietà delle misure cautelari, che possono essere modificate e revocate, non consente di attribuire alle stesse la definitività nella regolazione del rapporto proprie delle sentenze passate in cosa giudicata”.
Il pregio della pronuncia del Tribunale ligure risiede senz’altro nella corretta individuazione della portata oggettiva della norma e nel mettere criticamente a fuoco i limiti derivati alla stessa non solo dalla sua formulazione letterale ma anche dall’espressa opzione legislativa di fissare il limite del potere della p.a. di fronte all’A.G. ancorandolo alle sole statuizioni da considerare immodificabili per l’ordine giuridico.
In tal modo la pronuncia finisce per disvelare l’inettitudine/inidoneità della norma de quo a prestarsi ad interpretazione tanto estensiva da colmare in via ermeneutica la discrasia esistente tra il suo ambito oggettivo di applicazione, limitato al giudicato, e l’intentio legis di espandere la previsione di nullità a tutte le ipotesi nelle quali la riedizione del potere provvedimentale della p.a. vanifichi la portata del provvedimento giurisdizionale.
E tuttavia tale recente orientamento non ha mancato di destare la perplessità in dottrina dei primi commentatori (11). Si è sostanzialmente obiettato che pur rimanendo incontestabile come la decisione cautelare ontologicamente non possegga l’attitudine a regolamentare in via definitiva l’assetto di interessi considerato, non potendosi alla stessa riconoscere la irreversibilità e stabilità che caratterizza la sentenza divenuta inoppugnabile, non può per converso disconoscersi che l’assetto fattuale consolidato dalla statuizione cautelare non impugnata, sebbene connotato da un’intrinseca provvisorietà, non appare suscettibile di essere stravolto oppure aggirato da un riesercizio di potere amministrativo da parte dell’amministrazione.
Se ciò accadesse finirebbe per venir meno una delle ragioni fondanti l’essenza stessa della tutela cautelare ovvero quella strumentalità che perderebbe la propria giustificazione causale ove si ammettesse la possibilità per la p.a. di incidere sull’assetto di interessi che proprio il provvedimento giurisdizionale mirava a preservare; non può difatti trascurarsi, anche a voler far leva sull’invocato carattere di strumentalità della tutela parentetica, che il parametro di riferimento cui ancorare il giudizio stesso di strumentalità rimane sostanziato da tutti gli effetti che essa determina e tra questi, inter cetera, l’obbligo per la PA di rieditare il potere nel rispetto delle indicazioni cogenti fornite dal provvedimento giurisdizionale.
Ma a ben vedere una mera riedizione del potere amministrativo, vieppiù mossa dai medesimi presupposti fattuali e giuridici di quelli considerati in fase di cautela, minerebbe anche il principio di divisione dei poteri fondante l’assetto costituzionale, sottraendo alla sfera dei poteri giurisdizionali di vigilanza e di sindacato di legittimità dell’operato della p.a. la situazione incisa dal dictum giudiziale e profittando, in altre parole, del regime di relativa stabilità del provvedimento giurisdizionale di cautela per distorcere il fine che muove la stessa ragion d’essere del potere provvedimentale riconosciuto all’amministrazione.
D’altra parte ove si consideri che la ratio della norma che sancisce la nullità provvedimentale per violazione o elusione del giudicato trova il proprio fondamento, come appena ricordato, nel superiore principio costituzionale di divisione dei poteri, deve necessariamente qualificarsi come nullo ed improduttivo di effetti il provvedimento amministrativo che impinge in un assetto di interessi “organizzato” in conseguenza dell’esercizio di un potere giurisdizionale, anche se di natura cautelare, ed avverso il quale la parte pubblica non ha esperito i rimedi processuali previsti dall’ordinamento (12).
Da ultimo vale poi la pena considerare che il dictum cautelare giurisdizionale verrebbe svuotato di effettività qualora fosse concesso all’amministrazione di “contrastarlo – invece che con i rimedi processuali all’uopo contemplati dall’ordinamento – mediante una riedizione del potere amministrativo esercitato, a tal punto, in spregio all’ordine cautelare medesimo” (13).

