Negare l’evidenza non paga. Ma consolida

Negare Spotify, sviluppo delle locali

Dopo gli ascolti, la raccolta pubblicitaria. Ed ora gli eventi. Le aggressioni di Spotify verso la Radio si fanno sempre più frequenti. Il problema è sempre lo stesso: aver negato per anni che Spotify fosse un concorrente della Radio, perché formalmente non è una Radio, è stato un errore imperdonabile.Soprrattutto ora, posto che, all’orizzonte, si sta delineando l’ennesimo atto di aggressione dell’OTT dello streaming audio on demand ad un altro mercato rilevante per la Radio.

Negare non paga

Dopo aver, all’evidenza, girato intorno al problema, la Radio ne ammette l’esistenza. Editori e manager del calibro di Suraci (RTL 102,5) e Sergio (RAI) hanno dichiarato, concordi, su queste pagine: Spotify è il nostro principale concorrente. Tardivamente, verrebbe da dire: negare in pubblico e sottovalutare nella sostanza il problema per troppo tempo, ha avuto come unico risultato quello di regalare al superplayer dello streaming audio on dmeand un vantaggio ormai difficilmente recuperabile.

Spotify non scippa ascolti

L’abbiamo detto innumerevoli volte su queste pagine: Radio e Spotify non sono la stessa cosa. Vero, in senso tecnico. Ma non si può non rilevare che, per la percezione dell’ascoltatore musicale, questa differenza è labile (un po’ come dire che Netflix non è televisione…). Un tantino diverso è la concorrenza alle radio non musicali; anche se la presenza massiccia di podcast su cultura, informazione, politica, spettacolo, ecc. non mette al sicuro nemmeno quei modelli radiofonici.

Spotify non opera sullo stesso mercato pubblicitario

Sbagliato. Come dimostrato in forma decisamente clatante dal recente ingresso nel mercato pubblicitario radiofonico con una vera e propria dichiarazione di guerra: la campagna Dimentica la Radio.

La Radio è live, la radio è eventi

Ed eccoci al nocciolo della questione. Questo è, infatti, il terzo fronte di aggressione di Spotify alla Radio. Pare infatti che Spotify stia per monetizzare la mole enorme di dati acquisiti con profilazioni e riscontri di fruizione (c.d. Big Data), vendendoli agli artisti ed organizzatori per stabilire le località ed i momenti più opportuni per pianificare eventi esterni. Se non addirittura di organizzarli in live streaming.

Arroganza radiofonica

Insomma, modelli di pensiero più stolti che errati, più superficiali che presuntuosi, hanno accentuato la dimensione di un problema commerciale e strategico ora difficilmente governabile.
Urgono contromisure. Possibilmente non negazioniste.

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