Circolare 13/2008 del Ministero del Lavoro – Modifiche alla disciplina sul contratto a tempo determinato (art. 1, commi da 39 a 43, della legge 247/2007)

Le novità: contratti a termine più ampi. Fino al 31 marzo 2009 si possono stipulare accordi anche oltre i 36 mesi, purché il rapporto non sia stato in corso al 1° gennaio 2008


da Franco Abruzzo.it

Facendo seguito alle indicazioni fornite con circolare n. 7/2008 – in cui si è affrontata la problematica legata all’abrogazione di alcune tipologie contrattuali da parte della L. n. 247/2007, con particolare riferimento al contratto di lavoro intermittente ed alla somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, nonché alla modifica della disciplina in materia di clausole elastiche e flessibili nel part-time – si ritiene opportuno, anche a seguito di un confronto con le parti sociali, fornire alcuni chiarimenti interpretativi sulle novità che interessano il contratto a tempo determinato.

Come noto, infatti, l’art. 1, commi da 39 a 43, della L. n. 247/2007 ha modificato la disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 368/2001, prevedendo sia dei limiti alla reiterazione dei contratti, sia delle forme di precedenza nella stipula di contratti a tempo indeterminato o di nuovi contratti a termine nelle attività stagionali in favore di particolari categorie di lavoratori.

È altresì da rilevare l’introduzione di un comma 01 all’art. 1 del D.Lgs. n. 368/2001 secondo il quale “il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato”; previsione che, pur non reintroducendo una presunzione legale a favore del contratto a tempo indeterminato, esprime l’intento del Legislatore di ribadire che tale tipologia contrattuale rappresenta la fattispecie “ordinaria” di costituzione dei rapporti di lavoro.

Campo di applicazione

Va anzitutto chiarito che le nuove disposizioni introdotte dalla L. n. 247/2007 (“Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale”), con riferimento sia ai limiti temporali legati alla reiterazione dei contratti a termine, sia ai citati diritti di precedenza, sembrano potersi riferire esclusivamente ai rapporti di lavoro instaurati ex D.Lgs. n. 368/2001 o ex L. n. 230/1962, senza dunque interessare i rapporti di lavoro che, pur rinviando per alcuni profili della propria disciplina alle predette normative, sono legati a logiche e finalità diverse. In tal senso, a mero titolo esemplificativo, le nuove disposizioni non sembrano incidere né sul contratto di inserimento, in quanto finalizzato ad un “adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo”, né sui contratti stipulati ai sensi dell’art. 8 della L. n. 223/1991 con i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità.

Limiti temporali

L’articolo 5, comma 4 bis, del D.Lgs. n. 368/2001 prevede che “qualora per effetto di successione di contratti a termine per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i trentasei mesi comprensivi di proroghe e rinnovi (…) il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato”.

Il limite generale di durata massima in caso di reiterazione di contratti a tempo determinato richiede l’identità delle parti del rapporto di lavoro e l’equivalenza delle mansioni. Secondo i principi giurisprudenziali in materia, l’equivalenza non deve essere intesa in termini di mera corrispondenza del livello di inquadramento contrattuale tra le mansioni svolte precedentemente e quelle contemplate nel nuovo contratto, ma occorre verificare i contenuti concreti delle attività espletate (ex plurimis, Cass. n. 425 del 12 gennaio 2006, n. 7453 del 12 aprile 2005, n. 7351 del 11 aprile 2005); in particolare “l’equivalenza tra le nuove mansioni e quelle precedenti deve essere intesa non solo nel senso di pari valore professionale delle mansioni, considerate nella loro oggettività, ma anche come attitudine delle nuove mansioni a consentire la piena utilizzazione o anche l’arricchimento del patrimonio professionale dal lavoratore acquisito nella pregressa fase del rapporto” (Cass., Sez. Un., 24 novembre 2006, n. 25033). Sul punto va peraltro sottolineato che tale ultima sentenza attribuisce alla contrattazione collettiva anche il potere di individuare la nozione di “equivalenza” attraverso le c.d. clausole di fungibilità, volte a consentire un impiego più flessibile del lavoratore, almeno per “sopperire a contingenti esigenze aziendali ovvero per consentire la valorizzazione della professionalità potenziale di tutti i lavoratori inquadrati in quella qualifica, senza incorrere nella sanzione della nullità comminata dal secondo comma della citata disposizione [art. 2103 c.c.]”.

Va ulteriormente sottolineato che, secondo il dettato normativo, ai fini del superamento del periodo di 36 mesi, devono essere conteggiati tutti i periodi di lavoro effettivo svolti tra le parti prescindendo, quindi, dai periodi di interruzione intercorsi tra la cessazione del precedente rapporto di lavoro e l’instaurazione di quello successivo. Ciò in quanto la finalità perseguita dal Legislatore è quella di impedire che le interruzioni possano produrre l’effetto di “azzerare” il conteggio dei periodi di attività rilevanti per l’individuazione della durata massima di più rapporti di lavoro a termine.

