Media e nuove sfide: collasso attenzione, riduzione di 10 volte orizzonte temporale, 20′ per scegliere un contenuto (poi deciso da algoritmo)

Telecomando, Netflix, attenzione, cronometroCollasso dell’attenzione (i contenuti ci attraggono sempre meno); rivoluzione algoritmica (20 minuti per scegliere un contenuto video on demand secondo un processo che si conclude quasi sempre con una delegazione di scelta all’algoritmo); crisi strutturale della TV generalista/lineare che si focalizza solo su news, talk, sport, intrattenimento e programmi per over 70; aziende che hanno abbattuto l’orizzonte progettuale da 30 a 3 anni.
Cambiano abitudini, logiche e modelli di business nel settore mediatico, col potere si sposta definitivamente dai canali ai sistemi di raccomandazione.
L’industria mediale vive una trasformazione profonda alimentata dal crollo dell’attenzione, dall’instabilità degli abbonamenti e dall’avanzamento degli algoritmi come architetture della scelta.
La progettualità di lungo periodo evapora, la selezione dei contenuti si dilata fino a diventare post-scelta e la TV lineare si restringe a un pubblico ultra-maturo, perdendo centralità editoriale e commerciale.
L’operazione Netflix–Warner Bros sancisce il definitivo spostamento del valore dalla distribuzione alla proprietà dei contenuti e ai sistemi digitali di raccomandazione, mentre lo streaming entra nella sua fase matura tra ecosistemi porosi e ritorno dell’advertising.
Sullo sfondo, il rischio di una “disumanizzazione gentile”: non una rivolta delle macchine, ma la progressiva delega dell’intenzionalità agli algoritmi.
In questo scenario, la vera libertà dell’utente non risiede più nel catalogo, bensì nella capacità – sempre più rara – di scegliere con intenzione.

Il nuovo asse del potere

L’industria audiovisiva entra nella fase adulta dell’on demand tra ecosistemi porosi, abbonamenti instabili e perdita progressiva dell’intenzionalità: mentre la TV lineare si restringe ai suoi ultimi bastioni, il nuovo asse del potere – incarnato dall’operazione Netflix-Warner Bros – ridisegna priorità, ricavi e perfino il senso dell’azione umana nella fruizione mediale.

L’orizzonte di pianificazione si accorcia: da trent’anni a tre

Gli analisti rilevano un fenomeno trasversale: persone e imprese stanno abbandonando la progettualità di lungo periodo. L’economia della attenzione erode il tempo dedicato alla riflessione strategica, sostituendolo con cicli decisionali rapidi, reattivi, dominati dal presente. Secondo lo studio 9.25 della società di analisi strategica in ambito mediatico Media Progress (gruppo Consultmedia), che Newslinet ha potuto analizzare a fondo, la generazione post-2000 mantiene focus per appena otto secondi: una condizione che alcuni ricercatori definiscono come Alzheimer culturale.

Effetti del collasso della attenzione

Nel sistema media, il collasso della attenzione ha effetti evidenti: il tempo dedicato alla selezione dei contenuti aumenta senza generare valore percepito; le imprese editoriali faticano a programmare oltre l’arco dei tre anni; modelli consolidati come la TV generalista non riescono più a immaginare evoluzioni strutturali.

La post-scelta: 20 minuti per decidere… ciò che decide l’algoritmo

La promessa dello streaming era chiara: libertà totale di scelta. La realtà – ormai documentata da più ricerche – racconta un’altra storia. Ogni volta che un utente accede a una piattaforma video on demand perde almeno (nel senso di “non meno di”) 20 minuti nel processo di scelta, peraltro con un trend in crescita anno su anno. E nella maggior parte dei casi la selezione finale corrisponde esattamente al contenuto suggerito dall’algoritmo in homepage. “È una dinamica che i ricercatori chiamano choice paralysis, paralisi della scelta“, si legge nel rapporto 9.25 Media Progress.

La perdita dell’intenzionalità

La selezione non nasce più da un desiderio, ma da un flusso: l’utente scorre, il sistema osserva, il suggerimento si impone come scorciatoia cognitiva. Gli algoritmi non si limitano più a proporre: definiscono la traiettoria della attenzione.

