Interazione ascoltatori/radio via telefono e messaggistica in calo: segno di amore raffreddato o piuttosto di cambiamento socio-culturale?

di interazione, dj radio

L’ascolto radiofonico in Italia continua a mantenere numeri importanti: secondo i dati TER 2024, sono 35 milioni gli utenti che, quotidianamente o saltuariamente, seguono trasmissioni radio.
Un dato che, se letto isolatamente, potrebbe far pensare che, nonostante la rapidissima evoluzione socio-culturale-tecnologica, la propensione alla interazione col mezzo di comunicazione di massa elettronico più antico al mondo non sia cambiata.
Invece, dietro questa cifra di facciata si cela un quadro in trasformazione, in cui è appunto la percentuale di interazione diretta con il pubblico ad essere in progressivo declino, sollevando interrogativi su quanto l’ascolto radiofonico sia ancora realmente partecipato e non semplicemente di sottofondo o passivo.
Ammesso che ciò sia un problema e non sia una condizione diffusa per i mezzi di comunicazione lineari, come vedremo in questa analisi.
La radio, soprattutto quella musicale, da sempre medium empatico e relazionale, vive oggi una (evidente solo dietro le quinte) condizione di riduzione del dialogo con il proprio pubblico.
Fino a 25 anni fa le telefonate degli ascoltatori scandivano ancora le dirette e rappresentavano un termometro immediato dell’engagement.

Il testimone della interazione tra il pubblico e la radio

Appena un lustro dopo, a raccogliere il testimone del telefono nella interazione radio/pubblico erano sms, email e, dal 2010, i messaggi WhatsApp, che, progressivamente, hanno pressoché completamente sostituito altre soluzioni messaggistiche.

Fasce senza feedback messaggistico

Oggi, però, molte emittenti – anche di rilievo nazionale – attraversano fasce orarie intere senza ricevere feedback rilevanti, se non qualche like o commento da parte degli utenti sulle piattaforme social, dove, però, la fattispecie di interazione è quasi completamente disallineata da quanto va in onda in lineare (quasi fossero – come in effetti sono – due mondi completamente differenti).
Fuori dalle stanze radiofoniche ciò non si dice, anzi si nega. Ma è così.

Il nodo irrisolto

E proprio il rapporto tra live radio e social media rappresenta un nodo irrisolto.
Se da un lato le piattaforme digitali sembrano offrire occasioni di contatto per favorire la fruizione lineare, dall’altro non è detto che chi interagisce con la pagina Instagram o Facebook di una stazione radio ne sia effettivamente un ascoltatore.

L’engagement sui social non coincide quasi mai con l’ascolto radiofonico lineare

Non è certamente una novità che l’engagement sui social delle radio non coincida quasi mai con l’ascolto lineare (nel senso che non ne è una conseguenza) e che, sovente, la presenza su Facebook, Instagram, ecc. delle emittenti si riduca ad una dinamica di branding e riconoscimento visivo, più che un supporto al consumo effettivo del prodotto editoriale live.

Il mercato l’ha già capito

Non è un caso, infatti, che in molte concessionarie pubblicitarie la valorizzazione commerciale della componente social (semmai coltivata con risultati economici degni di attenzione) segua logiche completamente diverse da quelle applicate alla radio lineare. E ciò in quanto, è ormai evidente, gli utenti social delle radio solo in una parte, nemmeno rilevante, sono ascoltatori, quantomeno continuativi, delle relative trasmissioni live.

Ascolto passivo

Certamente la colpa non è solo delle spostamento della interazione del pubblico sui social, che consentono azioni più immediate: a contribuire alla tendenza è anche il taglio editoriale della maggioranza delle stazioni, che induce gli ascoltatori ad una fruizione passiva, con tanta musica, interventi brevissimi e non ad ogni brano.

Le personalità

Non è un caso che la reattività aumenta in presenza di show con personalità o nel caso di programmi sportivi. Personaggi come Fiorello e Cruciani, che sono essi stessi il contenuto delle loro trasmissioni, la propensione alla interazione aumenta notevolmente, anche se comunque resta molto lontana da quella che i conduttori sviluppavano negli anni 70, 80 e 90.

La comodità del vocale

Del resto, almeno in una prima fase, sono state le stesse emittenti a limitare la tendenza alla interazione diretta (le telefonate) a vantaggio dei messaggi vocali, maggiormente gestibili, programmabili e, soprattutto, filtrabili. Una comodità che, tuttavia, ha diminuto progressivamente la propensione dell’utenza al contatto con la stazione.

