DRM standard globale in luogo degli altri? Provocazione coglie nel segno. Ma formato condiviso c’è già e non è quello. E’ altro che manca

DRM

DRM tra presente e futuro: trent’anni di sperimentazioni senza un vero mercato. Nonostante copra oltre il 35% della popolazione mondiale, la tecnologia resta confinata ai margini.
Il DAB a livello mondiale, con una penetrazione inferiore al 10%, invece, appare una soluzione più concreta.
Ma si tratta di una guerra di retroguardia: lo standard mondiale per l’ascolto radiofonico in ogni ambiente c’è già e non si discute (più). E’ altro quello che manca e che è urgente definire, nell’interesse di tutti gli editori (e degli utenti).

Con oltre il 35% della popolazione mondiale in area DRM, abbiamo ipotizzato provocatoriamente nell’articolo di ieri un (ovviamente improbabile) futuro da standard globale per una tecnologia nata nel 1996.
Ma è un dibattito inutile, quello sulla distribuzione: al pubblico di oggi, che rigetta la complessità tecnologica, interessa il contenuto, non il vettore.
Oltretutto, il DRM non è riuscito a imporsi stabilmente in alcun mercato, come ricorda l’esperto Andrea Lawendel, sottolineando il problema cronico dei ricevitori stand-alone.
Dopo i tentativi falliti di Russia e India, molti trasmettitori DRM risultano spenti ed i claim del consorzio restano immutati da trent’anni.
Il DAB, pur con (tanti) limiti, ha saputo far meglio, ma è l’IP che continua più di ogni altro carrier la sua espansione, trainata da automotive e dispositivi connessi.
Certo, la Cina resta un’incognita, con un’ampia infrastruttura AM, ma anche di una base FM e digitale fortissima. Tuttavia il futuro è già scritto a livello globale.
Quindi, in mancanza di un’adozione di massa lato terminali, il rischio è che il DRM resti un progetto incompiuto.
Un “ferro vecchio” più che una reale alternativa allo streaming, che però importa altri e forse più gravi problemi.

DRM standard globale?

L’incipit del nostro articolo di ieri sul fatto che “con oltre il 35% della popolazione globale che vive ormai in area DRM si potrebbe pensare a un’affermazione globale di questa tecnologia e magari all’abbandono del DAB (che serve invece solo il 9,2% della popolazione del mondo)” era naturalmente ed evidentemente una provocazione e, come tale, ha suscitato le inevitabili prese di posizioni opposte sui vari gruppi e pagine social.

Il medium non è più il messaggio

Chiariamo, quindi e subito, il nostro punto di vista: il medium non (più e da tempo) il messaggio (con tanti saluti al povero McLuhan che ha fatto il suo tempo): come per la televisione, all’utente non interessa quale sia vettore, ma il contenuto.

Vinca il migliore

Che il programma radiofonico desiderato arrivi all’utente via FM, AM, DAB, DRM, HD Radio, sat, IP non ha più alcuna rilevanza (ammesso che per l’ascoltatore lo sia stato). E se esiste un sistema che in presenza di una pluralità di carrier scelga il migliore (per convenienza e praticità), tanto meglio per un ascoltatore che rigetta la complessità tecnologica.

Il contributo di Lawendel

Sul tema esposto nell’articolo, il contributo a nostro avviso più interessante è pervenuto dall’amico giornalista esperto di radioascolto Andrea Lawendel, che riportiamo integralmente.

Le prospettive nel 2025 di una tecnologia originata nel 1996?

“Quali possono essere a fine 2025 le ragionevoli prospettive di una tecnologia di radiofrequenza digitale originata nel 1996 (data di nascita del consorzio) che non riesce a imporsi in alcun mercato/applicazione in 30 anni di “sperimentazioni”?

Poche ore di sperimentazioni per una nicchia di ascoltatori

Tra i pochi broadcaster internazionali che lo hanno “adottato”, il DRM non è mai andato al di là di qualche ora di trasmissione quotidiana seguita da un esile sotto segmento della già sparuta nicchia degli ascoltatori delle onde corte.

