Radio. Passioni, scenari e prospettive della radiofonia nel 2018. Se avessimo oggi 15 anni dedicheremmo ancora tempo ad assemblare un trasmettitore?

trasmettitore

Un’irrefrenabile voglia di ascoltare e conoscere nuova musica, un legittimo interesse ad incrementare le proprie relazioni personali e una comprensibile mania di protagonismo insita in molti veterani dell’etere che si cimentarono nell’assemblare o quantomeno ad installare un trasmettitore.
Ecco i cardini su cui per molto tempo si è ancorata la passione di chi ha cominciato a fare radio negli anni ‘70, per lo meno all’inizio.
In seguito, strada facendo, le motivazioni sono trasmutate in altro a seconda delle personali inclinazioni e attitudini, ma è innegabile che gli inizi, per tutti, abbiano preso il via dalle identiche esigenze, al netto dei cultori, in alcuni casi feticisti, di apparati di AF e BF, che meriterebbero un capitolo a parte e per cui anche solo questo singolo interesse costituiva una molla per impiegare giorni a costruire o implementare un trasmettitore per poi trascorrere le notti vagando in macchina per cercare di verificare i risultati delle emissioni.

Una ristretta casta in possesso, almeno in teoria, di buone nozioni tecniche che se fosse ancora consentito a tutt’oggi, pur in piena epoca di Radio 4.0, proverebbe lo stesso identico piacere e sicuramente troverebbe lo stesso tempo da impiegare a montare antenne e cercare postazioni idonee, ma, come dicevamo, si tratta di un’élite ridotta per cui il progresso non ha cambiato le motivazioni; per tutti gli altri invece, inevitabilmente, il mondo è mutato e, con estrema sincerità, se oggi avessimo 15 anni verosimilmente non avremmo alcun interesse a trascorrere pomeriggi dentro un’emittente, proprio perché si sono modificate del tutto le condizioni di base (mentre sicuramente ha una maggiore propensione a caricare video autoprodotti su YouTube).
L’approccio con la musica è cominciato a cambiare già a metà degli anni ‘90 con la massiva commercializzazione dei primi masterizzatori per cd, già quello costituisce un punto di non ritorno, archivia le registrazioni in cassetta e consegna piano piano a tutti la possibilità di realizzare una copia ”uguale” all’originale da distribuire ad amici e parenti, comincia quindi a scricchiolare il primo perno della passione radiofonica, non vi è più l’esigenza di frequentare una radio per conoscere nuovi artisti e immagazzinare musica in qualsiasi formato e per molteplici necessità.

L’avvento di internet e Napster mette la pietra tombale sull’argomento, la musica diventa gratis e di tutti subito e in qualsiasi momento, il brivido inebriante di chi trascorreva ore immerso nella sala dischi di un’emittente diventa già 20 anni fa una sensazione per nostalgici e un’esigenza che non serve più a nessuno.
Quanto alla voglia di relazionarsi e di nuove conoscenze, nello stesso periodo della nascita dei primi programmi di file sharing assurgono a moda anche le prime chat che diventano presto il nuovo modo di comunicare e di intrecciare amicizie, chi bazzicava in radio per quello scopre che esistono metodi più comodi e rapidi per raggiungere risultati e le radio cominciano a svuotarsi di ”appassionati” e anche le bande dei radioamatori ritornano ad esclusivo appannaggio di chi le usa per scopi più consoni.

Il mondo cambia e i Social, inimmaginabili per i pionieri dell’etere, danno l’ultimo piccolo colpo al sistema appagando, nelle sue varie forme estetiche e di scrittua, tutte le frenesie di chi ricerca visibilità; di contro il telefono non suona più da tempo durante le trasmissioni ma gli innumerevoli avvisi delle notifiche sullo smartphone diventano la nuova droga e creano dipendenze ancora più forti.
Rimangono sempre meno le motivazioni per innamorarsi se non di un trasmettitore almeno di un microfono, quando gli idoli viaggiano a colpi di like e il personaggio più in vista della scuola non è il dee jay dell’emittente locale più ascoltata ma chi raggiunge più visualizzazioni su Facebook (o meglio su Instagram, perché già FB è da vecchi…) durante le dirette.

La radio diventa gradualmente uno sport minore e se anche chi l’ha amata alla follia per decenni (elevando a totem il trasmettitore), oggi troverebbe davvero ben poche ragioni per (ri)cominciare, viene da domandarsi con quale coraggio ci si possa lamentare del disinteresse dei giovani verso questo mondo.
Che poi ci sia un’eccessiva omologazione dei media, poca attenzione verso le nuove generazioni, sono tematiche di cui ci siamo già occupati più volte, ma che alla base sia assolutamente diverso tutto il contesto che ci circonda è fuor di dubbio e giustifica ampiamente il crescente interesse verso nuove forme di comunicazione e interazione più efficaci e funzionali.

Se per James Purnell, direttore di BBC Radio, è Spotify a far più paura delle emittenti commerciali, visto il sempre maggiore interesse delle nuove generazioni verso contenuti on demand senza interruzioni pubblicitarie, è facile rendersi conto di come il vecchio mondo fatto di antenne e rivalità che ha caratterizzato gli anni ‘70 fornendo linfa vitale a tante piccole emittenti e un vivaio qualitativo e quantitativo enorme per le nazionali, sia da considerarsi un modello ormai estinto.
Stante l’attuale stato delle cose, e non vi è motivo di immaginare scenari diversi, sempre meno persone avranno voglia di cimentarsi in quest’arte e di conseguenza sempre meno persone ascolteranno i media tradizionali rimasti ancorati alle vecchie abitudini.
Se così i dati di ascolto, anche per le locali, parlano sempre di numeri significativi e confortanti, le innumerevoli (s)vendite di stazioni storiche purtroppo sembrano nella realtà affermare ben altro.
Non è un paese per giovani e probabilmente non più neanche per amanti non già solo di un trasmettitore in modulazione di frequenza (e tanto meno in onde medie, per rimanere in tema dell’utilizzo che se ne sta facendo con l’apertura all’utilizzo delle frequenze dismesse), ma forse della radiofonia stessa. Almeno per come l’abbiamo sempre conosciuta- (U.F. per NL)

foto di apertura di Floriano Fornasiero

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