Peraltro, nel caso di raggiungimento del limite dei 36 mesi per effetto di successione di diversi contratti, non si determina l’automatismo dell’immediata conversione, ma il rapporto si potrà protrarre per ulteriori 20 giorni (art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001) che dovranno essere tuttavia compensati con le maggiorazioni previste dallo stesso art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001.

Altra questione riguarda il computo effettivo del periodo di 36 mesi. Vanno infatti chiarite le modalità di conteggio dei periodi di lavoro a tempo determinato non coincidenti con uno o più mesi. Per quanto riguarda tali periodi si ritiene che possa essere adottato il criterio comune, adoperato anche in altri ambiti (si pensi alla disciplina contrattuale in materia di periodi di comporto) secondo il quale, considerato che la durata media dei mesi durante l’anno è pari a 30 giorni, 30 giorni potranno considerarsi l’equivalente di un mese. A titolo esemplificativo, pertanto, considerando due contratti a termine di cui il primo di durata 1° gennaio – 20 febbraio ed il secondo 1° maggio – 20 giugno si avrà un totale di periodi lavorati pari a tre mesi (gennaio, maggio e 30 giorni equivalenti ad un mese) e 10 giorni (residuo di giorni lavorati oltre i 30).

Deroghe alla sommatoria dei periodi

Va poi ricordato che la disciplina sul limite massimo dei 36 mesi e sull’eventuale “ulteriore contratto” concluso presso la DPL con l’assistenza sindacale (v. infra) – fermo restando quanto chiarito circa il campo di applicazione della nuova disciplina – subisce alcune deroghe:

l’art. 1, comma 41 lett. c), della L. n. 247/2007, modificando l’art. 10, comma 4, del D.Lgs. n. 368/2001, stabilisce che il nuovo limite generale non opera per i rapporti di lavoro dei dirigenti, per i quali vige ancora il termine di durata massima quinquennale;

l’art. 1, comma 42, L. n. 247/2007 modifica l’art. 22 del D.Lgs. n. 276/2003 prevedendo che in caso di somministrazione di lavoro a tempo determinato, il rapporto di lavoro a temine fra Agenzia di somministrazione e lavoratore non è soggetta ai limiti di cui all’art. 5, comma 3 e ss, del D.Lgs. n. 368/2001. Ciò non solo conferma la precedente esclusione della somministrazione a tempo determinato dalle norme che prevedono una trasformazione del rapporto in caso di successive assunzioni a termine senza soluzione di continuità, ma sottrae detto istituto anche dalle novità introdotte ai commi da 4 bis a 4 sexies dello stesso art. 5;

l’art. 1, comma 40, della L. n. 247/2007, introduce l’art. 5, comma 4 ter, del D.Lgs. n. 368/2001 che esclude le attività stagionali, come individuate dal D.P.R. n. 1525/1963, dal limite dei 36 mesi nonché le altre attività stagionali appositamente individuate dagli avvisi comuni e dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative.

Ulteriore contratto stipulato presso la DPL

In ordine al divieto di superamento del limite di 36 mesi in caso di successione di contratti a termine, si ricorda che il secondo periodo del comma 4 bis dell’art. 5 del D.Lgs. n. 368/2001 concede alle parti la facoltà di stipulare un solo ulteriore contratto in deroga al predetto limite, purché lo stesso sia stipulato presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio alla presenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato.

Al riguardo occorre sottolineare che l’intervento della Direzione provinciale del lavoro è finalizzato esclusivamente alla verifica circa la completezza e la correttezza “formale” del contenuto del contratto a tempo determinato e la genuinità del consenso del lavoratore alla sottoscrizione dello stesso, senza che tale intervento possa determinare effetti certificativi in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti giustificativi richiesti dalla legge.

Diritto di precedenza

La L. n. 247/2007 introduce, nell’ambito dell’art. 5 del D.Lgs. n. 368/2001, alcuni diritti di precedenza in caso di nuove assunzioni. In particolare si prevede che:

1) il lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine;

2) il lavoratore assunto a termine per lo svolgimento di attività stagionali ha diritto di precedenza, rispetto a nuove assunzioni a termine da parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali.

I diritti di precedenza così individuati possono essere esercitati a condizione che il lavoratore manifesti in tal senso la propria volontà al datore di lavoro entro, rispettivamente, sei mesi o tre mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro e si estinguono entro un anno dalla stessa data.

