Radio. Troppa attenzione a vanity metrics e poca a piattaforme proprietarie. Che invece sono e saranno sempre più principali asset d’impresa

vanity metrics

Non è che gli editori radiotelevisivi – e radiofonici in particolare – hanno perso di vista gli strumenti di verifica del gradimento dei propri contenuti, concedendo troppo spazio alle cosiddette vanity metrics, cioè le specifiche metriche sui social media (follower, like, commenti e condivisioni)?

Sintesi

Le emittenti radiofoniche perdono troppo tempo con le vanity metrics sui social anziché concentrarsi sullo sviluppo del proprio sito internet, che ormai, nella maggioranza dei casi, è ridotto a player audio o a satellite di Facebook, Instagram, TikTok, ecc.?
Parrebbe proprio così, tanto è vero – come è vero – che quando un inserzionista chiede ad un’emittente radiofonica dimostrazione della portata della propria audience, le metriche social precedono quelle degli accessi al sito (d’altra parte spesso modesti) o addirittura dei dati d’ascolto TER (l’indagine ufficiale sull’ascolto radiofonico italiano).

Tutto il programma

Peccato che tali metriche siano definite con un termine che è tutto un programma: vanity metrics. Cioè dati spesso fini a se stessi, utili per gongolare ed esaltare l’ego, ma poco spendibili sul piano commerciale.

Accessione

Nella foto d’apertura vediamo la situazione del sito web di questo periodico (fonte trasparente: www.similarweb.com), da sempre attento a non dipendere dai social, nella consapevolezza di non dover costruire su terreno altrui, formando quella che in diritto è definita accessione.

Regalare il proprio lavoro agli OTT

L’accessione, nel mondo giuridico, è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario, che si verifica quando il proprietario di una cosa “principale” acquista la proprietà delle cose che si uniscono e si incorporano a questa. Traslando il concetto: se riempio la mia pagina Facebook di contenuti, questi diventano di proprietà del social media.

Fonti del traffico

Comprendere le diverse fonti di traffico web è infatti essenziale oltre al traffico organico e diretto. Google Analytics e altre piattaforme utilizzano algoritmi basati su URL per classificare il traffico. Le principali fonti includono i seguenti indicatori.

Traffico organico

Il traffico organico proviene dai motori di ricerca come Google e Bing, escludendo annunci a pagamento. Le campagne pubblicitarie possono influenzare indirettamente il traffico organico, ma è soprattutto la SEO (search engine optimization) a guidarlo, migliorando il posizionamento attraverso parole chiave ed altri indicatori.

Traffico diretto

Il traffico diretto riguarda, invece, le visite senza referer noto, spesso associate all’inserimento manuale di URL o click su segnalibri. La complessità crescente di questa categoria richiede attenzione, con esempi di traffico diretto che si sovrappongono al traffico organico, tanto che, secondo alcuni analisti, fino al 60% del traffico considerato diretto sarebbe in realtà organico. In ogni caso, traffico diretto ed organico sono considerati indicatori di un sito di appeal e tendenzialmente indipendente da terze parti, almeno quanto a traffico.

Traffico e-mail

Il traffico e-mail, come intuibile, deriva da campagne di e-mail marketing, quindi forzato e presumibilmente estemporaneo.

Traffico di ricerca a pagamento

La fonte del traffico di ricerca a pagamento sono annunci su Google Ads o altre piattaforme, inevitabilmente legate alla durata dell’azione promozionale e quindi guardate con diffidenza dagli analisti.

Traffico dai referral

Con traffico referral si intende quello proveniente da siti diversi dai motori di ricerca (es. link in altri siti). Si tratta di un indicatore d’interesse, ma sono qualora il link sia genuino, cioè legato al contenuto che ne ha favorito la condivisione di terze parti.

Traffico social

Il traffico social è naturalmente quello proveniente da piattaforme come Facebook, LinkedIn, Twitter o Instagram.

Vanity metrics: il concetto

Ciò premesso, osserviamo come il concetto di vanity metrics si riferisca invece a specifiche metriche sui social media, come follower, like, commenti e condivisioni, comunemente utilizzate per valutare la popolarità e il successo di una presenza online.

