RAJAR, l’indagine ufficiale sull’ascolto radiofonico in Gran Bretagna, ha reso noti i dati del Q2/2025, il secondo trimestre 2025, annotando l’ennesimo grave calo dell’ascolto giovanile.
Ma gli esperti inglesi si chiedono: siamo sicuri che non siano gli editori che non sanno più parlare (nel modo giusto) ai giovani ascoltatori che quindi cercano soddisfazioni altrove?
Sintesi
Il report RAJAR Q2/2025 evidenzia una crisi generazionale della radio britannica: l’ascolto giovanile è in netto calo, con gli under 18 che dedicano oggi il 45% di tempo in meno alla radio rispetto al 2005 e BBC Radio 1 simbolo del crollo d’interesse tra i 15-29enni.
L’esperto di strategia radiofonica Matt Deegan sottolinea come la radio non sia più un’abitudine per i giovani, che preferiscono formati digitali on demand (Spotify, podcast, TikTok) e contenuti vocali interattivi.
Le emittenti, anziché reagire, sembrano puntare su un pubblico adulto sempre più fidelizzato ma invecchiato, trascurando investimenti strategici in contenuti per under 25.
Il successo attuale della radio commerciale – che raggiunge il 55,7% di share – è dunque fuorviante, perché poggia su basi fragili e rischia un tracollo futuro nella fascia 25-44 anni, essenziale per il mercato pubblicitario.
La lezione vale anche per l’Italia, dove si replicano tendenze analoghe: se non si costruisce ora una nuova relazione tra radio e giovani, il mezzo rischia l’irrilevanza culturale e commerciale nei prossimi decenni.
Chi ascolta la radio oggi ha più di 35 anni
Chi ascolta oggi la radio ha, nella maggior parte dei casi, più di 35 anni.
Il dato può sembrare banale, ma nasconde una verità drammatica: le nuove generazioni stanno progressivamente abbandonando la fruizione radiofonica, lasciando il settore con un pubblico maturo, fedele ma sempre meno rappresentativo del panorama socio-culturale contemporaneo.

RAJAR Q2/2025
I dati RAJAR (Radio Joint Audience Research) relativi al secondo trimestre del 2025 (Q2/2025), pubblicati il 30/07/2025 dalla società, sono stati analizzati da Matt Deegan, fondatore e direttore creativo della new media and radio consultancy firm, Folder Media, sul blog Matt on Audio.
Tendenze confermate
Secondo l’esperto, le rilevazioni di RAJAR confermano ed anzi attestano l’aggravarsi di una tendenza già osservata negli ultimi anni: la radio, nonostante la resilienza mostrata in altre fasce demografiche, sta perdendo contatto con il pubblico giovanile in maniera sempre più marcata.
Il tracollo degli under 18: numeri impietosi
La fascia 10-18 anni è oggi quella più disimpegnata nei confronti della radio. Solo il 75% dei ragazzi ascolta almeno un minuto di programmazione radiofonica ogni settimana. Un dato grave, se si pensa che nel 2005 la percentuale era del 91,4%. Ma ancora più rilevante è il crollo delle ore medie settimanali per ascoltatore: dalle 14,7 ore nel 2005 si è passati alle 8,1 ore del 2025, una riduzione netta del 45%.
BBC 1 simbolo del declino
In valore assoluto, la BBC Radio 1 (stazione deputata al target 15-29) rappresenta il simbolo di questo declino generazionale. Se vent’anni fa la stazione riusciva ad intercettare oltre 3 milioni di under 19 ogni settimana, oggi ne raggiunge meno di un terzo (927.000). In parallelo, la durata media di ascolto è crollata da 6,1 a 3,4 ore.
La radio non è più una abitudine quotidiana per i giovani
Deegan osserva che «non è solo una questione di formato o linguaggio: la radio non è più un’abitudine quotidiana per i giovani». E il punto è cruciale: le abitudini mediali si consolidano nei primi vent’anni di vita. Un adolescente che non ascolta oggi la radio è molto probabilmente un adulto che non la ascolterà domani.
Uno sguardo al futuro: il buco nero delle prossime generazioni
Il rischio maggiore non è tanto quello di perdere ascolti nel breve termine – già parzialmente compensati da altri segmenti demografici – ma di assistere, nei prossimi 10-20 anni, a una caduta verticale nella fascia 25-44 anni, quella più strategica per inserzionisti e broadcaster.
Le proiezioni di Deegan
Secondo le stime riportate nell’analisi di Deegan i futuri 25-34enni potrebbero ascoltare il 40% in meno rispetto ai coetanei attuali, mentre i 35-44enni del 2035 potrebbero consumare fino al 55% in meno di ore radio rispetto a oggi.
Ridimensionamento epocale della platea radiofonica
Si tratterebbe di un ridimensionamento epocale della platea radiofonica, che nemmeno la crescita del digitale o dei dispositivi smart riuscirebbe a bilanciare. «Il tempo radiofonico semplicemente sparirà dalla routine mediale di milioni di persone», avverte Deegan.
L’illusione del digitale: più device, meno attenzione
L’aumento dell’ascolto tramite smart speaker, app, aggregatori (TuneIn, RadioPlayer, MyTuner, FM-World, ecc.) o piattaforme OTT captive (come BBC Sounds), viene spesso letto come segnale positivo di adattamento. Ma i dati raccontano una realtà più sfumata: 29,3% dell’ascolto avviene tramite dispositivi digitali; 18,4% dell’ascolto complessivo è via smart speaker, con punte del 22,4% per la radio commerciale. Tuttavia, solo una piccola parte di questo traffico è generato da under 25, che preferiscono servizi on demand come Spotify, YouTube, TikTok e podcasting indipendente.
