Radio. Il dossier degli impianti interferenti con Croazia e Slovenia. 1200 gli interventi da programmare?

Croazia e Slovenia

Ha destato particolare interesse il nostro ennesimo intervento sulla questione degli impianti FM interferenti con le emissioni estere, in particolare sull’area adriatica, dove Croazia e Slovenia hanno, nelle ultime settimane, rinnovato le proprie doglianze (complice la propagazione estiva, quest’anno particolarmente accentuata dalle elevate temperature).
L’irrisolta questione adriatica, che, per ritorsione, aveva fatto temere una mancata definizione del Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze per la radio digitale (DAB+) da parte di Agcom (e che in effetti ha condotto ad una pianificazione “provvisoria”, con alcuni effetti giuridici non di poco conto per la stabilizzazione del mercato, di cui ci occuperemo nei prossimi giorni), che evoluzione avrà?
E, soprattutto, quante sono le frequenze coinvolte?

Le frequenze rivendicate da Croazia e Slovenia

Partendo da quest’ultimo punto, va osservato come, in realtà, abbia poco senso parlare di frequenze straniere interferite, il cui numero è relativamente contenuto.

Adiacenze

Infatti, le frequenze italiane incompatibili non sono solo le stesse utilizzate da Croazia e Slovenia, ma anche quelle adiacenti (normalmente entro +/- 200 KHz), quindi con notevole moltiplicazione delle problematiche.

Gli impianti italiani

Considerato il reimpiego multiplo delle stesse frequenze lungo 800 km della costa adriatica, a quanto riferito a NL da fonti qualificate, gli impianti coinvolti sarebbero tra 1000 e 1500 (anche se qualcuno ha parlato di 2000), rendendo plausibile la nostra precedente indiscrezione di 1200 diffusori a rischio spegnimento.

Situazione irrisolvibile?

Stante la distanza tra i punti di emissione esteri e italiani compresa tra 75 e 200 km circa e la condizione di “vista ottica” (considerata l’assenza di ostacoli sul mare), l’incompatibilità di questi 1200 impianti è infatti valutata come irrisolvibile. Nel senso che, secondo un approccio tecnico duro e puro, non sarebbe possibile una compatibilizzazione. Così infatti è stato per la pianificazione televisiva, coi famigerati PDV (punti di verifica).

Tertium non datur

Se una frequenze è assegnata (in ambito UIT e, di conseguenza, con diritto prevalente verso un utilizzatore non coordinato) a Croazia e Slovenia, non potrebbe essere impiegata in Italia da un sito con vista ottica sui territori esteri attraverso un impianto che abbia una minimale dignità di servizio (cioè che abbia un senso di impiego).

Come se ne esce

Gli approcci individuati sono solo due: uno radicale, l’altro chirurgico. Entrambi, comunque, fortemente destabilizzanti.
Il primo è, naturalmente, la pianificazione FM (già prevista come obbligo di legge a carico di Agcom) e la relativa attuazione (con bandi sul modello DTT a cura del Mise), che, comporterebbe, nei fatti, l’azzeramento dell’attuale situazione e la riscrittura integrale della mappa FM italiana consolidatasi in oltre 45 anni.

Soluzione non accettabile

Prospettiva sostenuta durante le riunioni del Radio Spectrum Policy Group dalle amministrazioni pubbliche straniere, ma, comprensibilmente, aborrita da (quasi) tutti gli editori italiani. Anche se l’emergenza energetica sta facendo riconsiderare, pur a denti stretti, la propria posizione ad alcuni.

L’approccio chirurgico

L’altra soluzione si fonda sull’eliminazione dei soli 1200 (?) impianti interferenti. Intervento, tuttavia, di difficile attuazione, considerate le implicazioni giuridiche conseguenti. Prima fra tutte, la scure delle disparità di trattamento.

Mini Piano FM

Per limitare la conclamazione del vizio di legittimità in capo ai provvedimenti inibitori all’esercizio dei diffusori in condizione di conflittualità con quelli di Croazia e Slovenia, secondo gli esperti interpellati da NL (vedi articoli precedenti), servirebbe, infatti, un mini Piano di assegnazione adriatico.

Interventi non solo sugli impianti interferenti

Il quale, considerata l’impossibilità di riconoscere indennizzi per dismissioni volontarie come fatto per il DTT (considerata l’assenza di provvista finanziaria), possa considerare non solo gli impianti interferenti, ma anche quelli ridondanti. In sostanza, un’emittente che non subirebbe sostanziale danno diffusivo dalla dismissione di un impianto interferente perché ne dispone già di un altro di analoga (o superiore) prestazione, non potrebbe lamentare pregiudizio tecnico (ma solo patrimoniale a riguardo della perdita di un asset).

Il nodo riassegnazione

Più complicata la suggestiva riassegnazione della frequenza di un impianto in stato di ridondanza da una stazione non coinvolta dalle interferenze ad un soggetto diverso cui è stato inibito l’esercizio per non coordinabilità con impianti di Croazia e Slovenia.

Complicazione

Tale soluzione, a conti fatti, appare, paradossalmente, ancora più complicata di quella della pianificazione FM. Tanto più che, nel frattempo, molti impianti ridondanti sono stati (o lo saranno nelle more) alienati a terzi (magari dello stesso gruppo editoriale).

L’unica soluzione

E’ pertanto altamente probabile che, a fronte delle comprensibili resistenze verso la pianificazione radicale e dell’impossibilità oggettiva dell’attuazione di un Piano FM adriatico, l’unica strada che sarà percorsa sarà una versione compressa della seconda prospettazione, accertando (partendo dal Friuli Venezia Giulia) e colpendo (attraverso una intensificazione di quanto sin qui fatto con modesti risultati) solo gli impianti interferenti, con buona pace di chi ne è titolare. E sospiro di sollievo per tutti gli altri, secondo la scuola di pensiero che, purtroppo, ha fin qui accompagnato la storia della radiofonia italica: mors tua, vita mea. (M.L. per NL)

 

 

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