DAB. Svizzera: braccio di ferro su proroga switch-off privati a fine 2026. Confronto politico si accende mentre si perde di vista il mercato

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L’immagine che arriva da Berna nelle ultime settimane non è quella della Svizzera che pensavamo di conoscere.
Lo scontro in corso in terra elvetica tra i sostenitori di una dimensione analogica ad oltranza per la radio (essenzialmente riconducibili a Roger Schawinski, innovatore dei media svizzeri negli anni 70-80 che con emissioni transfrontaliere di Radio 24 da Cernobbio, in Italia, favorì il crollo di uno status quo di cui ora è divenuto paladino) e quelli dell‘alea iacta est (perché ritrattare una decisione presa dieci anni fa produrrebbe più danni che benefici), disegna una confederazione più vicina che mai ai tipici tentennamenti italiani, dove di definitivo c’è solo il provvisorio.
Il dibattito sullo spegnimento della FM a fine 2026 sta mettendo infatti in evidenza questioni ben più ampie del semplice off sui trasmettitori FM dei privati.
E’ infatti in discussione la capacità del sistema elvetico di governare una transizione tecnologica pianificata da oltre dieci anni, i rapporti di forza tra emittenti pubbliche e private, il ruolo stesso della radio come presidio culturale e informativo in un mercato sempre più esposto alla concorrenza estera, ma anche – e soprattutto – delle piattaforme OTT, vero vaso di ferro tra quelli di coccio.

Sintesi

Lo switch-off FM in Svizzera, fissato per fine 2026, è nuovamente in discussione dopo il voto del Consiglio nazionale che, con ampia maggioranza, ha approvato una mozione di rinvio.
Il relatore Damien Cottier (raccogliendo le istanze dell’ottantenne re dei media analogici svizzeri Roger Schawinski) ha evidenziato la perdita di ascolti subita dalla SSR dopo lo spegnimento FM del 2024 e la fuga verso radio estere, definendo la proroga una tutela del pluralismo. Il consigliere federale Albert Rösti ha replicato che la decisione fu presa dalle stesse radio, già sostenute con 86 milioni di franchi, e che la rete FM costa 15-20 milioni l’anno sottraendo risorse alla produzione ed innovazione dei contenuti delle trasmissioni.
L’industria è divisa: i grandi gruppi privati spingono per il mantenimento in esercizio degli impianti analogici, mentre osservatori interni alla confederazione ricordano che il DAB+ e l’IP sono ormai prevalenti.
Intanto i dati Mediapulse mostrano cali differenziati, ma anche recuperi digitali, segno che gli ascoltatori una volta fidelizzati al digitale non tornano indietro.
Intanto incombe l’iniziativa “200 franchi bastano!”, che ridurrebbe il canone e renderebbe più difficile sostenere doppie infrastrutture distributive.
Ora tocca al Consiglio degli Stati decidere tra conferma, proroga o simulcasting. Quest’ultima opzione appare remota; più probabile un compromesso con rinvio al 2027-2028.
In ogni caso, la vicenda mostra che la transizione non è tecnica, ma di governance, sostenibilità e capacità di innovare i contenuti.

Telenovela elvetica

Vediamo cosa è successo nell’ennesima puntata di quella che sembra essere sempre più una telenovela in salsa bernese.

Il voto del Consiglio nazionale: 124 favorevoli, 62 contrari, 8 astensioni

Nei giorni scorsi, con una maggioranza corposa, il Consiglio nazionale (la camera bassa del Parlamento svizzero, che con il Consiglio degli Stati – la camera alta – forma l’Assemblea federale) – nonostante il parere contrario del Consiglio federale (organo esecutivo del governo della Confederazione Svizzera, che, come tale, rappresenta la più alta autorità del paese) – ha approvato una mozione che chiede di spostare ancora lo spegnimento delle frequenze FM, previsto a fine 2026 per le radio private (già oggetto di proroga negli anni scorsi).

Tabella di marcia fissata (dai privati) nel 2014 e consolidata (dal legislatore) nel 2017

Una mossa che, di fatto, mette in discussione la tabella di marcia definita nel 2014 dalle stesse associazioni radiofoniche private e dalla SSR e consolidata nel 2017 a livello legislativo.

