OTT. In Francia e Regno Unito Netflix e Amazon si alleano con broadcaster: evoluzione o fine della TV lineare? La tesi di Mark Endemaño

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In Francia Netflix e Amazon Prime Video si alleano con i due principali storici broadcaster: TF1 e France Television.
Nel frattempo, nel Regno Unito Disney+ e ITV siglano un accordo che si vorrebbe alla pari.
Non si tratta di mosse tattiche ma del segno evidente di un’evoluzione del modello televisivo che rischia di marginalizzare i classici operatori del settore e contemporaneamente vanificare i tentativi di imporre una prominence statale ai gusti degli utenti.
Ne ha parlato ripetutamente (anche) The Amp Podcast di Ampere, tramite un’interessante intervista a Mark Endemaño (ex Disney, ora partner di AlixPartners), che sostiene tesi sostanzialmente opposte a quelle precedentemente espresse della stessa Ampere e che NL ha raccontato nell’articolo di giugno 2025.

Sintesi

In Francia Netflix e Amazon Prime Video hanno siglato accordi strategici con i principali broadcaster storici TF1 e France Television, mentre nel Regno Unito Disney+ collabora con ITV.
Questi accordi rappresentano un’evoluzione epocale del modello televisivo che, secondo l’analisi di Mark Endemaño (ex Disney) segna una svolta rispetto alla tradizionale logica delle “finestre di distribuzione”.
A differenza del passato, quando ogni nuovo vettore (dalle videocassette ai DVD, fino alle TV satellitari) creava opportunità aggiuntive di monetizzazione, l’era dello streaming rischia di concentrare tutto il mercato nelle mani di poche piattaforme dominanti, marginalizzando definitivamente i broadcaster tradizionali.
I dati demografici confermano questa preoccupante tendenza per gli operatori storici: mentre Disney+ ha solo il 10% di utenti over 55, ITV ne conta il 40%, evidenziando come l’audience della TV tradizionale stia rapidamente invecchiando. YouTube emerge come la piattaforma più trasversale, raggiungendo il 90% dei giovani tra 18-24 anni e il 75% degli over 55, con il 33% degli utenti che ormai segue contenuti long-form professionali e il 25% che vi accede tramite SmartTV.
Gli accordi attuali, pur vantaggiosi nel breve termine, potrebbero accelerare la disintermediazione dei broadcaster: una volta integrati nelle piattaforme globali, i contenuti tradizionali diventano accessibili attraverso sistemi più comodi e completi, mentre gli inserzionisti propenderanno per la precisione della pubblicità algoritmica di Google Ads e Netflix rispetto agli spazi generici dei listini tradizionali.

Mark Endemaño

Per 14 anni Mark Endemaño ha lavorato in The Walt Disney prima come CFO dell’area EMEA successivamente, come general manager della Media Distribution Unit. In questo ruolo è stato responsabile della distribuzione globale di film, serie TV, giochi, musica ed app al di fuori del Nord America, occupandosi anche della pianificazione e del lancio internazionale di Disney+. Attualmente è Partner & Managing Director presso AlixPartners

Le tesi di giugno

Già a giugno, come da noi raccontato, si erano mosse le acque con accordi che vedevano Channel4 e ITV da una parte e YouTube dall’altra. Ai tempi la tesi era che si stesse delineando “una leva per la co-creazione di valore, ponendo le basi per un ecosistema audiovisivo più fluido, collaborativo e centrato sull’utente“.
In altre parole, uno sviluppo positivo per le storiche reti TV, quelle nate ai tempi delle 625 linee analogiche.

L’evoluzione delle finestre di distribuzione

Ma le tesi di Endemaño sono opposte. Per facilitarne la comprensione il ricercatore parte da lontano, raccontando una storia che i lettori di NL ben conoscono, quella delle “finestre di distribuzione”. Si parte dall’epoca in cui i film uscivano negli Stati Uniti per debuttare nelle sale cinematografiche europee dopo alcuni mesi e infine approdare alla TV con ulteriori mesi se non anni di ritardo. Due opportunità di monetizzazione, la sala tradizionale e la TV lineare.

VHS e DVD

Si passa poi all’era delle videocassette pre-registrate (i famosi Beta e VHS) a cui fa seguito, senza soluzione di continuità, quella dei DVD. La finestra temporale di questi nuovi media si inserisce a metà tra sale cinematografiche e TV lineare, generando una terza opportunità di guadagno.

Sky & co

Nel 1989 debuttano in Europa le trasmissioni Direct to Home satellitari, dapprima sul mercato inglese tramite Sky Europe e successivamente nel resto del vecchio continente tramite piattaforme come la francese Canal+ e le italiane D+ e Stream.

Quasi on demand

Tramite i propri canali lineari via sat e i “quasi” on demand (come i Primafila che propongono tutti lo stesso film ma a 15 minuti di distanza l’uno dall’altro) queste piattaforme aggiungono una quarta opportunità di monetizzare. Un ottimo momento per i produttori di contenuti, compresi i classici broadcaster spesso impegnati in produzioni prestigiose.

Arrivano le piattaforme

Il resto della storia lo conosciamo bene: nel 2007 Netflix inizia la trasformazione da distributore di dvd a piattaforma di streaming, mettendo in moto un cambiamento epocale che – questa la tesi – potrebbe porre fine alla TV lineare come oggi la conosciamo.

Monetizzazione

Quest’ultimo cambiamento differisce dai precedenti per una caratteristica essenziale: il suo affermarsi non implica la creazione di una nuova, aggiuntiva possibilità di monetizzazione.

Dominatori del mercato

Le piattaforme vincenti (probabilmente YouTube e Netflix, lo vediamo più avanti) corrono il rischio di accaparrarsi tutto il mercato. Ai danni dei grandi studi e dei distributori classici, appunto le reti televisive e le società di produzione collegate.

