Il 10 settembre 2025, dal podio del Parlamento europeo a Strasburgo, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha scandito un passaggio destinato a lasciare un segno nel panorama mediatico europeo.
Nel suo Discorso sullo Stato dell’Unione, Ursula von der Leyen ha infatti presentato il Media Resilience Programme, un’iniziativa con cui Bruxelles intende contrastare la disinformazione. E, soprattutto, sostenere la resilienza dei media indipendenti. Un tema molto caro a questa testata, che negli ultimi tempi ha insistito sulla necessità di intensificare le misure di tutela dei media tradizionali nel rapporto con lo strapotere delle big tech, da ultime quelle dell’intelligenza artificiale,
Sintesi
Ursula von der Leyen, nel Discorso sullo Stato dell’Unione, ha annunciato il Media Resilience Programme, iniziativa UE per contrastare la disinformazione e rafforzare i media indipendenti.
Il programma nasce dalla constatazione dell’espansione dei “deserti informativi”, soprattutto nelle aree rurali, dove la scomparsa di giornali, radio e TV locali, lascia spazio alla proliferazione di fake news e propaganda incontrollata di vario genere.
“Senza media pluralisti e radicati nei territori – ha ammonito la presidente – il tessuto democratico europeo si indebolisce”.
L’intervento si articola su tre direttrici: sostegno al giornalismo indipendente, tramite fondi e strumenti di stabilità, alfabetizzazione mediatica dei cittadini e coinvolgimento del capitale privato per stimolare investimenti.
Von der Leyen ha annunciato anche maggiori risorse di bilancio, aprendo la strada ad una possibile politica industriale dei media.
In Italia, il sottosegretario Barachini ha accolto positivamente l’iniziativa, richiamando le misure nazionali su editoria e contrasto ai deep fake, in un contesto sempre più letto in chiave di sicurezza nazionale.
Ma, secondo gli esperti, in termini concreti, l’attuazione dell’intento comporta anche numerose criticità.
Media Resilience Programme: i nodi
Dietro la formula rassicurante, però, si celano nodi complessi, che intrecciano politica, mercato, libertà di stampa e – non da ultimo – il ruolo che i governi nazionali e l’industria privata avranno nella sua attuazione.
Il problema dei “deserti informativi”
Von der Leyen ha fotografato una realtà che da anni è sotto gli occhi degli analisti: vaste aree del continente, in particolare le zone rurali e periferiche, stanno diventando “deserti dell’informazione“. Quando una comunità perde il giornale locale, la radio di prossimità o la TV regionale, “si crea un vuoto che viene rapidamente riempito da fonti non verificate, social media e piattaforme inquinate da propaganda incontrollata e fake news.
Senza ecosistema mediatico pluralista e localizzato tessuto democratico europeo si indebolisce
Se i media indipendenti vengono smantellati o neutralizzati, la società perde la capacità di vigilare sul potere e combattere la corruzione”, ha avvisato la presidente, con una frase che sintetizza bene la logica del programma: “senza un ecosistema mediatico pluralista e radicato nei territori, il tessuto democratico europeo si indebolisce”.
Cosa prevede il Media Resilience Programme
Il pacchetto annunciato si articola su tre direttrici principali: sostegno al giornalismo indipendente (attraverso fondi diretti e strumenti per garantire stabilità economica a realtà editoriali spesso fragili); alfabetizzazione mediatica (programmi per rafforzare la capacità critica dei cittadini e migliorare la fiducia nei media); coinvolgimento del capitale privato (con l’obiettivo di stimolare investimenti nei media locali, sfruttando fondi UE come leva di attrazione).
Verso una politica industriale dei media
Von der Leyen ha inoltre annunciato un incremento delle risorse di bilancio destinate ai media, un punto che potrebbe trasformare un progetto politico in una vera e propria politica industriale.
Il nodo italiano: tra deep fake e sostegni all’editoria
In Italia, il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’informazione e all’editoria, il giornalista Alberto Barachini, ha accolto l’annuncio amplificandolo e sottolineando “la convergenza con le misure già introdotte a livello nazionale”. Tra queste spicca il disegno di legge sull’intelligenza artificiale, che include il reato di deep fake ed una serie di interventi per supportare editoria locale e servizio pubblico in un contesto che viene ormai definito di “guerra ibrida dell’informazione”.
Dal piano culturale a quello della sicurezza nazionale
Una lettura che evidenzia come il dibattito sulla resilienza mediatica non sia più confinato a livello culturale, ma si giochi apertamente anche e soprattutto sul terreno della sicurezza nazionale.