Il partito di Schawinski

Per il relatore commissionale Damien Cottier (PLR/NE) – che ha raccolto le istanze di Roger Schawinski – la realtà del 2025 avrebbe spazzato via le previsioni ottimistiche di dieci anni fa: “Dallo spegnimento degli impianti FM della SSR, avvenuto alla fine del 2024, la radio pubblica ha registrato una pesante perdita di ascoltatori. Non si tratta di ipotesi, ma di fatti”.

L’effetto collaterale

Il fenomeno che preoccupa di più le (grandi) radio private e non riguarderebbe soltanto il calo di audience, ma la direzione in cui gli ascoltatori analogici della SSR sono fuggiti. In Romandia e in Ticino, infatti, decine di migliaia di utenti con l’off delle trasmissioni in modulazione di frequenza della radio pubblica, non hanno spostato la sintonia sulle radio private svizzere, ma si sono rivolti a stazioni francesi e italiane, ancora disponibili in FM.

Ascolti migranti

Un boomerang che non sarebbe determinato dall’incapacità delle radio private svizzere (ancora ben presenti in modulazione di frequenza) di compensare le richieste di coloro che non possono o non vogliono ascoltare la radio di Stato elvetica in digitale, ma dalla erosione del pluralismo interno a beneficio di player esteri.

Il dibattito di Cottier

“Il dibattito non è questione di nostalgia tecnologica, bensì di tutela della diversità mediatica e radiofonica del nostro Paese”, ha puntualizzato, invero in forma un po’ populistica, Cottier.

Rösti: “Spegnimento FM a fine 2026 non è decisione dello Stato, ma delle stesse radio”

Su un fronte opposto e più realistico, il consigliere federale Albert Rösti, a capo del Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni dal 1º gennaio 2023, ha ricordato che il processo di spegnimento a fine 2026 non è mai stato imposto dall’alto: “La fine della FM è stata decisa dalle stesse associazioni radiofoniche, inclusa la SSR. Lo Stato ha accompagnato la transizione con circa 86 milioni di franchi in fondi di innovazione”.

Il peso dell’analogico

Sempre sul piano concreto, secondo Rösti, il mantenimento della rete analogica pesa ogni anno tra i 15 e i 20 milioni di franchi, risorse che (raccogliendo una posizione perorata proprio su queste pagine ad inizio anno) “potrebbero essere reinvestite nei contenuti giornalistici, tanto più in vista della possibile riduzione del canone” se passasse l’iniziativa popolare “200 franchi bastano!”.

Costi doppi e certezza del diritto a fine 2026

La posizione governativa insiste anche su un altro punto cruciale: la certezza del diritto. Molti operatori hanno pianificato da anni la transizione al digitale ed un cambio in corsa rischierebbe di penalizzare chi ha investito con coerenza. A ciò si aggiunge il problema dei costi doppi: mantenere in vita FM e DAB+ dopo fine 2026 significherebbe duplicare infrastrutture e spese, con un peso insostenibile per le emittenti minori.

La spaccatura dell’industria

Del resto, anche il fronte industriale è tutt’altro che compatto. Da un lato, chi sostiene la proroga FM la considera un baluardo delle piccole stazioni (secondo taluni però ciò sarebbe solo una forte strumentalizzazione, visto che le richieste di proroga vengono dalle grandi radio e non dalle emittenti comunitarie), oltre che un argine contro l’erosione di ascolti da parte delle emittenti estere. Dall’altro, analisti, associazioni ed osservatori interni alla confederazione ricordano che la radio digitale è ormai prevalente nei consumi e che ogni ritardo nel completamento dello switch-off rischia di rallentare l’innovazione.

Incapacità delle radio private svizzere di innovare i contenuti

Ma anche la migrazione verso l’estero degli ascolti è semmai dovuta alla scarsa capacità delle radio private svizzere di innovare i loro contenuti.

Lo sguardo oltreconfine

Intanto, in Italia, prevedibilmente, qualcuno ha salutato con favore il voto della Camera bassa elvetica. Sul punto, è vero che, come più volte abbiamo qui sottolineato, per il fronte delle radio locali italiane il caso svizzero rappresenta un precedente da osservare con attenzione, ma il contesto è radicalmente diverso.

Le lezioni svizzere

Le lezioni svizzere, infatti, non sono trasferibili in Italia sic et simpliciter: la Confederazione elvetica dispone di una rete DAB+ e 4-5G capillare e di un sistema mediatico molto più centralizzato, con la SSR come attore dominante. In Italia, la distribuzione FM resta il cuore dell’ascolto ed il panorama radiofonico è assai più frammentato, rendendo improponibile un’agenda di spegnimento nel breve termine.