Radio presente ma non rilevante nei comportamenti digitali giovanili
La radio è presente nei nuovi ambienti tecnologici, ma non è rilevante nei comportamenti digitali dei giovani. In sostanza: è disponibile, ma non cercata.
Le playlist non mentono: la musica non è più giovane
Un’ora campione del palinsesto pomeridiano di Capital, network commerciale britannico orientato al target giovane (15-34), monitorato da Matt Deegan ha rivelato una playlist sorprendentemente datata: solo 5 brani sono del 2025; 3 provengono dal 2024; il resto è composto da successi pop degli anni 2000 e 2010, come Complicated di Avril Lavigne (2002) e Beauty and the Beat di Justin Bieber (2012).
15 anni fa
Nel 2010, il 60-70% della programmazione musicale era composta da novità assolute. Oggi le stazioni mainstream puntano sul comfort content, cercando di fidelizzare ascoltatori trentenni e quarantenni con hit nostalgiche. Secondo Deegan, si tratta di una strategia regressiva: «Le radio sembrano aver abdicato all’idea di educare o accogliere il pubblico giovane». L’effetto? I contenuti si orientano verso un pubblico che, pur essendo fedele, invecchia rapidamente.
I giovani ci sono. Altrove
Non è che i giovani non amino l’audio; al contrario, sono iper-consumatori di contenuti sonori: podcast, voice messaging, clip vocali su TikTok, ASMR, audiolibri, contenuti vocali interattivi nei videogame. Ma la radio tradizionale, purtroppo, non è riuscita a integrarsi con questi linguaggi.
Nessun investimento sugli under 25
Né le radio commerciali, né la BBC stanno investendo seriamente in formati nativi digitali per adolescenti ed under 25. Nessun brand radiofonico britannico produce regolarmente podcast narrativi o di intrattenimento pensati per quella fascia d’età. Le esperienze tentate – come podcast a tema scolastico o programmi su TikTok – sono sporadiche e poco supportate. La conseguenza è evidente: gli editori radiofonici stanno perdendo l’occasione di coltivare l’audience futura. Deegan è categorico sul punto: «Se non parli ai giovani oggi, domani non ti ascolteranno nemmeno per sbaglio».
Il paradosso del successo
C’è però un paradosso che rischia di rallentare ogni riflessione strategica: nel complesso, la radio commerciale continua a crescere. La share dell’ascolto complessivo nel Regno Unito ha toccato il 55,7%, nuovo record storico, contro il 42,1% della BBC. Anche la reach settimanale resta elevata: 88% della popolazione totale.
Lo spaccato dell’ascolto per gruppi editoriali
Nel dettaglio: il gruppo Global (Capital, Heart, LBC) ha guadagnato l’1% rispetto al trimestre precedente, con 27,5 milioni di ascoltatori e una quota del 25,1%; il coacervo radiofonico di Bauer Media (Kiss, Absolute, Magic) ha invece perso il 5,2%, fermandosi a 21,5 milioni di ascoltatori e al 19,3% di share.
La radio tiene per ora, ma le fondamenta sono sempre più fragili
Ma questo successo si basa su un pubblico adulto, spesso ultraquarantenne. In termini di volumi, la radio tiene, ma, in termini di prospettiva, si regge su fondamenta sempre più fragili.
Lezioni (non) imparate: perché l’Italia dovrebbe preoccuparsi
Anche se i dati RAJAR Q2/2025 riguardano il mercato UK, le implicazioni sono rilevanti anche per il sistema radiofonico italiano. Le dinamiche generazionali sono globali: TikTok, podcasting, Spotify, YouTube Music e gaming sono presenti – e dominanti – anche tra i giovani italiani.
Età degli ascoltatori in crescita anche in Italia
“Come in UK, anche in Italia l’età media degli ascoltatori radiofonici tende a salire. Le radio nazionali puntano sempre più su format talk o musicali orientati ai trentenni e quarantenni”, spiega Giovanni Madaro, ceo di Media Progress, società di analisi strategica del mercato mediatico (gruppo Consultmedia). “I contenuti per i giovani sono marginali, spesso affidati a operazioni promozionali estemporanee o a brand digitali paralleli“, sottolinea l’analista.
Rischio comune
Ma il rischio è comune: se la radio non diventa rilevante per chi oggi ha 13 o 17 anni, perderà irrimediabilmente la fascia 30–40 nei prossimi vent’anni. E con essa, le risorse pubblicitarie e l’influenza culturale.
Il futuro non si eredita, si costruisce
Il quadro emerso dal Q2 2025 RAJAR è inequivocabile: la radio britannica sta vivendo una crisi generazionale. I giovani non la considerano più un punto di riferimento, né per informarsi né per intrattenersi. Le cause sono molteplici: mancanza di contenuti, disconnessione culturale, scarso investimento in linguaggi contemporanei.
La soluzione non è impossibile
“Missione difficile, ma non impossibile“, rassicura però il ceo di Media Progress. “Occorre investire in contenuti nativi digitali per adolescenti ed under 25; coltivare nuovi talenti audio, provenienti da social e streaming; sperimentare linguaggi, piattaforme e metriche nuove, anche se non immediatamente redditizie; integrare il broadcast con modelli ibridi, in cui la linearità convive con l’interattività e l’on demand.
Crisi di senso
Se il settore non affronterà oggi la frattura generazionale, domani potrebbe trovarsi ad affrontare non solo una crisi di ascolti, ma una crisi di senso”. (M.R. per NL)