Tv locali. Con la prossima richiesta per i diritti d’uso il dare/avere tra contributi da percepire e da corrispondere andrà in pari

Come stiamo scrivendo da settimane su queste pagine, sembra quasi un programma preordinato allo sterminio delle tv locali.

Prima l’abbandono del settore all’anarchia in tema di attribuzione della numerazione automatica dei canali, che ha finito per favorire i superplayer (nessuno si sognava di presidiare i numeri da 1 a 6, mentre era lotta senza tregua dal 7 in poi). Poi l’assegnazione di frequenze nella fondamentale area tecnica 3 (Lombardia e Piemonte orientale) con criteri tutti ancora da approfondire (lo faranno presto i giudici amministrativi e forse non solo loro). Indi l’opportuna (per i grandi operatori), regolamentazione che ha relegato le tv locali che si erano faticosamente collocate sui numeri dal 20 al 30 del telecomando al 90 (se va bene) o, più frequentemente, alla fine del secondo arco di numerazione, cioè in posizioni infrequentabili. Dulcis in fundo, il pagamento dei contributi per i diritti d’uso delle frequenze terrestri in tecnica digitale. Ora, con colpevole tardività, le associazioni di categoria minacciano guerra. La Federazione Radio Televisioni, per esempio, ha fatto sapere di aver più volete "sollecitato, in vari incontri, gli organi amministrativi preposti, Agcom in testa, a voler adeguare la normativa (435/01/CONS) in vista della digitalizzazione del paese. L’ambiente digitale prevede infatti le figure di operatore di rete e fornitore di servizi di media audiovisivi al posto dell’emittente televisiva analogica". "L’operatore di rete – spiega l’ente esponenziale in una propria nota – essendo il soggetto titolare del diritto di installazione, esercizio e fornitura di una rete di comunicazione, è tenuto al pagamento un contributo per la concessione dei diritti d’uso delle frequenze. Il Testo Unico del servizi di media audiovisivi e radiofonici (D. Lgs. 31 luglio 2005, n.177) all’art.17, comma 2 bis prevede espressamente che l’Agcom con proprio regolamento deve provvedere ad uniformare i contributi previsti per le emittenti analogiche (i diritti di concessione, attualmente pari all’1% del fatturato) a quelli previsti per le diffusioni in tecnica digitale. Il Ministero dello sviluppo economico – comunicazioni, in assenza del regolamento suddetto, con il richiedere (a nostro avviso erroneamente) il versamento dei contributi previsti dagli art. 34 e 35 del Codice delle Comunicazioni Elettroniche, che sono molto più onerose rispetto ai canoni di concessione finora corrisposti dalle emittenti in analogico". Proteste, come detto, tardive e che si teme lascino il tempo che trovano. Ormai gli editori locali si stanno infatti mettendo il cuore in pace: tanto lo Stato concederà in termini di contributi all’esercizio, tanto chiederà in conto contributi "per" l’esercizio. (A.M. per NL)

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