SDK

In questo scenario articolato (lineare + differito + laterale), si innesta il tema dell’evoluzione della rilevazione degli ascolti, con l’introduzione del metodo SDK (Software Development Kit) nell’indagine Audiradio, ormai verosimilmente rimandata al 2026.

Misurazione dell’ascolto differito

La componente elettronica SDK, integrando quella dichiarativa col metodo CATI (interviste telefoniche), dovrebbe misurare l’ascolto su dispositivi digitali in differita (catch-up, cioè riproposizione di quanto andato in onda, escludendo quindi i podcast, che, per definizione, sono contenuti nativi on demand), portando la radio più vicina ai parametri della misurazione tipica del consumo tv curata da Auditel (cd. total audience).

Shock the content

Tuttavia, come già evidenziato da queste colonne (cfr. editoriale di aprile 2025, Shock the content), l’introduzione del parametro di ascolto differito rischia di generare distorsioni proprio per la differente natura dell’ascolto lineare dall’universo variegato della interazione social e della fruizione on demand.

Polarizzazione dei contenuti

L’ascolto differito, infatti, premia la polarizzazione dei contenuti: programmi personalistici, sensazionalistici, virali, o fortemente provocatori – quelli che “funzionano” sugli algoritmi –, rischiano di essere sovra-rappresentati rispetto alla normale programmazione lineare, creando discontinuità.

Too much & Trash premialità

Il rischio è che – secondo le logiche social – con la misurazione SDK ad essere premiato siano soprattutto il too much ed il trash a scapito del lavoro editoriale strutturato, con conseguenze potenzialmente devastanti sulla qualità complessiva del prodotto radiofonico.

Il concetto di live radio

D’altra parte, è lo stesso concetto di radio lineare a dover essere rivalutato. L’ascolto live, condiviso in tempo reale tra conduttore ed ascoltatore, è ancora oggi ciò che differenzia la radio da ogni altro formato audio.

Il problema

Eppure, proprio questa caratteristica sembra essere andata in ombra – secondo alcuni analisti – non per mancanza di pubblico (le indagini dimostrano il contrario), quanto per assenza di coinvolgimento.
Ma è veramente così?

1^ scuola di pensiero sulla progressiva perdita di interazione

Secondo la scuola di pensiero della perdita di carica di engagement da parte della radio, in un’epoca in cui la quantità di contenuti è potenzialmente infinita, ma l’attenzione è scarsa, la vera sfida della radio non è farsi ascoltare, ma farsi vivere.

Interazione autentica, non algoritmica

Riconquistare l’interazione autentica, non algoritmica – secondo questa chiave di lettura – sarà il compito degli strateghi della programmazione radiofonica nei prossimi anni. In caso contrario, si rischia una sopravvivenza silenziosa, numericamente dignitosa, ma editorialmente indifferenziata o comunque incapace di costruirsi un’identità.

2^ scuola di pensiero

Visione non condivisa da altri osservatori che, invece, spiegano la perdita di interazione con il cambiamento dei tempi. Questa chiave di decodifica vede un processo irreversibile, dove la fruizione dei contenuti è (e sarà sempre di più) per natura passiva, al più legata a feedback elettronici finalizzati a premiare o punire quelli ritenuti più o meno interessanti.

Misurazione della interazione

Secondo questa scuola di pensiero la propensione alla interazione non andrebbe più misurata attraverso le telefonate ed i messaggi ricevuti, ma con metodologie più allineate ai tempi, tipiche dello streaming on demand (gli strumenti atti a favorire la profilazione).

Il rischio dell’interpretazione del livello di interazione

Sennonché, in uno scenario dove la radio è ancora ampiamente ascoltata ma sempre meno “vissuta” in senso relazionale, il rischio è che l’assenza di interazione venga letta come irrilevanza, mentre potrebbe essere semplicemente un cambiamento di paradigma nella modalità di fruizione.

Le scuole a confronto

Le due scuole di pensiero – una che legge nel silenzio un segnale d’allarme, l’altra che lo interpreta come una fisiologica forma di consumo – impongono comunque una riflessione urgente. È tempo che il comparto radiofonico si interroghi non solo su quanto viene ascoltato, ma su come e perché.

Equilibrio cercasi

Serve un equilibrio tra innovazione metodologica e salvaguardia del DNA editoriale della radio, che non dovrebbe essere appiattita sulle logiche algoritmiche dei social media.

Il nuovo corso di Audiradio

Col nuovo corso Audiradio, la posta in gioco è alta: il futuro della radio non si misurerà soltanto in milioni di ascoltatori live, ma nella qualità dell’esperienza offerta.

Riflesso condizionato

Magari non tanto per interagire vocalmente col mezzo, quanto per promuovere, rimandare o bocciare un contenuto con un click. Come su Netflix.

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