Radio e Tv. La voce impostata da anchor man è ormai fuori luogo? Il giornalismo radiotelevisivo va ripensato tra autenticità ed autorevolezza

Mario Pastore, tg, RAI, la voce, anchorman

La voce da anchor (man & woman) è alla fine del suo ciclo esistenziale?
Il giornalismo radiotelevisivo si ripensa, tra autenticità e autorevolezza e la tradizionale dizione broadcast standard lascia il posto ad una narrazione più spontanea.
Perché l’influenza oggi passa (anche) dalla naturalezza, anche se occorre evitare di cadere nell’eccesso opposto.
Alcuni studi sul tema analizzano le fattispecie lungo un percorso evolutivo del giornalismo radiotelevisivo; anzi, ormai, audio/video.

Sintesi

Nel giornalismo radiotelevisivo sta emergendo una trasformazione della vocalità dei conduttori: dalla storica broadcast voice, impostata e neutra, si passa a uno stile più naturale e, soprattutto, personale
Il cambiamento è guidato dalla ricerca di una maggiore empatia verso il pubblico, soprattutto quello delle generazioni più giovani, che percepiscono la voce spotanea – anche con inflessioni regionali – come più credibile e trasparente.
Secondo la rivista USA dedicata al broadcast TV News Check e la società italiana di analisi mediatica strategica Media Progress, la pandemia ha accelerato questa evoluzione: le conduzioni da casa, meno formali, hanno infatti avvicinato pubblico e giornalisti.
D’altra parte, anche istituzioni come la BBC e scuole di giornalismo americane hanno aggiornato linee guida e curricula per valorizzare autenticità e varietà vocale.
In Italia, seppur legati ad una impostazione tradizionale, emergono nuovi stili più documentaristici, mentre i podcast trainano una narrazione più identitaria.
Tuttavia, gli esperti avvertono: naturalezza sì, ma senza rinunciare a tecnica ed autorevolezza. Il rischio, infatti, è che un’eccessiva informalità comprometta la percezione da parte dell’utenza di professionalità o favorisca, sul lato opposto, un eccesso di protagonismo.
In sintesi, non si tratta di dire addio al tono da anchor, ma di superarne la rigidità: la voce del giornalismo futuro sarà meno monocorde, più situata e plurale, capace di adattarsi al formato e al pubblico, senza però perdere il suo ruolo democratico e informativo.

La voce da anchor

La voce da anchor – termine che indica il conduttore (anchorman) o la conduttrice (anchorwoman) di un programma televisivo o radiofonico, spesso legato all’attualità, che introduce e coordina le varie parti del programma – con il suo tono impostato e la dizione equidistante, per decenni ha rappresentato – marcando la distanza tra fornitore e fruitore dell’informazione – il cliché della credibilità nel giornalismo televisivo.
Tuttavia, oggi, in un contesto mediatico iperconnesso e dominato da social, quella vocalità formale, impostata, pura, asettica ed uniforme sembra essere diventata un ostacolo alla relazione con l’utente, creando una distanza con lui.

L’analisi di TV News Check

Secondo un’analisi del periodico americano dedicato al mondo broadcast TV News Check, le nuove generazioni di telespettatori e la crescente ibridazione, tra informazione e linguaggi digitali, stanno ridefinendo il ruolo della voce nel racconto giornalistico.

The voice of God is dead

Il classico timbro stentoreo degli anchor americani degli anni ‘60 e ‘70 appare sempre più fuori luogo.
Non che lo stile non sia già cambiato nel tempo: basta guardare filmati od ascoltare spezzoni audio di notiziari di quei decenni per comprendere di quanta maggiore naturalezza si sia permeata la conduzione col decorso del tempo. Un’evoluzione che secondo TV News Check, non è frutto solo dell’evoluzione del gusto o della cultura mediatica, ma di un cambiamento profondo nel rapporto tra chi informa e chi viene informato.

Costrutto ideologico superato

“L’impostazione vocale indistinta e priva di marcatori regionali è un costrutto ideologico, pensato per trasmettere autorevolezza. Ma oggi il pubblico cerca autenticità e prossimità. E la voce è uno dei primi elementi attraverso cui si percepiscono tali principi“, conferma il rapporto 25.2 di Media Progress (gruppo Consultmedia, società di ricerche di mercato ed analisi strategiche nel comparto mediatico italiano), sul tema della conduzione dei radiogiornali e dei tg.

Questione di empatia a km zero

I telespettatori under 40 trovano “più credibili i giornalisti che usano una vocalità naturale – anche con inflessioni regionali, a km zero nel caso di contributi informativi locali -, rispetto a quelli che parlano con tono standardizzato. Il dato si riflette in un calo della fiducia verso le edizioni serali tradizionali, a favore di formati ibridi o digital-first come newsletter audio/video, social news e podcast di approfondimento“, si legge nel report di Media Progress.

La pandemia come acceleratore

Il cambiamento, in realtà, era già in atto prima del Covid-19, ma la pandemia ha avuto un ruolo di accelerazione radicale. Quando nel 2020 alcuni anchor hanno iniziato a collegarsi da casa – privi del supporto di studi ipertecnologici – la loro vocalità si è improvvisamente “normalizzata. O quantomeno è stata percepita come tale forse proprio a causa della sua amatorialità.