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Accordi

Per cercare di restare al passo con i tempi gli operatori classici si  lanciano dunque in una serie di partnership.
Quello inglese, di cui abbiamo parlato, tra Channel4 e ITV. E due nuovi in Francia. Il primo, già parzialmente attivato, riguarda Amazon Prime e la TV di stato francese, France Television. Come visibile nell’immagine, si presenta all’utente con una classica interfaccia basata sulla griglia delle trasmissioni.

Lineare tra l‘on demand

Il tutto inserito nel bel mezzo del menu dei consueti contenuti on-demand, generando una certa confusione nell’utente. Sono resi disponibili i canali presenti sul digitale terrestre (e su tutti i set-top-box), con la dubbia scelta di ritrasmetterli a 24p ed effetto cinematografico. Un effetto surreale, ad esempio, durante i telegiornali.

Nessuna integrazione

Niente di più: come fa notare il ricercatore, non risulta attiva alcuna integrazione a livello pubblicitario, per cui i canali lineari partono senza il preroll Amazon e contengono tutta la pubblicità della rete ripetuta.

Netflix TF1, nuovo stack software

Molto più interessante, inoltre, la medesima iniziativa portata avanti da TF1, la prima rete privata francese, con Netflix.
Interessante non per quanto si vede (nulla per ora) ma per quanto si sa. Secondo le fonti di Endemaño, un intero nuovo stack software di Netflix è in fase di scrittura, con l’obiettivo di integrare le piattaforme di delivery di spot dei due operatori. L’operazione, anche se non se ne conoscono i particolari, pare molto articolata e innovativa.

Non solo Francia

Un investimento massiccio, che – afferma sempre il ricercatore – necessariamente dovrà essere ammortizzato su altri mercati: Germania, Spagna e Italia in primo luogo.

La tesi

Veniamo dunque alla tesi finale, piuttosto preoccupante per gli attori storici, in quanto la visione è che il futuro vedrà una polarizzazione della fruizione sulle piattaforme statunitensi a scapito di tutti gli attori storici. Gli accordi di oggi, provvisoriamente vantaggiosi per tutte le parti, rischiano infatti di velocizzare la marginalizzazione dei broadcaster. Qualche numero – fornito da Ampere sulla base di proprie ricerche quantitative – aiuta a convincersene.

Demographics

Un primo numero fornito riguarda due gruppi di utilizzatori/spettatori: quello di chi ha meno di 55 anni e quello di chi li supera. Ebbene, riprendendo l’esempio del Regno Unito, la piattaforma Disney+ ha solo un 10% di utenti con più di 55 anni, che fanno invece la parte del leone sulle reti come ITV (dove infatti questa categoria pesa per il 40%).
Detto in altre parole: l’utenza della TV tradizionale è in età adulta avanzata quindi invecchia in poco tempo e nei prossimi anni andrà a scomparire.

YouTube doppia Netflix

Certamente Disney+ è un caso estremo, essendo un content provider storicamente orientato ai giovani. Il ricercatore presenta allora i numeri relativi a YouTube che raggiunge il 90% di chi ha tra i 18 e i 24 anni, ma anche il 75% di chi ha oltre i 55. La differenza è di soli 15 punti percentuali, permettendo di affermare che si tratta di una piattaforma orizzontale destinata a tutte le età. Un numero – detto per inciso – doppio rispetto a quello di Netflix.

Non solo influencers

E qui l’altra importante scoperta: il 33% di questi utenti segue ormai su YouTube contenuti long form prodotti professionalmente. Film, documentari, serie televisive di ottima fattura e non i video tradizionalmente caricati da singoli o da strutture semi professionali. Una percentuale oltretutto in costante aumento.

Smart TV

Ultima cifra: il 25% circa accede a YouTube tramite SmartTV, dunque sul grande schermo precedentemente destinato ai classici canali on air e alla visione di dvd e programmi SAT. Una cifra in costante, velocissima ascesa.

Tirando le somme (di Endemaño)

Tutti questi dati e tutte queste considerazioni portano Endemaño a una conclusione: l’integrazione dei contenuti delle TV lineari nelle piattaforme OTT, siano esse Amazon Prime, Netflix o YouTube è una mossa che può forse portare vantaggi a breve termine ma che nel lungo termine quasi certamente comprometterà la possibilità stessa dei broadcaster storici di rimanere sul mercato.

Comodità di accesso

Le ragioni sono semplici da comprendere: da un lato a fronte di contenuti simili l’utenza non può che preferire il sistema di accesso (chiamiamolo app, oppure piattaforma, non importa) che offre la più grande scelta.

User friendly

Per essere chiari: se TF1 è disponibile con la scomoda sequenza di pulsanti del telecomando alla posizione 101 ma anche all’interno di Netflix non si comprende perché mai qualcuno dovrebbe preferire il vecchio sistema. Dall’altro l’utenza giovane neppure pensa a cercare i propri contenuti sulla TV tradizionale, quella via antenna (esattamente come accade peraltro per la radio).

Pubblicità

Infine non si capisce per quale motivo gli inserzionisti pubblicitari dovrebbero continuare ad acquistare spazi pubblicitari generici e non differenziati quali quelli proposti dai listini dei broadcaster.
Troppo efficace, troppo preciso e con un rapporto costi/benefici troppo vantaggioso il modello a granularità estrema offerto da Google Ads (e dalla futura piattaforma di Netflix).

Rischio concreto di disintermediazione

Disponendo del canale distributivo e anche quello di monetizzazione non sarà lontano il giorno in cui le grandi piattaforme decideranno di disintermediare i loro alleati di oggi. (M.H.B. per NL)

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