DTT. Agcom a Governo: così refarming 700 MHz non funziona. Troppo spazio a locali (che non utilizzano) e non chiaro come convertire diritti uso nazionali in capacità trasmissiva

refarming, governo

Leggendo la segnalazione effettuata oggi ex L. 249/1997 dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni al Governo per sottoporre proposte in merito all’attuazione delle disposizioni previste dell’art.1, commi 1030-1031, della legge  205/2017 (Legge di Bilancio 2018), qualche nostro lettore potrebbe pensare che l’ente ha attinto ad un articolo della settimana scorsa di questo periodico o, più modestamente e probabilmente, che noi si abbia avuto accesso prima di tutti al testo della comunicazione in lavorazione dell’Agcom. Né l’uno, né l’altra ipotesi; ma solo il compiacimento da parte nostra di aver centrato in pieno le criticità che l’Autorità avrebbe portato qualche giorno dopo all’attenzione dell’esecutivo.
Vediamo insieme quali sono questi aspetti controversi del refarming evidenziati da Agcom al Governo.
Nel merito, la Legge di Bilancio ha introdotto nuove norme per la riorganizzazione del sistema radiotelevisivo digitale terrestre, a seguito della destinazione delle frequenze della banda 700 MHz (694-790 MHz) ai servizi di comunicazione elettronica a banda larga senza fili per lo sviluppo del 5G. L’intervento di adeguamento alla normativa prevede una serie di adempimenti programmatici e attuativi che vedono impegnata l’Autorità in una serie di attività complementari e strettamente coordinate con quelle del Ministero dello sviluppo economico.

In particolare ad Agcom è demandato il compito di disegnare la cornice iniziale per la riorganizzazione delle frequenze e la realizzazione delle nuove reti (multiplex) e il passaggio alle nuove tecnologie di trasmissione (DVB-T2). L’Autorità, infatti: a) adotta il Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze (PNAF 2018) secondo quanto previsto al comma 1030 dell’art. 1 della Legge di Bilancio; b) definisce i criteri per la conversione dei diritti d’uso delle frequenze di cui attualmente sono titolari gli operatori di rete nazionali in diritti d’uso di capacità trasmissiva in multiplex nazionali di nuova realizzazione in tecnologia DVB-T2, ai fini dell’assegnazione dei diritti d’uso delle frequenze del PNAF 2018.
Nell’ambito dei compiti assegnati dalla Legge di Bilancio all’Autorità – che implicano attività preliminari e fondamentali per realizzare la transizione – sono emerse alcune criticità e punti d’incertezza su alcuni aspetti della norma che potrebbero compromettere gli obiettivi generali di consentire un uso efficiente dello spettro, capace cioè di soddisfare in via ottimale offerta e domanda di risorse scarse, promuovere l’utilizzo degli standard e delle tecnologie più avanzate, assicurare il contenimento dei costi di trasformazione, minimizzare l’impatto sui consumatori e, da ultimo ma non per importanza, garantire i contenuti radiotelevisivi di interesse pubblico a livello nazionale e locale.

Tali elementi critici erano, del resto, già emersi nell’ambito del Tavolo di coordinamento MiSE-Agcom e comunicati dall’Autorità al Ministero dello sviluppo economico con lettera del 15/11/2017 e non avevano poi trovato soluzione in sede di approvazione della Legge di Bilancio.
In sintesi, secondo Agcom, “occorre rilevare che la nuova pianificazione delle frequenze, alla luce del ridimensionamento delle risorse complessivamente disponibili per il servizio broadcasting a seguito del programmato refarming della banda 700 MHz, ha tenuto conto: di una riduzione del 30% dello spettro disponibile per la radiodiffusione nella gamma UHF (12 canali su 40); dell’utilizzo di frequenze coordinate dall’Italia attraverso gli accordi con i Paesi confinanti; della riorganizzazione del multiplex regionale della RAI destinato anche alla trasmissione di contenuti locali; dei nuovi standard e tecnologie di trasmissione e, da ultimo, della riserva di un terzo della capacità trasmissiva ai soggetti abilitati a diffondere contenuti in ambito locale, prevista dall’art. 8 del D. Lgs. n. 177/2005 sulla cui permanenza la Legge di Bilancio non si era espressa”.