Il precedente russo

Prima dell’India fu la Russia ad annunciare le intenzioni di usare il DRM a livello domestico. Poco dopo la Russia ha deciso di smantellare le proprie infrastrutture AM in MW e SW (qualche trasmettitore è tornato attivo con l’invasione dell’Ucraina, ma in parte sono fuori confine).

L’India

L’India qualche anno fa ha, in effetti, compiuto passi significativi verso una infrastruttura interna, attivando qualche decina di impianti in modalità simulcast sulla rete MW di Akashvani (All India Radio).

Molti trasmettitori DRM già spenti

Oggi sarei stupito se tutti gli impianti (41) censiti dall’ufficio stampa del DRM Consortium fossero attivi, le osservazioni con i ricevitori remoti locali sono molto difficili ma io ho letto di molti trasmettitori spenti.

30 anni di flop

Il vero problema alla base di 30 anni di flop (conditi da 30 di comunicati stampa che dal 1996 utilizzano gli stessi claim), è la scarsità di ricevitori stand-alone legata a sua volta alle difficoltà di scalare verso l’alto il silicio necessario.

Il DAB ha fatto meglio

In questo il DAB ha sempre fatto molto meglio. Nel frattempo, il concetto stesso di radio stand-alone sta venendo rapidamente meno nell’ascolto residenziale e sempre più in quello del car radio. Il DRM è una creatura sostenuta inizialmente da qualche broadcaster internazionale ingenuo e volenteroso.

L’asta di una bandiera che non ha mai sventolato

Oggi rimane a reggere l’asta di una bandiera che non ha mai sventolato solo un gruppetto di costruttori di impianti AM e di chip maker (Analog Devices India era ai tempi quelli più impegnato, ora non saprei dire).

Il caso cinese

Adesso è la volta della Cina, che oggettivamente ha una infrastruttura AM soprattutto MW di tutto rispetto. Ma ha anche una fortissima base FM analogica. Mentre l’IP cresce inesorabile, e senza alcun problema di terminali end user, lo scenario di una infrastruttura non IP di tipo digitale per la quale ancora il device end user rappresenta ancora, a 30 anni di distanza (!) il problema più significativo, appare al momento alquanto improbabile.

Ferro vecchio

Forse se la Cina decide di spingere sulla leva del silicio è in grado di incidere. Ma ci vuole comunque tempo e il tempo che scorre oggi porta sul fronte dello streaming IP, fisso o mobile che sia, tutti i giovani consumatori e una percentuale crescente di vecchi. Io dubito fortemente che per l’anziano DRM Pechino possa bastare”, conclude Lawendel.

Il dito e la luna

In definitiva, il nodo non è più quello di scegliere quale standard di diffusione digitale (DRM, DAB, HD Radio, ecc.) possa imporsi come successore universale della diffusione radiofonica analogica, al cospetto dello sviluppo massivo dell‘IP. Che il futuro sia già scritto nella direzione dello streaming, nessun osservatore empirico potrebbe dubitarne.

Le criticità dello streaming in assenza di semplificazione di utilizzo e di prominence

Tuttavia, proprio lo streaming porta con sé una criticità che non può essere trascurata: l’assenza di una visibilità immediata delle emittenti sui dispositivi in mancanza di una prominence regolata per i servizi di interesse generale (SIG) rischia di polverizzare il sistema editoriale radiofonico.

La polverizzazione determinata da 130.000 emittenti accessibili in ogni luogo

In un contesto dove l’offerta è sterminata – circa 130.000 stazioni ricevibili ovunque e tutte nello stesso modo attraverso aggregatori come TuneIn – la radio rischia di disperdersi in un mare indistinto, privando l’ascoltatore di riferimenti chiari e penalizzando l’editoria nazionale.

Esercizio retorico

Per questo parlare di DRM o di DAB come standard globali appare più un esercizio retorico che una prospettiva concreta. Il vero terreno di confronto non è il mezzo trasmissivo, ma la definizione di nuovi modelli industriali e regolatori che garantiscano sostenibilità e accessibilità, assicurando che quelle centinaia di servizi di interesse generale per ogni mercato nazionale abbiano la giusta evidenza.

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