Media. GEDI/Ant1: asse greco-saudita punta al comparto audio, ma dibattito pubblico vede solo i giornali (che non interessano ai compratori)

GEDI/Ant1

Nella ormai snervante attesa dell’ufficializzazione dell’operazione GEDI/Ant1 (attesa, secondo le ultime indiscrezioni dopo l’anniversario dei 50 anni di La Repubblica, il 14/01/2026), rileviamo come l’interesse politico e mediatico sul deal sia quasi esclusivamente dedicato ai due quotidiani in procinto di passare di mano (oltre alla citata La Repubblica, anche quello che una volta, sotto il regno dell’Avvocato Agnelli, era un asset intoccabile: La Stampa), mentre il vero baricentro industriale degli acquirenti greco-sauditi è l’audio, di cui poco si parla.

Sintesi

L’operazione GEDI/Ant1 viene spesso letta come l’ennesimo segnale della crisi dei quotidiani: un’interpretazione riduttiva. Il deal va, infatti, più opportunamente inquadrato in una riallocazione di valore all’interno di un portafoglio multimediale più ampio e internazionale.
Il vero asset discriminante non è la stampa, bensì l’audio di GEDI, che, sebbene non trovi più una collocazione strategica in Exor, rappresenta un’infrastruttura editoriale ibrida, platform ready e scalabile, molto più appetibile per investitori industriali globali.
E le prime dismissioni della stampa locale indicano chiaramente quali asset siano considerati meno opzionali sul piano industriale.

La natura prospettica dell’operazione GEDI/Ant1

La tendenza più frequente nell’analisi dell’operazione GEDI/Ant1 da parte della politica italiana e dei media sembra essere la scarsa natura prospettica: la più parte degli interpreti la relega ad una crisi di storiche testate giornalistiche della carta stampata (in primis La Repubblica e La Stampa), quando in realtà si tratta di un progetto di riallocazione di valore all’interno di un più vasto portafoglio multimediale (quand’anche allo stato – ed è proprio questo il punto – distribuito “solo” in Nord America, Europa orientale ed Australasia).

Il piano simbolico

Un errore comprensibile sul piano simbolico, ma fuorviante su quello industriale, soprattutto se si considera che il vero fattore discriminante dell’operazione non è la carta stampata, bensì l’area audio (radio + podcast) del gruppo GEDI, che non trova più ragione di (r)esistenza in Exor, la holding degli Agnelli-Elkan.

GEDI/Ant1 non è solo La Repubblica e La Stampa. Anzi, ai compratori questi asset non interessano

La forte esposizione mediatica delle sottovicende de La Stampa e la Repubblica – acuita dalle legittime preoccupazioni delle redazioni e dalla mobilitazione sindacale – rischia infatti di occultare la dinamica più rilevante: la progressiva distinzione tra asset editoriali labour intensive, caratterizzati da costi rigidi e da una monetizzazione strutturalmente in contrazione ed asset platform ready, più flessibili, più facilmente integrabili in logiche cross-mediali e, soprattutto, più appetibili per investitori industriali e finanziari come l’asse greco-saudita dell’operazione GEDI/Ant1.

Posizione perculiare dell’audio

In questo schema, l’asset audio di GEDI – costituito da Radio DeeJay, Radio Capital, m2o, DeeJay Tv, radio ancillari e piattaforma One Podcast, forse il più promettente in prospettiva, in quando inespresso nelle sue potenzialità, insieme alla concessionaria A. Manzoni & C., anch’essa nel perimetro dell’alienazione all’armatore-editore Theodore Kyriakou ed al suo socio-finanziatore saudita Mohammed Bin Salman – si colloca in una posizione peculiare.

Il ruolo (attuale) della radio

La radio, in particolare, non è più – da tempo – un mezzo esclusivamente lineare, ma non è nemmeno un puro intermediario tecnologico. È un’infrastruttura editoriale ibrida, capace di operare simultaneamente su più livelli: contenuto, distribuzione, brand, relazione e, potenzialmente, dati.

