The Playlist: un monito ai radiofonici parrucconi

The Playlist

C’è una serie di Netflix che i radiofonici dovrebbero guardare con estremo interesse: The Playlist, la storia di Spotify.
The Playlist è meritevole di visione, non tanto per conoscere le vicende della più importante piattaforma di streaming audio on demand, ma per osservare gli assurdi ostruzionismi contro i quali il giovanissimo visionario Daniel Georg Ek dovette combattere per dare avvio al suo rivoluzionario progetto.
Ostacoli dilatori per cercare di rallentare tendenze in realtà già evidenti. Che, purtroppo, somigliano a certe difese degli editori radiofonici verso i cambiamenti alla porta. Anzi, ormai dentro la porta.

Il muro edificato dalle collecting discografiche, che Ek e soci si trovarono di fronte nel 2006 (solo 17 anni fa, che però sembrano un’era geologica), appare pericolosamente simile a quello che gli editori radiofonici hanno costruito in questi ultimi anni, per cercare di frenare il cambiamento inesorabile verso il totally IP.

Pirati

Come le case discografiche combattevano invano contro lo streaming di The Pirate Bay, favorendo involontariamente aumenti di diffusione di quest’ultimo al conseguimento di ogni vittoria giudiziaria (magistralmente sottolineati da The Playlist), gli editori radiofonici, rinchiudendosi nel sempre più stretto recinto del broadcasting, si comportano da parrucconi che anziché contrastarla, incentivano la tendenza all’estinzione del modello radiofonico classico.

Anacronismi

Nel caso italiano ne è un evidente esempio la difesa anacronistica degli ambiti diffusivi sul piano amministrativo (col ridicolo compromesso dell’ambito locale a 30 milioni di abitanti, pur di non voler ammetterne la già avvenuta caducazione sul piano sostanziale).

Cartelli e ingenuità

Ma anche la mancata apertura ai nuovi entranti sul DAB nazionale (con destinazione della capacità trasmissiva dei mux per la quasi totalità a prodotti riconducibili agli stessi broadcaster), così come il tentativo, ingenuo, di ostacolare gli aggregatori di flussi streaming indipendenti, nell’utopia di averne uno esclusivo (coi risultati sotto gli occhi di tutti).

Cambiamenti

Il risultato di queste azioni, come è stato per le case discografiche che avevano combattuto il cambiamento introdotto prima da The Pirate Bay (in forma illegale) e poi da Spotify (in maniera legale), condurrà inevitabilmente ad una tardiva presa d’atto del mutamento dei tempi.

Dashboard: ultimo baluardo radiofonico

In gioco c’è l’ultimo baluardo esclusivo (o quasi) della radio: il dashboard delle auto.
L’obbligo di adozione del DAB sulle automobili ha ridato respiro ai broadcaster, che, però, se non coltiveranno immediatamente una soluzione di prominence attraverso il tasto unico Radio (che facendo perdere definitivamente la consapevolezza della piattaforma utilizzata per l’ascolto archivierà l’era della differenziazione del citato ambito diffusivo) consegneranno le chiavi delle automobili alle piattaforme OTT e all’automotive (che con gli over the top stringeranno accordi).

Il divano coperto col cellophane

E si accorgeranno che quella capacità trasmissiva accaparrata insieme ad antichi titoli concessori sarà come i supporti fisici musicali che facevano bella mostra nei polverosi uffici delle collecting discografiche della serie The Playlist. O come il divano mai scellophanato da certi anziani.

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