Il PNAF 2018 ha dovuto dunque pianificare le 15 nuove reti tenendo conto dei citati vincoli normativi, “senza ancorarli ad un’analisi tecnica circa l’effettivo fabbisogno di spettro tra reti nazionali e locali, pervenendo al seguente esito: 10 reti nazionali in banda UHF e 4 reti locali in banda UHF più un’ulteriore rete su base regionale in banda III VHF destinata alla trasmissione di programmi televisivi in ambito locale nonché di programmi di servizio pubblico contenenti l’informazione a livello regionale”.
In tale contesto di refarming, segnala Agcom al Governo, acquista una rinnovata rilevanza il tema della riserva di destinazione di un terzo della capacità trasmissiva complessivamente pianificata (e alla luce dell’evoluzione tecnologica e dell’upgrade qualitativo richiesto dalla Legge alle reti nazionali) a favore dell’emittenza locale di cui all’art. 8, comma 2, del d.lgs. 177/2005 (TUSMAR), che non può prescindere dall’effettivo fabbisogno di capacità di trasmissione a fronte della riorganizzazione dell’intero sistema.

La norma, secondo Agcom, “dovrebbe tener conto, oltre che della promozione e garanzia dei contenuti locali e regionali di interesse pubblico (quali, per esempio, l’informazione) anche degli obiettivi di efficienza dello spettro radioelettrico e alla luce delle prospettive quantitative e qualitative di domanda di contenuti e di offerta di capacità trasmissiva, in funzione di un’analisi tecnico-economica dell’effettivo fabbisogno nazionale e locale. Occorre, infatti, evidenziare che il presupposto del rapporto di uno a due tra capacità trasmissiva locale e nazionale rispetto a quella pianificata nasceva, nel 2005, dall’attuazione del passaggio del sistema televisivo analogico a quello digitale che – con l’obiettivo di “valorizzare e promuovere le culture regionali e locali” – aveva stabilito due differenti criteri di conversione delle reti analogiche e due diversi modelli di “separazione” organizzativa ed operativa del gestore della rete e del fornitore di contenuti”.
Oggi, segnala l’Autorità al Governo, “le condizioni di mercato sono profondamente mutate e gli obiettivi stabiliti dalla normativa di uso efficiente dello spettro radioelettrico e impiego di tecnologie avanzate vanno analizzate e inquadrate nel contesto attuale e prospettico del sistema radiotelevisivo. Del resto, la stessa decisione (UE) 2017/899 – nella Roadmap nazionale 2018-2022 e secondo gli scenari/obiettivo 2025-2030 – prevede esplicitamente di analizzare e valutare gli effetti della transizione sulle condizioni di domanda e offerta”.