La chiave di lettura dell’operazione GEDI/Ant1

Il fatto che le prime dismissioni operative abbiano riguardato la stampa locale, con la cessione della storicissima Sentinella del Canavese, (che esordì nel 1893 con l’impegnativa dichiarazione d’intenti: «Mai farà atto di soggezione a chicchessia») non è un dettaglio marginale ma un indicatore anticipatore.

Stampa territoriale: segmento di minor grado di opzionalità industriale

La stampa territoriale rappresenta oggi il segmento con il minor grado di opzionalità industriale: difficilmente scalabile, scarsamente automatizzabile, poco compatibile con modelli di piattaforma e fortemente dipendente dal costo del lavoro. L’audio, al contrario, presenta una struttura dei costi più elastica e una capacità di estensione tecnologica che lo rende immediatamente valorizzabile anche al di fuori del perimetro editoriale tradizionale.

La posizione della radio nel dibattito pubblico

È in questo contesto che va collocata la posizione poco evidenziata – e per certi versi rivelatrice – della radio nel dibattito pubblico sull’operazione GEDI/Ant1. Se i quotidiani sono al centro della narrazione e del modesto conflitto politico (l’esecutivo approva il deal – probabilmente perché i compratori hanno idee allineate di matrice trumpiana-, mentre l’opposizione se ne è accorta troppo tardi), l’audio ed in particolare l’asset radiofonico di GEDI resta sullo sfondo.

Sottofondo strategico

Ma è un sottofondo strategico, non residuale. Il ruolo della radio nel pacchetto di vendita a saldo (140 mln di euro tutto compreso, tra pesi e contrappesi) non viene analizzato a fondo perché, semplicemente, in profondità non è percepita.

La radiofonia di GEDI

L‘asset radio di GEDI, infatti, risponde a criteri industriali che oggi il mercato riconosce come premiali: audience ampia e fidelizzata, forte riconoscibilità dei brand, struttura (quasi) sufficientemente digital oriented, distribuzione omnicanale in nuce e una monetizzazione pubblicitaria che, pur sotto pressione, resta più resiliente rispetto alla stampa.

Centralità quotidiana

Inoltre, la radio è uno dei pochi mezzi di comunicazione di massa che mantiene una centralità nell’uso quotidiano, soprattutto in contesti di mobilità e multitasking, fattori che ne preservano la rilevanza anche in ecosistemi dominati dall’on demand.

Un gigante addormentato, in Italia

Un medium, almeno in Italia, sottostimato e sottoutilizzato a livello pubblicitario. Non tanto per mancanza di pubblico, quanto per una cronica sottovalutazione industriale. Un minus che proprio per ciò si traduce in opportunità per soggetti esterni al sistema nazionale, in particolare gruppi europei abituati a leggere la radio come un nodo strategico della catena del valore, e non come un semplice mezzo di diffusione (anche perchè questo termine è destinato ad essere sostituito dal più consono distribuzione).

L’interesse di Thedore Kyriakou & Mohammed Bin Salman

L’interesse del duo Thedore Kyriakou & Mohammed Bin Salman per il perimetro audio italiano va interpretato proprio in questa direzione. Per un operatore con ambizioni intercontinentali come Ant1 (Antenna Group), l’ingresso nella radiofonia italiana rappresenterebbe un ulteriore salto dimensionale, difficilmente replicabile attraverso una (lenta) crescita organica.

Infrastruttura relazione attiva

Non si tratta solo di acquisire frequenze analogiche (che valgono sempre meno) o marchi (che valgono sempre di più), ma di entrare in possesso di una infrastruttura relazionale già attiva, potenzialmente integrabile con piattaforme televisive, digitali e pubblicitarie in un’ottica di convergenza.

Il modello di destinazione…

Ricordiamoci infatti che il modello Kyriakou è quello del gruppo dinamico e flessibile, che concentra i processi decisionali e digitali in pochi hub tecnologici (spesso condivisi con partner come Bauer Media Audio) e poi declina localmente brand e format. Una filosofia manageriale di efficienza creativa: investire su contenuti scalabili, ridurre la duplicazione di funzioni e costruire economie di scala sulla tecnologia.

