C’è un momento, nella storia dei sistemi economici e giuridici, in cui le regole nate per proteggere il mercato finiscono per proteggerne solo l’illusione.
Il modello antitrust europeo, così come è concepito e applicato oggi nel settore dei media e delle comunicazioni, sembra trovarsi esattamente in questa fase: rigoroso nel perimetro interno, inflessibile verso i player nazionali, ma sostanzialmente impotente di fronte all’ascesa di piattaforme globali che non competono più dentro i mercati, bensì al di sopra di essi (e delle regole).
Le piattaforme over the top (termine che indicano come esse bypassano i distributori classici e le loro infrastrutture – tecnicamente disintermediandole – portando i contenuti direttamente “in cima” alla connessione internet dell’utente, su qualsiasi dispositivo connesso) non sono semplicemente nuovi concorrenti. Sono infrastrutture private che governano l’accesso all’informazione, alla visibilità, alla pubblicità e, sempre più spesso, anche ai contenuti premium.
Sintesi
L’attuale modello antitrust europeo, pensato per mercati nazionali e tradizionali, non è più adeguato all’ecosistema digitale globale.
Le piattaforme over the top non sono semplici concorrenti degli editori, ma infrastrutture private che controllano accesso, visibilità, dati e pubblicità.
Da intermediari tecnologici, questi soggetti sono diventati regolatori di fatto dei flussi informativi ed economici.
L’Europa continua però a concentrarsi su fusioni e quote di mercato interne, ignorando il potere sistemico globale delle big tech.
Ne deriva una concorrenza solo formale, mentre nella realtà si consolidano dominî difficili da misurare con criteri tradizionali.
In questo contesto, il consolidamento tra operatori europei è una risposta difensiva necessaria, non una minaccia.
Senza massa critica non si investe, non si competono i diritti globali e non si costruiscono alternative credibili.
La fragilità economica degli editori mette a rischio la sostenibilità e quindi il pluralismo.
Non può esistere pluralismo senza editori e broadcaster solidi.
Il focus antitrust va spostato, subito, dal mercato nazionale al potere sistemico globale.
Da intermediari nella somministrazione dei contenuti a regolatori dei flussi informativi ed economici
Google, YouTube, Amazon Prime, Netflix, ne sono l’esempio più evidente: motori di ricerca e piattaforme video che, da semplici intermediari tecnologici, si sono trasformati in regolatori di fatto dei flussi informativi ed economici, capaci di determinare chi esiste e chi scompare nello spazio digitale.
De-ranking, aggregatori e supercollettori
I casi analizzati da negli ultimi mesi – dal de-ranking che ha fatto crollare il traffico degli editori fino al ruolo di YouTube come super-aggregatore globale di contenuti, passando per lo scontro sullo sport tra broadcaster tradizionali e colossi tecnologici – raccontano una stessa storia.
Definizione di mercato regolato svuotata di senso
Le big tech non operano solo sopra le reti, ma sopra le leggi nazionali, negoziando ex post regole che gli operatori europei devono invece rispettare ex ante. È una disintermediazione normativa prima ancora che economica, che svuota di senso l’idea stessa di “mercato regolato”.
Antitrust guardi alla Luna, non al dito
Eppure, di fronte a questa trasformazione radicale, l’Europa (nella specie, la sua funzione antitrust, intesa come l’insieme di norme e politiche dell’Unione Europea che mirano a garantire la libera concorrenza nei mercati, prevenendo monopoli, cartelli e abusi di posizione dominante, principalmente attraverso gli articoli 101 e 102 del Trattato sul Funzionamento dell’UE) continua a guardare il dito e non la luna.
Chi guarda cosa
Il dito è la possibile fusione tra broadcaster nazionali, l’acquisizione di un gruppo editoriale da parte di un altro, l’aumento di quota di mercato in un singolo Paese. La luna è un sistema globale in cui il valore pubblicitario, i dati e l’attenzione degli utenti vengono drenati da pochi soggetti planetari, che non rispondono alle stesse regole, non sostengono gli stessi costi e non condividono gli stessi obblighi.
Al di sopra delle reti e delle regole
Il paradosso è evidente: mentre ai player europei si chiede di restare piccoli per non “alterare la concorrenza”, i veri dominatori del mercato possono crescere senza vincoli, perché formalmente collocati fuori dal perimetro classico delle autorità Antitrust.
Concorrenza tutelata solo sulla carta (e ormai nemmeno su quella)
Così la concorrenza viene tutelata solo sulla carta, mentre nella realtà si consolida una posizione dominante di tipo sistemico, non misurabile con le tradizionali quote di mercato ma con la capacità di controllare interi ecosistemi.
Operazioni di consolidamento vitale
In questo contesto, le operazioni di consolidamento non sono una minaccia, ma una reazione difensiva. L’operazione che ha portato RTL Group a rilevare Sky Deutschland, creando un colosso europeo dell’intrattenimento e dello sport, non rappresenta un’eccezione pericolosa, bensì un modello inevitabile. È la dimostrazione che, senza massa critica, non si investe in tecnologia, non si competono i diritti globali, non si costruiscono piattaforme alternative credibili.
Valori degli asset
Lo stesso vale per il dibattito sul valore degli asset editoriali tradizionali, come GEDI, penalizzati rispetto a semplici aggregatori di flussi streaming di terzi. In un’economia dell’attenzione dominata dagli algoritmi, la dimensione non è più solo potere: è sopravvivenza. Senza dimensione non c’è capacità negoziale, senza capacità negoziale non c’è sostenibilità, e senza sostenibilità il pluralismo diventa una formula retorica.
Non esiste pluralismo senza editori solidi
Il rischio, infatti, non è la riduzione del pluralismo, ma la sua evaporazione. Perché non esiste pluralismo senza editori solidi, senza broadcaster capaci di investire, senza imprese mediatiche che possano reggere l’urto di competitor che giocano su scala globale e con regole diverse.
Persistere nell’imporre il nanismo editoriale continentale significa consegnare informazione e intrattenimento a pochi hub mondiali
Persistere, da parte delle autorità Antitrust, nell’imporre che il sistema mediatico europeo rimanga frammentato in nome di una concorrenza ormai fittizia significa consegnare l’informazione e l’intrattenimento a pochi hub tecnologici mondiali, che decidono cosa conta e cosa no.
Cambiare prospettiva
Forse è arrivato il momento che il legislatore e il regolatore europeo cambino prospettiva. Non si tratta di smantellare l’autorità Antitrust, ma di aggiornarne la dottrina: spostare l’attenzione dalla quota di mercato nazionale al potere sistemico globale, dal controllo statico delle fusioni alla valutazione dinamica degli ecosistemi.
La concorrenza non è più tra editori, ma tra sistemi continentali e piattaforme globali
In un mondo in cui la concorrenza non è più tra emittenti, editori o radio di uno stesso Paese, ma tra sistemi continentali e piattaforme planetarie, difendere le regole del passato rischia di significare perdere definitivamente il futuro.
Allentare le maglie antitrust non è resa, ma atto di resistenza
Allentare le maglie antitrust per consentire ai player europei di crescere non è una resa. È, al contrario, l’unico atto realistico di resistenza possibile.













