Sul punto, l’ente di garanzia delle tlc porta all’attenzione del Governo che la Legge di Bilancio, “pur introducendo un complesso di norme diretto a determinare un generale riassetto del settore dell’emittenza radiotelevisiva, non ha tuttavia apportato alcuna modifica organica all’intera normativa di settore (in particolare contenuta nel Testo Unico). Ciò, nonostante i radicali cambiamenti introdotti con riferimento al comparto dell’emittenza locale (es. completa introduzione del modello horizontal entry model con superamento del concetto di emittente verticalmente integrata) e nonostante i mutamenti che sono intervenuti nel corso degli anni nel mercato dell’offerta di contenuti locali. Si consideri, tra l’altro, che la non ponderazione delle risorse destinate rispetto ai reali bisogni e alle condizioni delle aree locali o regionali – pur in presenza di caratteristiche altamente differenziate in termini di caratteristiche fisiche del territorio e di popolazione – prevedendo una medesima quota di riserva di capacità destinata a contenuti locali per ogni singola area tecnica del paese – comporta anch’essa una non efficiente allocazione dello spettro e un potenziale eccesso di capacità trasmissiva rispetto alle reali esigenze di mercato”.
Infine, Agcom ricorda al Governo di aver “più volte evidenziato la necessità di un intervento legislativo volto ad una rimodulazione della citata riserva, in nome del principio di uso efficiente delle risorse frequenziali, ad esempio stabilendone la revisione a valle di un’analisi tecnica dell’Autorità che certifichi la possibilità di soddisfare i bisogni dei fornitori di servizi media audiovisivi in ambito locale con una minore disponibilità di capacità trasmissiva rispetto a quella stabilita astrattamente dalla normativa vigente. Si osserva che un’analisi della capacità trasmissiva destinata ai contenuti in ambito nazionale e locale era stata effettuata dall’Autorità, anche al fine di verificare le condizioni di domanda da parte dei fornitori di servizi media in ambito locale, oltre che con l’obiettivo di valutare il grado di concorrenza nell’offerta di capacità ai produttori indipendenti, nell’istruttoria che ha portato all’approvazione della delibera n. 622/15/CONS del 05/11/2015”.

Nell’ambito delle analisi dell’Autorità, è emersa da un lato, l’assenza di un mercato di cessione a terzi della capacità trasmissiva in ambito locale; dall’altro la presenza di limiti agli investimenti locali o per la scarsa propensione ad investire nell’innovazione o realizzazione di reti regionalizzate da parte di operatori nazionali, o per la minore capacità di spesa in investimenti degli operatori locali integrati verticalmente, a fronte delle minori dimensioni di scala e di una minore redditività.
In conclusione, sul punto delle risorse frequenziali e della capacità trasmissiva da riservare alle reti locali rispetto a quelle nazionali, l’Autorità auspica una revisione della normativa attuale che tenga conto del nuovo contesto e delle prospettive di mercato e del cambiamento richiesto dalla transizione, anche alla luce di quanto emerso dalle analisi dell’Agcom.
Un secondo elemento critico emerso nel corso dell’attività dell’Autorità che genera – tra l’altro – incertezza nell’esercizio del compito affidato all’Agcom dall’art. 1, comma 1031, della Legge di Bilancio, è quello della corretta interpretazione e della possibilità di attuazione di quanto previsto. Ci riferiamo, in particolare, alla norma che affida all’Autorità il compito, da un lato, di definire i criteri di conversione dei diritti d’uso delle frequenze degli operatori di rete nazionali in diritti d’uso di capacità trasmissiva in reti nazionali DVB-T2, dall’altro, di stabilire i criteri per l’assegnazione delle frequenze agli operatori di rete nazionali.

Sul punto, Agcom puntualizza al Governo che la citata Legge di Bilancio, nel prevedere che “i diritti d’uso delle frequenze di cui sono titolari alla data di entrata in vigore della presente legge gli operatori di rete nazionali sono convertiti in diritti d’uso di capacità trasmissiva in multiplex nazionali di nuova realizzazione in tecnologia DVB-T2”, introduce il riferimento alla nozione di “diritto d’uso di capacità trasmissiva”, attualmente non specificato nella normativa nazionale o europea e che potrebbe causare contenziosi e problemi attuativi, se non opportunamente accompagnato da una revisione e integrazione delle norme vigenti. Per coerenza con l’impianto generale della normativa di settore, la citata conversione dei “diritti d’uso delle frequenze” in “diritti d’uso della capacità trasmissiva” disposta dalla Legge di Bilancio, sembra doversi intendere quale mero passaggio intermedio del più ampio processo di conversione dei “diritti d’uso di frequenze DVB-T” in “diritti d’uso di frequenze DVB-T2”. In tal senso, il processo immaginato dal Legislatore prevede che il vecchio sistema in tecnologia DVB-T si converta tout court nel nuovo sistema in tecnologia DVBT2, per effetto dell’aumento della capacità trasmissiva, lasciando al Regolamento dell’Autorità l’obbligo di determinare criteri, condizioni e selezione degli operatori di gestione delle nuove reti.
E’ lasciato all’Autorità il compito di determinare il fattore di conversione dei diritti, avendo
la Legge, tuttavia, individuato la capacità trasmissiva quale unità di misura della conversione per l’assegnazione agli operatori di rete di diritti d’uso delle frequenze in DVB-T2. Secondo l’Autorità una tale previsione andrebbe resa coerente e maggiormente specificata nella normativa primaria.