… e quello di partenza

E GEDI rappresenta una delle ultime roccaforti del modello editoriale italiano classico, dove la radio è un asset di prestigio ed influenza più che un driver di profitto. Il comparto Elemedia – che raggruppa Radio DeeJay, Radio Capital e m2o (oltre a Deejay TV e canali digitali ancillari) – è frutto di una stratificazione di storie, stili e pubblico: dalla tradizione pop e d’intrattenimento di DeeJay, alla vocazione informativo-politica adulto-contemporanea di Radio Capital, fino all’universo dance di m2o, forse il soggetto più complesso da collocare in un mondo dove i giovani ascoltano sempre meno la radio lineare.

Mix in equilibrio instabile

Un mix probabilmente ancora vincente in termini di notorietà, ma sempre più oneroso in termini di gestione e soprattutto meno strategico per un gruppo che ha mire industriali globali sempre meno legate all’editoria.

Exor

E infatti la stessa Exor – azionista di controllo – non ha nascosto, coi suoi comportamenti concludenti (e comunque non smentiti), che mantenere un comparto radio così articolato, all’interno di un gruppo dove l’editoria ha sempre meno rilevanza, rischia di essere più un freno che un vantaggio competitivo.

La (sotto)valutazione economica

Il paradosso, tuttavia, è che questo valore non viene riconosciuto appieno dagli editori storici. Lo dimostra il confronto tra la valutazione di GEDI e quella di un aggregatore di flussi radiofonici terzi liberamente accessibile, come TuneIn a cui abbiamo dedicato specifica attenzione. Un confronto che non va letto come una provocazione, ma come la rappresentazione di una gerarchia di mercato ormai consolidata: chi controlla l’accesso ai flussi vale più di chi produce contenuti, anche quando questi contenuti generano audience e brand.

Radio: infrastruttura di accesso e di engagement

La radio, in questo senso, si trova in una posizione liminale. Può essere trattata come contenuto editoriale – e quindi subire la stessa svalutazione della stampa (al limite lo è solo per la componente analogica della distribuzione broadcast) – oppure come infrastruttura di accesso e di engagement, e quindi essere riqualificata come asset strategico. È questa ambiguità a renderla centrale nell’operazione GEDI/Ant1.

Rischio sistemico maggiore

Ma proprio qui si annida il rischio sistemico maggiore. Se la radio viene valorizzata esclusivamente come piattaforma di reach e di raccolta pubblicitaria, senza un progetto editoriale coerente, il risultato potrebbe essere una progressiva erosione della sua funzione informativa e culturale.

Contenitore standardizzato

Un processo già osservato in altri mercati europei, dove la radio è stata trasformata in un contenitore efficiente ma standardizzato, orientato più alla massimizzazione dei flussi che alla costruzione di valore editoriale.

Asset ponte tra media legacy e piattaforme digitali

L’operazione GEDI/Ant1, dunque, è un banco di prova non solo per il gruppo coinvolto, ma per l’intero sistema dei media italiani. Da un lato, mostra la difficoltà strutturale della stampa a sostenere modelli industriali tradizionali. Dall’altro, evidenzia come la radio rappresenti l’ultimo vero asset ponte tra media legacy e piattaforme digitali.

Estrazione di valore a breve termine o valorizzazione del ruolo strategico della radio?

La domanda di fondo, per un osservatore tecnico, non è se GEDI verrà venduta né a chi. La domanda è se, da questa operazione, emergerà una radio finalmente riconosciuta come infrastruttura editoriale strategica, capace di coniugare sostenibilità economica e funzione pubblica, oppure se si assisterà all’ennesima estrazione di valore a breve termine, con un progressivo impoverimento del sistema informativo.

La partita vera

È su questo crinale che si gioca la partita vera. E, come spesso accade, è una partita che rischia di essere decisa lontano dai riflettori, mentre il dibattito continua a concentrarsi su ciò che, industrialmente, conta sempre meno. (M.L. per NL)

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