Occorre inoltre evidenziare che il diritto di precedenza trova applicazione, per espressa previsione normativa, con riferimento alle “mansioni già espletate” e non, come avviene per il computo del periodo massimo dei 36 mesi, con riferimento a “mansioni equivalenti”. Peraltro, ferma restando l’identità di mansioni, nell’ambito delle attività stagionali il diritto di precedenza trova applicazione qualora il medesimo datore di lavoro ponga in essere la medesima “attività stagionale”.

Si ritiene utile infine rappresentare la problematica legata alla conciliabilità del diritto di precedenza introdotto nel 2007 con eventuali altre forme di precedenza introdotte sulla base della disciplina legale e contrattuale previgente. Va infatti ricordato che l’art. 10, comma 9, del D.Lgs. n 368/2001 – ora abrogato dalla stessa L. n. 247/2007 – stabiliva che: “è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro (…) la individuazione di un diritto di precedenza nella assunzione presso la stessa azienda e con la medesima qualifica, esclusivamente a favore dei lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa con contratto a tempo determinato per le ipotesi già previste dall’art. 23, comma 2, della L. n. 56/1987 ”. Sebbene tale disposizione sia stata abrogata e la nuova disciplina non specifichi alcunché in materia, non sembra ragionevole sostenere che i diritti già acquisiti dai lavoratori in base alle clausole collettive poste in essere siano vanificati.

Si ritiene pertanto che forme di integrazione fra “vecchi” e “nuovi” diritti di precedenza non possano che essere individuate dalla contrattazione collettiva che aveva già disciplinato i criteri di elaborazione delle graduatorie ai sensi dell’art. 10, comma 9, del D.Lgs. n. 368/2001.

Disciplina transitoria

L’art. 1, comma 43, della L. n. 247/2007 prevede un regime transitorio in relazione all’applicazione del “tetto” dei 36 mesi, quale limite di durata dei rapporti di lavoro in caso di successione di contratti a tempo determinato. La previsione, evidentemente, vuole introdurre dei criteri di gradualità in ordine alla applicazione del predetto limite che interessa, secondo quanto di seguito chiarito, anche rapporti di lavoro posti in essere sino a tutto il 2007.

Anzitutto, secondo quanto previsto dalla lett. a) dell’art. 1, comma 43, della L. n. 247/2007, i contratti a termine in corso alla data del 1° gennaio 2008 esplicano i loro effetti fino alla scadenza in essi prevista, anche in deroga al limite temporale dei 36 mesi.

Pertanto, i contratti a tempo determinato stipulati prima dell’entrata in vigore della norma (1° gennaio 2008) ed in corso alla data stessa continuano fino alla loro naturale scadenza, senza conseguenze legate ad un eventuale superamento dei 36 mesi. Tale previsione intende evidentemente salvaguardare i diritti delle parti del rapporto di lavoro sorti sotto la vigenza della precedente normativa.

La lettera b) del medesimo comma, che interessa la diversa ipotesi di periodi di lavoro svolti in forza di contratti cessati alla data 31 dicembre 2007, stabilisce che “il periodo di lavoro già effettuato alla data di entrata in vigore della legge si computa, insieme ai periodi successivi di attività ai fini della determinazione del periodo massimo di cui al citato comma 4-bis” solo una volta decorsi 15 mesi dal 1° gennaio 2008.

A tal proposito si ritiene che la disposizione voglia introdurre, come accennato, un regime di graduale efficacia del nuovo limite temporale, spostando in avanti – a far data dal 1° aprile 2009 – ogni sommatoria dei periodi di lavoro effettuati.

Pertanto, l’attività lavorativa svolta durante il periodo transitorio di 15 mesi – pur rientrando nel computo dei 36 mesi e pur potendo comportare il superamento di tale limite – potrà continuare sino alla data del 31 marzo 2009, senza che ciò dia luogo ad eventuali conseguenze sul piano della conversione del rapporto a tempo indeterminato.

In altri termini i datori di lavoro che abbiano sottoscritto contratti a far data dal 1° gennaio 2008 rimangono “indenni” dall’effetto trasformativo qualora cessino comunque il rapporto entro il 31 marzo 2009. A diverse conseguenze, evidentemente, deve giungersi nelle ipotesi in cui lo stesso rapporto ecceda il predetto limite di 36 mesi proseguendo anche oltre il 31 marzo 2009, senza che qui trovi peraltro applicazione – considerata la specifica disciplina del periodo transitorio – la citata previsione di cui all’art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 368/2001, relativa al decorso dei 20 giorni di tempo ai della trasformazione del rapporto di lavoro a termine in rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Il Direttore generale per l’Attività Ispettiva

Il Direttore generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro

(Dott. Paolo Pennesi)

(Dott. Ugo Menziani)

Roma, 2 maggio 2008

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