Tv. Cord cutting e pw sharing mettono in crisi Netflix e Disney. Allo studio offerte low cost con pubblicità. Che impatteranno su tv lineare

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Vittima della password condivisa “per amore” promossa nel 2017, Netflix finisce presa in giro da Prime Video (leggere in sequenza le parole nell’immagine d’apertura sulla destra postata sui social da Amazon), una delle poche piattaforme che (per ora) non sembra subire il cord cutting per diverse scelte strategiche adottate a monte.

La strategia (ritenuta) vincente

Sembrava la strategia vincente: favorire l’affermazione delle piattaforme di subscription video on demand (SVOD, dove la S sta però anche per streaming) attraverso abbonamenti annullabili senza preavvisi e penali, tollerando (anzi, promuovendo) la condivisione di account, nella convinzione che, una volta fidelizzati, gli utenti avrebbero accettato gli aumenti indispensabili per sostenere il gigantismo di operazioni di dimensioni mondiali.

Pandemia da cord cutting

Ma le cose non sono andate come prevedevano gli OTT dello SVOD, che oggi sono alle prese con una pandemia di cord cutting (il taglio degli abbonamenti appunto ai servizi subscription video on demand). Virus che ora pensano di combattere con sottoscrizioni gratuite a fronte dell’accettazione dell’utenza del sostegno della pubblicità.

Due conseguenze

Soluzione che però comporta almeno altre due (importanti) conseguenze. Dagli effetti concretamente imprevedibili.
Ma, come sempre, facciamo un passo alla volta riepilogando i fatti.

Il cord cutting si diffonde anche in Italia

Non si salva nessuno dei colossi dello streaming on demand che avevano puntato sul password sharing: dopo l’esplosione degli utenti degli anni scorsi, il taglio degli abbonamenti (cord cutting) si sta diffondendo pericolosamente (per loro) in tutto in mondo. E, chiaramente, non fa eccezione l’Italia.

Tentativi

Così, dopo un iniziale sbandamento in cui si era pensato di aumentare l’offerta ed il costo d’accesso (soluzione che ha solo peggiorato la situazione), anche player del subscription video on demand irriducibili come Netflix e Disney elaborano piani per l’introduzione di abbonamenti a costi bassissimi o addirittura gratis, a condizione che l’utente accetti la somministrazione di pubblicità.

Compromesso…

Strategia che sembrerebbe il compromesso ideale.
Sennonché, quando un telespettatore è, da anni, abituato a vedere ore di programmazione senza pubblicità, trova fastidiosa anche l’interruzione con un solo spot dopo 30 minuti, se non addirittura il preroll che supera i 10 secondi. Figurarsi interi e frequenti caroselli sul modello della tv lineare…

… con conseguenze

Effetto collaterale della contromisura abbonamenti low cost vs advertising è la diminuzione della durata media della fruizione ed un aumento della competizione su un mercato storicamente presidiato dai broadcaster: quello della pubblicità tv.

Non basta la library sterminata…

Prendiamo il caso di Disney, che solo pochi anni fa aveva lanciato in pompa magna la propria piattaforma nella convinzione che una libreria imponente come la sua potesse attirare utenti in massa.

… come le perdite

Non è andata così: il cord cutting nel terzo trimestre dell’anno 2023 ha portato gli abbonati a Disney+ a -7,4% (sono 146,1 milioni), con perdite per 512 milioni di dollari.

-11 miliardi di dollari in 4 anni

Totalizzando un rosso nello streaming dal 2019 per la spaventosa cifra di undici miliardi di dollari.

Aumento abbonamento

La risposta di Disney negli USA è stata l’aumento dell’abbonamento senza pubblicità per l’offerta Disney+ da 8 a 14 dollari al mese da ottobre 2023 (in Italia Disney+ ha un costo di 8,99 euro al mese o 89,90 euro all’anno), mentre Hulu passerà da 15 a 18 dollari al mese (esiste anche il pacchetto Disney+/Hulu a 20 dollari/mese, che però, prevedibilmente, non riscontra particolare successo).

Netflix performa meglio…

Più o meno lo stesso modello e gli stessi prezzi di Netflix, che quanto a conti ha chiuso il secondo trimestre 2023 meglio di Disney, con un aumento del fatturato del 3% circa, per un totale di 8,2 miliardi di dollari.

… ma il mercato finanziario non ci crede

Un volume inferiore agli 8,3 miliardi stimati dagli analisti, con un numero di abbonati in crescita del 6% (totale 208 mln), come gli utili  (+6%). Una performance buona, su cui però il mercato non scommette, tanto che dopo l’annuncio dei risultati a fine luglio i titoli Netflix sono calati a Wall Street nelle contrattazioni after hours, arrivando a perdere l’8%.

La condivisione degli account

Secondo alcuni analisti, le prospettive di Netflix non sono buone in quanto, come Disney, il gigante dello SVOD soffre il problema della condivisione di account.

L’amore è condividere una password

Cioè il modello inizialmente impiegato per favorire la fidelizzazione delle piattaforme, tanto che nel 2017, l’azienda aveva twittato: “L’amore è condividere una password”, promuovendo apertamente questa pratica tra gli abbonati.

Errata convinzione

L’idea era appunto quella di favorire la diffusione attraverso la condivisione, per poi introdurre aumenti nella convinzione che gli utenti li avrebbero digeriti perché ormai assuefatti al consumo.

I conti senza l’utente

Non ha funzionato. O almeno, all’inizio sembrava poter funzionare, finché l’offerta si è così ampliata che negli USA ogni utente aveva mediamente tre abbonamenti, per i quali mai avrebbe potuto sostenere aumenti.

Cord cutting imprevisto per dimensione

Quindi l’effetto imprevisto (o comunque non previsto nell’attuale dimensione) è stata la chiusura dell’abbonamento, che, peraltro, non prevedeva alcun tipo di preavviso e penale, sempre per la logica di favorire la diffusione della piattaforma in tempi brevi.

La soluzione

Così, la soluzione individuata è quella di aprire alla pubblicità.

Non indolore

Con effetti imprevedibili sui tempi di fruizione del servizio e destabilizzanti  su un mercato storicamente presidiato dai broadcaster commerciali.

Amazon Prime Video: ecosistema autosufficiente?

Strategia che, almeno per ora, non pone in particolare affanno Amazon, il cui ecosistema appare moderatamente autosufficiente, in quanto l’offerta SVOD Prime Video (circa 200 mln di abbonati) è maggiormente competitiva (anche se ha subito un recente aumento), perché integrata in quella di Prime.

Vasi comunicanti

In pratica, come noto, il servizio principale di Amazon (quello della vendita online) è promosso da quello SVOD, che è in gran parte sostenuto dall’enorme volume d’affari della più importante piattaforma di e-commerce del mondo. (M.L. per NL)

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