Last.fm non paga (e le royalty sono sue)

Questa l’accusa di una etichetta-contenitore che riunisce 12mila label indipendenti. Ma la startup potrebbe avere piani diversi per la musica indie. Visti anche i costi della musica in rete


da Punto Informatico

Roma – Dal 1 luglio, Last.fm ha avviato il programma che consentirà ai musicisti che mettono la loro opera a disposizione del sistema di ascolto in streaming di collezionare delle royalty. Si chiama Artist Royalty Program e, nelle intenzioni del servizio di proprietà del gruppo statunitense CBS Interactive, dovrebbe trasformare il business della musica online in un affare per tutti: piccoli e grandi. Peccato che Merlin, una sorta di quinta major costituita dal consorzio di 12mila etichette indie, non sia d’accordo: e che, anzi, punti il dito contro i limiti di questo meccanismo.

Secondo un comunicato stampa diffuso dalla etichetta indipendente collettiva, rilasciato dopo poche ore che il programma di Last.fm era stato reso pubblico, nel corso degli ultimi mesi – sin dall’annuncio lo scorso gennaio dell’accordo raggiunto dal sito con le quattro sorelle e dell’avvio della realizzazione dei meccanismi di royalty – Merlin aveva avviato un negoziato con il gruppo CBS non solo per stabilire le condizioni di pagamento per la musica attualmente a disposizione, ma anche e soprattutto per ottenere un risarcimento rispetto al periodo precedente.

Un periodo, è questa la tesi di Merlin, durante il quale Last.fm ha operato nella illegalità, sottraendo agli artisti rappresentati dall’etichetta i guadagni che gli sarebbero spettati. Inoltre, l’attuale programma non sarebbe del tutto trasparente rispetto agli effettivi introiti spettanti agli artisti indipendenti, motivo per il quale Merlin sconsiglia a chiunque dei suoi associati l’adesione a questa iniziativa fino a quando le trattative – definite “in fase di stallo” – non giungeranno ad una conclusione soddisfacente per quanto attiene al riconoscimento economico del diritto d’autore attuale e pregresso.

“I termini e le condizioni del Programma sono intese a prevenire la richiesta di ulteriori compensazioni da parte dei proprietari dei diritti” avverte Merlin. Da parte sua, Last.fm si trincera dietro un deciso “no comment” sulla questione, ricordando che i pagamenti sono già stati avviati per coloro i quali hanno aderito il programma, e che sarebbero decine di migliaia i brani già a disposizione grazie all’Artist Royalty Program.

Il motivo dello stallo nelle trattative potrebbe essere legato, ricorda Lucas Gonze sulle pagine di Silicon Alley Insider, al prezzo richiesto dalle etichette per ogni singola riproduzione della loro musica. Sebbene il centesimo di dollaro richiesto sia ben poca cosa rispetto ai 70 guadagnati per ogni brano venduto sui negozi virtuali come iTunes Store, un così esiguo pagamento imporrebbe comunque un peso eccessivo sull’economia dei servizi musicali online come Last.fm.

Secondo Gonze, per sostenere questo ordine di costi sarebbe necessario un guadagno di almeno 10 dollari per mille impression (eCPM) su ciascuna pagina di Last.fm o qualsiasi sito equivalente. Una cifra almeno 10 volte superiore a quanto auspicabile nella migliore delle ipotesi, e non è detto che tutte le pagine del website, soprattutto quelle relative alla musica di artisti meno noti, arrivino a queste cifre. Per rendere il tutto più accettabile, secondo l’imprenditore musicale californiano, occorrerebbe che il pagamento richiesto dalle etichette si abbassasse considerevolmente, puntando sulla quantità – intesa come il numero di volte che un brano viene suonato – invece che sulla singola transazione.

In poche parole, Gonze ribadisce il concetto di lunga coda anche per quanto attiene il business della musica online – soprattutto se in streaming. Il mercato dell’advertising è in crescita, e dunque in prospettiva potrebbe riuscire a garantire a tutti un guadagno accettabile. Se poi, come accaduto per i musicisti indipendenti che hanno già sottoscritto un accordo individuale con Last.fm, dal quadro si riuscisse ad eliminare un intermediario – sarebbe a dire l’etichetta – la fetta potrebbe essere più succulenta per tutti.

Forse, suggerisce Mashable, è anche questo il motivo per cui Last.fm non ha fretta di chiudere la partita con Merlin: con iTunes, Amazon, MySpace e la stessa azienda CBS che prevedono accordi specifici per i singoli artisti; con la musica che ha di fatto scavalcato, grazie all’avvento di Internet, il vecchio paradigma di distribuzione; con tutti questi fattori in gioco, chi è che ancora potrebbe desiderare l’intervento di una major a fare da tappo tra fruitori e creatori della musica? Last.fm non di certo. E se i consumatori saranno d’accordo con questo principio, allora le sottoscrizioni fioccheranno: e tutti, tranne Merlin, vivranno felici e contenti.

Luca Annunziata

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