E’ demandato all’Autorità il compito di definire nel Regolamento i criteri di assegnazione dei diritti d’uso di capacità trasmissiva delle nuove reti digitali. Alla luce del processo di conversione previsto dal Legislatore illustrato in precedenza, ai fini della assegnazione dei diritti d’uso di frequenza delle nuove reti DVB-T2, risulterà necessaria la costituzione, su base volontaria, di “intese” tra diversi operatori di rete. In questo scenario, dunque, l’assegnazione delle frequenze per le nuove reti DVB-T2 dovrà basarsi sulla “titolarità congiunta” del relativo diritto d’uso. Anche in questo caso, l’Autorità spiega al Governo “che – in mancanza di un preciso quadro normativo e regolamentare di riferimento diretto a disciplinare i meccanismi di intesa e l’organizzazione delle relazioni (in termini di diritti e obblighi reciproci tra gli operatori che la sottoscrivono e nelle relazioni commerciali tra gestore della rete e titolare del diritto d’uso della capacità trasmissiva) – l’effettivo raggiungimento di accordi tra soggetti diversi e in tale direzione potrebbe essere di difficile attuazione”.
Conseguentemente, risulta concreto il rischio che, in assenza di tali intese che, come anzidetto, non possono che essere su base volontaria, non tutti i diritti d’uso delle frequenze possano essere assegnati secondo i termini e i tempi previsti dalla Legge di Bilancio con ripercussioni in termini di garanzia dell’offerta e delle condizioni di concorrenza, nonché della continuità della fruizione del servizio da parte degli utenti.

Alla luce dei punti evidenziati, l’Autorità auspica che il Governo si faccia promotore di “una modifica e integrazione della normativa che da un lato tenga maggiormente conto dell’analisi delle condizioni di domanda e offerta rispetto agli obiettivi pubblici della trasformazione, dall’altro consenta di definire meglio il quadro normativo primario, limitando i rischi di tenuta giuridica e di conseguenza di effettiva realizzazione della trasformazione, permettendo la redazione, in tempi brevi, di un aggiornamento del Piano ancorato agli effettivi fabbisogni nazionali e locali di operatori e consumatori”.
Agcom, infine, richiama al Governo la necessità di mettere in campo tutte le energie e le risorse (non solo economiche ma anche informative e di sensibilizzazione), ma soprattutto stabilire una cabina di regia che consenta di realizzare pienamente la transizione dell’offerta e della domanda, con una revisione delle tempistiche oggi previste e in ogni caso coerente con l’obiettivo di completare il nuovo sistema radiotelevisivo digitale terrestre al 2022. Altri Paesi, partiti in anticipo nel percorso di liberazione e transizione (vedi in particolare la Francia) mostrano come il coinvolgimento dei diversi attori e una cabina di regia siano stati necessari al raggiungimento dell’obiettivo. L’Autorità si dichiara disponibile, nell’ambito del Tavolo di coordinamento con il MiSE o in altre forme di cooperazione individuate dal Governo, a fornire il proprio contributo al fine di favorire la piena attuazione del percorso di trasformazione del sistema radiotelevisivo e il trasferimento delle frequenze nella banda 700 MHz agli operatori radiomobili nel periodo di transizione fino al 2022. (M.L. per NL)

Foto antenne di Floriano Fornasiero

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