Traffico altrui

Quindi non una visione del comportamento dei nostri utenti su piattaforme di proprietà, ma quello degli iscritti ai social che intercettano i nostri contenuti. Un’utenza prestataci, costituita da soggetti che passano davanti alla nostra vetrina decidendo se entrare nel negozio fornitoci in comodato gratuito dai social media con riserva di modifica delle condizioni di sfruttamento in qualsiasi momento.

Vanity metrics: la sostanza

Sotto questo aspetto ben si può iniziare a comprendere come il termine vanity metrics suggerisca metriche più legate all’ego ed alla percezione personale che a un reale impatto commerciale.

Unici indicatori di successo sui social?

Per questo molti esperti concordano sul fatto che le vanity metrics, in realtà, non siano un indicatore sempre affidabile di successo nei social media.

Interpretazione

Possono avere valore se interpretate e utilizzate correttamente nella valutazione delle performance online, ma il loro impiego dipende anche dal peso che viene attribuito nell’analisi complessiva“, spiega Gloria Siri, consulente di Consultmedia, struttura di competenze a più livelli principalmente attiva in ambito radiotelevisivo.

ROI

“Senza follower ed un minimo di engagement, l’algoritmo di molti social media potrebbe ostacolare la visibilità organica dei contenuti. Pertanto, le metriche su follower ed engagement rappresentano la base fondamentale per analizzare e migliorare la presenza sui social media, contribuendo al Return on Investment (ROI)”, spiega la consulente.

Metriche fini a se stesse

Tuttavia, sorgono domande cruciali quando si analizzano isolatamente queste metriche. Ad esempio, avere migliaia di follower senza alcun like potrebbe sollevare interrogativi sulla qualità dell’audience. Analogamente, ottenere centinaia di like su un post potrebbe non tradursi in conversioni significative. Questo problema è evidenziato dalle strategie di brand che generano numeri impressionanti e apprezzamenti sui social media, ma senza un impatto tangibile sulle vendite.

Guardare oltre

La questione va oltre la misurazione del ROI dei social media, coinvolgendo la determinazione degli obiettivi dell’intera azienda. Quando un utente segue o condivide un brand, gli sta concedendo la possibilità di apparire nel suo feed, creando un collegamento digitale. Le vanity metrics indicano che il brand sta interagendo con utenti singoli su una piazza pubblica digitale, offrendo un’opportunità unica offerta solo dai social media”, sottolinea Siri.

Fissare l’obiettivo…

“Se l’obiettivo principale delle azioni sui social media è aumentare la Brand Awareness, specialmente in fasi iniziali di un’attività, le vanity metrics possono essere estremamente utili per valutare la direzione. Analizzando queste metriche, è possibile confrontare le performance dei contenuti, identificando ciò che suscita maggiore interesse e ciò che fatica a coinvolgere l’audience”, rimarca la consulente.

… e non perderlo di vista

“Tuttavia, il rischio di trasformare le metriche social in vanity metrics sorge quando si perde di vista l’obiettivo finale, cedendo alla tentazione di numeri elevati che, seppur gratificanti, potrebbero non contribuire al ROI complessivo. La domanda cruciale è se like, follower, commenti e condivisioni stanno generando un valore reale e contribuendo al successo generale delle azioni sui social media.

Quando le metriche diventano vanity metrics

Chi lavora con i social media, spesso, si trova nella posizione di dover dimostrare i risultati a chi assegna il budget. Al di là di like e follower, è essenziale capire quali informazioni vuole il capo. La principale ragione per cui le metriche social diventano “vanity metrics” è spesso legata al fatto che coloro che analizzano le performance le considerano in modo isolato o, peggio ancora, le prendono in considerazione come unico indicatore, trascurando l’analisi complessa.

Connessione cruciale

Connettere le vanity metrics agli obiettivi aziendali è cruciale. I social possono contribuire alla conversione di lead, accrescere la Brand Awareness e migliorare l’esperienza del cliente attraverso un efficace servizio di Customer Service. La diversità degli obiettivi aziendali suggerisce l’utilità e la sensatezza delle vanity metrics se utilizzate nel contesto appropriato.