TV lineare: dall’architettura del Paese a habitat per over 70

Anche lAnnuario 2025 della televisione italiana (curato dal prof. Massimo Scaglioni e dal centro di ricerca Ce.R.T.A. dell’Università Cattolica di Milano) fotografa una realtà che molti editori conoscono bene: la fruizione lineare si sta restringendo a quattro grandi aree di resistenza: informazione; talk; sport; intrattenimento tradizionale (quest’ultimo in realtà in contrazione). Tutto il resto migra verso l’on demand, lasciando le reti generaliste senza un’identità forte.

Il caso di Canale 5

Il caso più emblematico è Canale 5, storicamente piattaforma premium per film e fiction in prima visione, ora sempre più orientata verso telenovele e prodotti seriali mid-budget tradizionalmente collocati sulle reti minori (come Rete 4 nel gruppo Mediaset). Questa metamorfosi non è una scelta estetica, ma un adattamento alla platea rimasta: una fascia prevalentemente over 70, fedele, costante, ma priva di appeal commerciale per il lungo termine.

La svolta Netflix-Warner Bros: quando il lineare diventa un peso

La recente operazione che vede Netflix acquistare Warner Bros Discovery rappresenta il punto di non ritorno di questo processo. I segnali sono inequivocabili: la attenzione strategica sull’opportunità di business è rivolta solo alle piattaforme on demand ed alla produzione; i canali lineari diventano asset marginali, spesso percepiti come costi non più giustificabili dagli attuali ricavi; CNN, un tempo fiore all’occhiello del broadcasting mondiale, è stata definita – secondo indiscrezioni – una zavorra, cioè più un centro di perdita che un motore di crescita. Il baricentro del potere si sposta così dalla distribuzione lineare alla proprietà dei contenuti ed agli ecosistemi digitali. La domanda chiave, ora, non è più chi controlla il canale, ma chi controlla l’algoritmo.

Ecosistemi porosi, abbonamenti instabili: l’età adulta dell’on demand

Come già osservato dagli analisti internazionali, l’on demand è entrato nella sua fase adulta: i mercati sono saturi; gli abbonati sono infedeli, entrano ed escono dalle piattaforme con dinamiche mensili; la pubblicità ritorna come componente essenziale dell’equilibrio economico; la convergenza tra broadcaster e OTT assume forma ibrida (streamcasting). L’acquisizione Netflix-Warner Bros è dunque la prima vera operazione pensata per un mondo dove: il contenuto vale più del canale, la retention vale più della reach, l’algoritmo vale più del palinsesto.

Quando l’algoritmo corregge l’uomo: il rischio della “disumanizzazione gentile”

“L’intelligenza artificiale applicata ai media non è più mero strumento: è architettura della scelta. Oggi gli algoritmi influenzano attenzione; abitudini alimentari; selezione dei partner, perfino opinioni politiche. Sebbene tutti concordino che non è prevista alcuna “rivolta delle macchine”, il rischio è più sottile: una lenta perdita di autonomia, una delega costante e indolore delle decisioni al sistema”, si legge nel report di Media Progress. Certo, finché l’individuo ha un obiettivo, non è un algoritmo; tuttavia, la traiettoria attuale suggerisce che gli obiettivi stessi rischiano di essere derivati dal flusso informativo.

Riscoprire l’azione specifica: l’unica possibile via d’uscita

Lo studio MP 9.25 sottolinea anche che “l’unica forma di resistenza consista nel recupero del significato dell’azione specifica: scegliere perché e non da cosa scegliere. Una prospettiva che, applicata ai media, si traduce in palinsesti editoriali con identità chiara; piattaforme che valorizzano la scoperta e non solo la profilazione; modelli di business che premiano la qualità dell’attenzione, non solo il tempo di permanenza; educazione digitale che insegni a strutturare obiettivi e non a consumare infinite alternative”.

Utopia?

Ma, come osservano diversi analisti, si tratta forse di un’utopia: un tentativo di ripristinare un comportamento umano nell’era in cui i sistemi sono progettati per anticiparlo, sostituirlo, guidarlo.

La libertà mediale non è più garantita dal catalogo, ma dall’intenzione

Il sistema mediatico entra in una fase di profonda ristrutturazione: la TV lineare lascia campo agli over 70, lo streaming diventa un ambiente governato da logiche algoritmiche, le operazioni industriali – come Netflix-Warner – spostano il valore dal palinsesto al codice. La domanda che resta aperta è semplice quanto cruciale: se i sistemi iniziano a fare tutto per noi, cosa significa davvero “scegliere”? In un mondo dove la scelta è sempre più un output dell’algoritmo, la libertà non coincide più con ciò che possiamo vedere, ma con ciò che possiamo ancora decidere.

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