Opportunità e limiti strutturali
Da un lato, il Media Resilience Programme apre prospettive interessanti: può contribuire a riequilibrare le disparità tra centri urbani e periferie informative; può sostenere l’innovazione di prodotto e processo nei media locali; può facilitare sinergie tra fondi pubblici e capitale privato. Il tutto sullo sfondo della necessità di equilibrare i rapporti tra le big tech della I.A. che si alimentano di contenuti degli editori sottraendo però loro risorse con la diminuzione del traffico web sui siti di appartenenza, come più volte denunciato su queste pagine.
Le criticità
Dall’altro lato, emergono, però, alcune criticità. Vediamole insieme anche col contributo di esperti della materia.
Dipendenza dai fondi pubblici e definizione dei media indipendenti
“Il rischio è che piccole testate sopravvivano solo grazie ai sostegni contributivi, perdendo autonomia editoriale. Senza considerare che dovrebbe essere ben definito chi decide quali soggetti abbiano diritto ai fondi, individuando con rigore i criteri di trasparenza assegnati”, commenta Giovanni Madaro, ceo di Media Progress, società di analisi strategica in ambito mediatico (gruppo Consultmedia).
Regolamentazione delicata
“Contrastare i deep fake e la disinformazione è necessario, ma serve equilibrio per non scivolare nella censura. Come sempre, la differenza la farà la governance. Senza un impianto regolatorio chiaro e indipendente, il programma rischia di diventare terreno di scontro politico e burocratico”, avverte Madaro.
La dimensione tecnologica
“Non va dimenticato che la resilienza dei media passa anche per l’accesso alle infrastrutture digitali. La qualità dell’informazione dipende ormai dalla disponibilità di reti a banda larga, dalla diffusione della fibra FTTH e dalle prospettive del 5G broadcast.
Circuito competitivo globale
Senza queste necessarie premesse tecnologiche, i media locali resteranno tagliati fuori dal circuito competitivo globale, vanificando parte degli sforzi. È un punto che nel dibattito italiano risuona con forza: basti pensare alle difficoltà di molte imprese radiotelevisive ad avere sbocco su piattaforme OTT in assenza dell’approvazione di efficaci misure di prominence“.
Governance e rischio di ecosistemi chiusi
Un ulteriore nodo riguarda la gestione del programma a livello europeo. Se la resilienza mediatica diventa un tema centrale, occorre evitare che strumenti finanziari e tecnologici vengano monopolizzati da grandi player o da governi interessati a consolidare il controllo sull’informazione.
Standard aperti, interoperabili ed una governance condivisa
La European Broadcasting Union (EBU) ha già lanciato un monito: servono standard aperti, interoperabili e una governance condivisa. Diversamente, il pericolo è che il Media Resilience Programme favorisca la nascita di ecosistemi chiusi, più attenti agli equilibri politici che alla libertà di stampa.
Prospettive nel breve termine
Cosa aspettarsi nei prossimi anni? “Nel breve periodo è probabile un rafforzamento dei media locali con interventi mirati, maggiore attenzione all’alfabetizzazione digitale e prime sperimentazioni di partenariato pubblico-privato”, commenta Alessio Negretti, giurista applicato all’Area Editoriale di Consultmedia, principale struttura di competenze a più livelli in ambito mediatico.
Medio termine
“Nel medio periodo, invece, se ben gestito, il programma potrebbe trasformarsi in una sorta di ‘politica industriale dell’informazione’ europea, con impatti tangibili su occupazione giornalistica, qualità dei contenuti e pluralismo.
Lungo termine
Infine, nel lungo termine, se il mercato IP continuerà a crescere e le nuove generazioni attingeranno informazione solo attraverso piattaforme digitali, la sfida sarà spostare la resilienza dai media tradizionali a quelli nativi online, senza ripetere errori di frammentazione e dipendenza”, avverte Negretti.
Considerazioni finali
Il Media Resilience Programme lanciato da Ursula von der Leyen è un segnale politico forte, di notevole impatto: l’Europa riconosce che la disinformazione non è solo un problema culturale o tecnologico, ma una minaccia diretta alla democrazia.
Occhio a derive censoree
La partita, però, non si gioca solo sulle risorse stanziate o sulle buone intenzioni dichiarate. Si articola sulla capacità di garantire un ecosistema realmente pluralista, di evitare derive censoree e di preservare l’autonomia dei media dai condizionamenti politici ed economici.
Dibattito aperto
Per questo il dibattito appena aperto sarà cruciale: i prossimi mesi dovranno chiarire se il programma diventerà uno strumento efficace di difesa della democrazia europea, o se resterà l’ennesima cornice ambiziosa destinata a scontrarsi con la realtà delle burocrazie nazionali e delle logiche di mercato. (M.R. per NL)