Nell’editoriale dell’ottobre 1977, sotto il titolo “Tv private: disperdere per concentrare” , il direttore del periodico osservava che “I responsabili di una delle più potenti emittenti private oggi in funzione sul territorio nazionale ci dichiaravano, poche settimane fa, la loro totale disponibilità ad accettare le limitazioni in ordine al raggio di emissione che dalla nuova legge conseguirebbero. Certo, perché quella, come altre grosse emittenti (…) comprendono in realtà due settori di attività interdipendenti. Una cosa è, infatti, l’emittente vera e propria, il centro di trasmissione che irradia oltre i confini regionali notiziari, film “dirette” e così via. Altro è il centro di produzione che realizza non solo programmi per l’immediata diffusione via etere ma che è anche a capo di un circuito commerciale dei prodotti che raggiunge molte emittenti piccole e medie sparse sul territorio della penisola o installate poco dietro i confini nazionali”.Osservava il giornalista specializzato: “Ciò significa che esiste in realtà un doppio canale di diffusione: quello “reale” – più o meno territorialmente circoscritto – e uno infinitamente più vasto, e potenzialmente sempre estensibile. Esiste, di fatto, un raggio di emissione dichiarato, una potenza tecnicamente e giuridicamente controllabile, ed esiste un raggio d’azione, un circuito “sotterraneo” e parallelo. E’ un sistema che offre indubbiamente ampie garanzie: si può scavalcare qualsiasi limitazione alla creazione di catene e concentrazioni “esplicite”, si possono scavalcare controlli nella concessione delle frequenze in sede locale”.
Non era ancora stata “fatta la legge” (di sistema) e già pareva essere stato trovato l’inganno. I grandi gruppi editoriali stavano, in effetti, percorrendo due strade differenti verso un unico obiettivo: la costituzione di catene televisive nazionali. Se non si fosse riusciti a scardinare il residuo monopolio pubblico sulla diffusione tv in ambito nazionale in interconnessione strutturale (cioè con collegamenti in ponte radio), attraverso continue sollecitazioni alla Corte costituzionale, oppure facendo approvare una legge liberalizzatrice, sarebbe stata proseguita la soluzione alternativa della costituzione di network di emittenti locali i cui programmi sarebbero stati realizzati e distribuiti da pochi grandi centri di produzione (che di fatto avrebbero controllato sia il mercato della produzione che della raccolta pubblicitaria nazionale, impiegando le emittenti locali come semplici ripetitori).
Osservava a riguardo, con acume, Millecanali: “E’ anche, probabilmente, il sistema più redditizio: trasmettere pubblicità su zone – per ora – anche vaste significa, nel migliore dei casi, “coprire” i confini regionali; vendere programmi realizzati per un circuito commerciale con short pubblicitario in coda – o addirittura programmi sponsorizzati – significa di fatto costruire un circuito pubblicitario nazionale. Per questo una regolamentazione tutta tecnica alle tv miliardarie non fa paura. Due, tre, cinque centri che concentrano la produzione di programmi tv e fungono, con le proprie emissioni, da base di lancio dei programmi preconfezionati, e una miriade di emittenti (…) diffuse sul territorio che si muovono nel circuito commerciale aggiudicandosi le prime, le seconde, le terze visioni”. “Non ci piace costruire immagini apocalittiche” – concludeva infine l’editoriale del mensile di settore – “ma cos’è questa, se non l’immagine del nuovo sistemi degli oligopoli?”. Parole profetiche, col senno di poi. (M.L. per NL)