Prossimità della narrazione

“In molti casi, il tono da casa era più naturale, meno impostato e quindi più prossimo all’utente. Gli ascoltatori, successivamente abituatisi a piattaforme come Zoom per le videochiamate, hanno metabolizzato questa intimità, riconoscendola come una forma più sincera ed autentica di narrazione“, commenta Giovanni Madaro, ceo di Media Progress.

Trasparenza

Tesi confermata anche da uno studio del 2022 del Pew Research Center (centro studi statunitense che fornisce informazioni su problemi sociali, opinione pubblica, andamenti demografici), secondo il quale il 61% dei consumatori di notizie digitali valuta positivamente uno stile conversazionale e riconosce nei giornalisti “con una voce naturale” un maggior livello di trasparenza.

L’evoluzione negli Stati Uniti

Negli USA il dibattito sulla questione è già maturo. Alcune importanti stazioni radio e tv locali hanno, da qualche anno, ufficialmente abbandonato le linee guida storiche della broadcast voice.
Le stesse scuole di giornalismo – dalla Annenberg School for Communication alla Columbia University – hanno aggiornato i curricula per includere training sull’autenticità vocale, sull’uso espressivo della lingua e sul controllo dell’enfasi più che sulla neutralità.

Manifestare la propria identità per creare empatia

“Non bisogna chiedere ai giornalisti di diventare attori o di parlare necessariamente come si parlerebbe in maniera conviviale a tavola tra amici, ma di abbandonare il personaggio dell’anchor per manifestare maggiormente la propria identità. Questo richiede tecnica e consapevolezza, non improvvisazione”, spiega Madaro.

Anche la conservatrice BBC spinge sulla naturalezza

Anche la BBC, notoriamente conservatrice, ha introdotto nel 2023 nuove linee guida per incoraggiare la varietà vocale tra i conduttori delle sue edizioni digitali, riconoscendo che “la diversità vocale è parte della rappresentazione culturale”.

Il caso italiano: segnali di apertura

In Italia, l’eredità della scuola RAI – con figure come Enzo Biagi, Sergio Zavoli e Alberto La Volpe – ha consolidato per decenni l’idea che il giornalismo televisivo dovesse mantenere un registro alto, quasi didattico. Tuttavia, anche nel nostro Paese si osservano segnali di discontinuità.

Stili italiani più informali

Conduttori come Francesca Mannocchi (La7), Valentina Petrini (Nove) o Antonio Di Bella (Rai), adottano stili vocali più informali, usando pause, variazioni di tono ed un ritmo narrativo più vicino al documentario od allo storytelling che al classico telegiornale.

Podcast giornalistici

Nei podcast giornalistici, come Stories di Cecilia Sala o Morning di Francesco Costa, la voce è ancora più centrale: non filtrata, emotiva, a tratti colloquiale. E funziona: secondo i dati di Spotify Italia, l’ascolto di notizie in formato audio è cresciuto del 34% nel 2024, trainato da format personali e vocalmente identitari.

I rischi di una vocalità troppo autentica

Naturalmente, l’adozione di stili più naturali non è esente da rischi. L’eccessiva informalità può minare la percezione di professionalità, soprattutto in contesti di breaking news o in eventi istituzionali. Inoltre, la spasmodica ricerca di una “voce vera può sfociare in una forma di narcisismo comunicativo, dove l’identità del giornalista prende il sopravvento sulla notizia.

Autenticità non è spontaneità assoluta

“L’autenticità non significa spontaneità assoluta. Serve una formazione nuova, che unisca capacità di racconto e consapevolezza della propria presenza vocale. Senza perdere l’autorevolezza conquistata in decenni di rigore giornalistico”, osserva sul punto Giovanni Madaro.

Verso un tono contemporaneo

“Il futuro della voce nel giornalismo radiotelevisivo non è né completamente neutro, né completamente individualista. È piuttosto situato: cambia a seconda del formato, del pubblico, del contenuto. Per il TG serale, una vocalità pacata e rassicurante resta importante.

Credibile ed empatico

Ma per i video sui social, l’informazione explain-it, i format di infotainment, i podcast ed i reportage, serve una voce che interpreti, con credibilità ma anche con empatia”, insiste il ceo di Media Progress.

Meno monocorde, più plurale

“La voce dell’informazione del futuro sarà meno monocorde e più plurale. Dovrà sapere entrare in risonanza con le comunità, senza perdere di vista il compito democratico del giornalismo”, conclude l’analista mediatico.

Nessun addio al tono da anchor, ma no alla rigidità

Insomma, non è tempo di dire addio all’impostazione da anchor in senso assoluto, ma di archiviarne la rigidità sì. In un mondo dove l’informazione è ovunque, e spesso falsificata, la voce resta un potente strumento di fiducia.

Raccontare la persona che racconta

Ma solo se sa raccontare non solo i fatti, ma anche la persona che li racconta.

Giornalismo sempre più vocale

Il giornalismo che verrà, televisivo, radiofonico o meno, sarà sempre più vocale. E non sarà la perfezione tecnica a renderlo credibile, ma la capacità di trasmettere, con onestà, chi siamo quando diciamo la verità. (E.G. per NL)

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