3.1 Il contrasto giurisprudenziale (segue): Cons. Stato, VI Sez., n. 2950/07; conclusioni.

A suffragare tale tipo di lettura critica proposta nei confonti di un’interpretazione anelastica dal punto di vista sistematico e restrittiva rispetto all’effettività della portata espansiva della norma di cui all’art. 21 septies L. n. 241/90, soccorre il revirément del Consiglio di Stato che offre, con la sentenza n. 2950 del 04.06.2007, sez. VI, un’interpretazione attestante una chiara inversione di tendenza rispetto alla posizione del Tar Liguria n. 158/07.
La pronuncia esamina una fattispecie in cui, nell’ambito di un procedimento di gara mediante pubblico incanto, era stato emanato provvedimento di aggiudicazione definitiva successivamente all’ordinanza con la quale il Collegio aveva accolto l’istanza cautelare di sospensione della sentenza gravata, accordando quindi una misura cautelare volta a sospendere l’aggiudicazione provvisoria e tendente ad inibire la futura aggiudicazione definitiva e le misure conseguenti, pena la sua inutilità.
La circostanza offre l’occasione al Supremo Collegio per fare chiarezza sulle zone grigie di applicazione della previsione di cui all’art. 21 septies, L. n. 241/90, fugando le perplessità emerse in seguito ad alcune interpretazioni restrittive della giurisprudenza di cui sopra si è dato conto.
L’opzione ermeneutica dei giudici di Palazzo Spada è chiarissima: “L’intervento del provvedimento di aggiudicazione definitiva in costanza di una misura cautelare che tale approdo amministrativo precludeva, configura un’ipotesi paradigmatica di carenza di potere sanzionata con la nullità ai sensi della regula juris sottesa al disposto dell’art. 21 septies, comma 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241”.
Come si può notare l’affermazione del principio contenuto nella pronuncia esaminata va ben oltre le perplessità già manifestate da quelle interpretazioni che volevano equiparate le ipotesi di cd. giudicato cautelare a quelle del giudicato ordinario ai soli fini dell’applicazione della norma sulla nullità dei provvedimenti violativi od elusivi del giudicato; ed a ben vedere la lettura della norma proposta nella sentenza in argomento assorbe sinanche le censure circa il paventato strappo ai principi costituzionali di divisione dei poteri correlato ad un’interpretazione oltremodo rigida della norma sulla nullità.
L’interpretazione del Consiglio di Stato approda piuttosto ad una lettura in chiave sistematica della norma disciplinante la nullità dei provvedimenti per contrasto al giudicato, ascrivendo tali ipotesi di nullità non già alla categoria delle nullità testuali bensì individuando nel precipitato dell’art. 21 septies, co, 2, L. n. 241/90, la regula juris sottesa al regime di tali tipologie di nullità; nel disposto della legge viene colta l’espressione di un principio più ampio, immanente nell’ordinamento, coincidente con la ratio più intima che assicura la coerenza del sistema tra tutte la tipologie patologiche derivanti dalla sostanziale inosservanza dell’amministrazione alla portata conformativa di una pronuncia giurisdizionale, quale che sia la natura, cautelare o di annullamento, della stessa.
In questo senso possiamo considerare come la pronuncia raccolga felicemente le istanze di tipo sostanzialista proponendo una lettura della norma ex art. 21 septies L. n. 241/90 orientata ai principi di effettività della tutela cautelare ed in ciò mostrando la sensibilità del Supremo Collegio ai principi-valori di derivazione comunitaria, nell’obiettivo di non discriminare in termini di diminuite garanzie la posizione giuridica protetta da un giudicato in senso stretto rispetto a quella protetta da una statuizione giurisdizionale (cautelare) non avente autorità di giudicato tutte le volte in cui alla posizione della p.a., rispetto al potere di riedizione di un provvedimento sostanzialmente analogo a quello censurato, si impongano la medesima barriera preclusiva e lo stesso ordine di limiti individuabili dalle indicazioni cogenti fornite dal provvedimento giurisdizionale; e tale indirizzo è destinato ad improntare l’esercizio del potere amministrativo, orientando la corretta amministrazione del fine pubblico in relazione alla fattispecie di lite, nel rispetto, si intende, dei confini di merito rimessi alla discrezionalità della p.a.
L’ispirazione della soluzione ermeneutica appare coerente con le premesse che fanno dell’azione amministrativa da un lato e del processo amministrativo dall’altro lo strumentario del rinnovato principio-valore di legalità-giustizia, in funzione di espansione (e non già in chiave di mera contrapposizione) del parametro legalità-legittimità caro alla dottrina classica; sullo sfondo, per concludere con le parole di un’autorevole autore (13) “non risulta mutato attraverso le riforme ed in ossequio ad una opzione efficientista – improponibile se concepita come mera alternativa – l’obiettivo generale dell’azione amministrativa che rimane, semplicemente, quello di pervenire ad una decisione provvedimentale intrinsecamente legittima”.