Metriche aggiuntive

Inoltre, il testo fornisce una panoramica di metriche aggiuntive, partendo dalle vanity metrics, come il click-through rate (CTR), il bounce rate, la share of voice, il conversation rate, l’amplification rate e l’applause rate. Monitorare il traffico specifico generato dai social media verso il sito web consente di valutare il loro valore rispetto ad altri canali come search e display.

Pesare il brand sulla concorrenza

Non bisogna limitarsi a monitorare il numero di menzioni, ma calcolare anche la share of voice per valutare il peso del brand rispetto ai competitor. Allo stesso modo, il conversation rate, amplification rate e applause rate offrono approcci più approfonditi alla valutazione delle performance sui social media. Considerando anche il tempo della prima risposta nei servizi di assistenza clienti sui social media, si ottiene una visione completa delle performance reali, indicando chiaramente dove è possibile migliorare o reinvestire.

Vanity metrics: non inutili per definizione

In conclusione, le metriche della vanità non sono inutili per definizione, ma possono essere utilizzate in modo significativo come parte integrante di un’analisi più approfondita. Che contribuisce a misurare e dimostrare il valore delle azioni sui social media, in ultima analisi, fornendo informazioni sul ritorno degli investimenti (ROI) derivante dalle attività online”, ci spiega Gloria Siri.

Il bivio

Una direzione quasi opposta alla nuova sfida cui sono chiamati gli editori radiotelevisivi: trasformarsi, nel più breve tempo possibile, in OTT, cioè fornitori di contenuti non intermediati dalle reti di distribuzione (DTT, sat, DAB, FM) agendo al di sopra delle stesse.

La crisi del lineare

Ed è dalla crisi dell’ascolto lineare che può – deve – iniziare la nuova era degli editori radiotelevisivi, integrando la propria offerta attraverso piattaforme proprietarie (app e sito) organizzate come piattaforme OTT ospitanti i canali lineari e i contenuti on demand (catch-up, podcast, contenuti accessori).

Facilitatore di piccoli OTT 

“Stiamo terminando il trial di una piattaforma di facilitazione del caricamento e della distribuzione istantanea di contenuti audio/video on demand su piattaforme proprietarie (siti ed app) e terze parti (piattaforme di aggregazione, smart tv, smart speaker, hbbtv, ecc.)”, spiega a NL Francesco Triolo di Meway, società che a breve presenterà una soluzione OTT per emittenti radiotelevisive disponibile con la formula del canone mensile.

Il mercato reagisce alle richieste

Confermando il recepimento di tendenze ormai evidenti.

I milioni si fanno…

L’era dei milioni di ascoltatori sul singolo prodotto si avvicina al termine per molti. La continua moltiplicazione dell’offerta determina frammentazione ed il modello editoriale (ed organizzativo) deve adattarsi di conseguenza.

… anche con la somma di numeri più piccoli

Specificatamente recuperando, attraverso l’on demand, la massa di ascolto persa sul lineare.

L’esempio della BBC

BBC, a cui abbiamo dedicato un ampio report di analisi sull’offerta OTT audio, l’ha capito prima di tutti e nel frattempo ha maturato un notevole vantaggio competitivo. Privilegio che sta mettendo a reddito soprattutto con contenuti on demand di alta qualità, sviluppando anche economie di scala, considerato che molti prodotti testati positivamente come podcast sono già evoluti in fiction tv.

Disintermediate gente, disintermediate…

Disintermediare non è, come pensano molti broadcaster, necessariamente un male. L’avevano capito gli artisti musicali che, con la crisi delle vendite fisiche, hanno maturato la convinzione che non dipendere da pochi ineludibili canali di distribuzione comportava dei vantaggi in termini di emersione, agendo attraverso piattaforme OTT.

Abbandonare la propensione alla vanità

E la disintermediazione parte dall’evitare di dipendere eccessivamente dai social media, regalando contenuti senza alcuna strategia di ritorno sulle proprie piattaforme col solo fine di stimolare la propria vanità. (M.R. per NL)

 

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