Otto mesi dopo lo switch-off SSR

Il caso della radio pubblica elvetica (SSR), che ha spento la FM a fine 2024, offrirebbe secondo questo punto di osservazione un banco di prova concreto. In realtà, otto mesi dopo, al di là delle dichiarazioni enfatizzanti dei pro-analogico un preteso crollo degli ascolti, i dati Mediapulse mostrano una contrazione dell’audience eterogenea (forte in alcuni cantoni, ma anche contenuta oltre le previsioni in altri).

Ecosistema instabile…

Un esito che ha rafforzato le tesi dei sostenitori della proroga, secondo i quali un passaggio forzato può compromettere l’ecosistema radiofonico interno invece di consolidarlo.

… o no?

Ma gli stessi sostenitori delle istanze di Schawinski omettono di rilevare il forte recupero in corso sul digitale da parte della SSR, aiutato anche dalla qualità delle trasmissioni non sempre replicata dalle private svizzere e dal fatto che – con buona pace dei difensori della FM ad oltranza – gli ascoltatori che approcciano la fruizione attraverso device connessi (magari per accedere a contenuti on demand) e DAB+ non tornano più indietro. Come dire: il mondo va avanti anche se qualcuno vorrebbe rallentarlo.

Il nodo politico: tra innovazione e consenso

Del resto, la vicenda FM/DAB+IP si inserisce in un quadro politico elvetico ancora più ampio. Con l’iniziativa popolare che minaccia di tagliare il canone a 200 franchi, ogni voce di spesa viene sottoposta a scrutinio. In questo contesto, la difesa di un’infrastruttura analogica percepita come superata rischia di diventare difficile da sostenere di fronte all’opinione pubblica.

Boomerang politico

D’altro canto, ignorare le evidenze sul calo d’ascolti e sulla fuga verso l’estero espone il governo al rischio di un boomerang politico. Una parte consistente del Parlamento ritiene che un approccio graduale, anziché una data secca, sia più conforme al principio di proporzionalità e alla tradizione di mediazione svizzera.

Scenari possibili al Consiglio degli Stati

Il dossier passa ora al Consiglio degli Stati (cioè la Camera alta del Parlamento svizzero), chiamato a bilanciare posizioni contrapposte. Le opzioni realistiche sul tavolo sono tre: confermare la scadenza del 2026, allineandosi alla posizione del Consiglio federale; approvare una proroga tecnica di 12-24 mesi, garantendo un’uscita più morbida; rinunciare del tutto allo switch-off, mantenendo la FM come tecnologia complementare al DAB+.

Terza ipotesi

La terza ipotesi (cioè il simulcasting analogico/digitale ad oltranza) appare al momento la meno probabile, perché rischierebbe di disarticolare un decennio di pianificazione e di compromettere investimenti già realizzati.

Verso una mediazione?

Alla luce delle dinamiche emerse, lo scenario più plausibile è una mediazione politica: non un abbandono dello switch-off, ma un rinvio libero (cioè lasciando la decisione alle emittenti di rimanere o meno anche in FM in forma territorialmente differenziata) che consenta di monitorare meglio gli effetti sugli ascolti e di accompagnare le emittenti più fragili.

Finestra temporale

La finestra temporale più verosimile tra l’off definito anche degli analogici più convinti si colloca tra il 2027 e il 2028, con una transizione graduale e la possibilità di mantenere frequenze FM “di servizio” nelle aree periferiche e montane. Una soluzione svizzera all’italiana che salvaguarderebbe il pluralismo senza rinnegare l’orientamento verso il digitale.

La lezione di Berna

In conclusione, la vicenda dei nostri confinanti dimostra che il passaggio al digitale non può essere trattato come un mero atto tecnico, ma richiede una visione di sistema che tenga insieme pluralismo, sostenibilità economica, competitività internazionale ma anche di una oggettiva valutazione del cambiamento di abitudini di un’utenza sempre più proiettata verso l’uso di device connessi (anche se non per ascoltare la radio).

La lezione di Schawinski del 1980

Cioè quella stessa valutazione che Roger Schawinski aveva invocato quando, nel 1980, con Radio 24, aveva invocato per conseguire la liberalizzazione dell’etere elvetico. 

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