NOTE

1. Crf. F. Saitta, “Appunti preliminari per un’analisi economica del processo amministrativo”, Comunicazione al Convegno su Analisi economica e diritto amministrativo, Venezia, 2006.
2. F. Bianchi, Presidente Tar Lazio-Latina, “Relazione di inaugurazione anno giudiziario 2007”, in www.giustizia-amministrativa.it.
3. M. Clarich, ”Il processo amministrativo a rito ordinario”, in Rivista di Diritto Processuale Amministrativo, 2002, n. 4.
4. G. Pittalis, Relazione al Seminario “Aspetti problematici nella riforma del processo amministrativo”, Bologna, 2000.
5. E. Picozza in “Diritto dell’economia: disciplina pubblica”, Padova, 2005, osserva a proposito di analisi economica del diritto e comunitarizzazone del diritto amministrativo sostanziale e processuale:”Il diritto amministrativo cambia perché vi è uno scontro fra teologia politica e teologia del mercato, fra il Dio Stato e il Dio Mercato, fra la democrazia e la tecnica”.
6. R. Garofoli, La tutela cautelare degli interessi negativi, in Rivista di Diritto Processuale Amministrativo, 2002, n. 4; ancora sul nuovo processo cautelare dopo la legge n.205 del 2000 cfr. R .Garofoli – M. Protto, “Tutela cautelare, monitoria e sommaria nel nuovo processo amministrativo”, Milano, 2002.
7. V. Telera, “La tutela cautelare con particolare riferimento al Codice dei contratti pubblici”, in www.ildirittopericoncorsi.it.
8. Cfr. F.Caringella, “Lezioni di Diritto Amministrativo”, 2007, a cura di R. Giovagnoli, Nullità del provvedimento in violazione od elusione del giudicato, p. 454 ss.; ancora nota Cons. Stato n. 2950/07 a cura dell’autore citato.
9. Cfr. R. Villata, “L’atto amministrativo”, p. 816 ss., in tema di nullità e sul carattere non innovativo della disciplina posta dall’art. 21-septies.
10.N. Longobardi, “La legge n. 15/2005 di riforma della legge n. 241 del 1990. Una prima valutazione”, 2001, in www.giustamm.it; cfr. anche F. Saitta, “La riforma della L. n. 241/90: dubbi e perplessità”, in www.giustamm.it, n. 3, 3005.
11.L. D’Angelo, Commento a Tar Liguria, sez. II, n. 158 del 02.02.2007, in www.ratioiuris.it.
12.L. D’Angelo, op. cit
13.Così ancora D’Angelo, op. cit., in ww.ratioiuris.it.
14.L’espressione è di A. Romano Tassone, riferita in N. Longobardi, op. cit.

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