L’alleanza tra Netflix e Spotify per la produzione e la veicolazione di video podcast segna l’ennesima dimostrazione della fusione tra audio e video. Ma anche che gli OTT, come un tempo i broadcaster, hanno scoperto che ormai non si può più vincere da soli in un mondo caratterizzato da un gigantismo senza freni.
Sintesi
L’alleanza tra Netflix e Spotify per la produzione e distribuzione dei video podcast sancisce la fusione definitiva tra audio e video, dimostrando che nemmeno gli OTT possono più agire da soli.
L’accordo prevede la veicolazione cross-platform di contenuti (delle aree tematiche di Spotify) The Ringer e Spotify Studios, che saranno visionabili su Netflix anche senza l’abbonamento a Spotify, con modelli integrati di monetizzazione ed analytics.
L’iniziativa – non lo si ammette dalle parti, ma si sa – nasce (anche) dalla constatazione che la piattaforma più usata dai podcaster e dagli utenti per ascoltare i podcast è YouTube, non Spotify: segno che l’ascolto oggi richiede anche una dimensione visiva.
Il video diventa così estensione dell’audio, rafforzando la relazione tra creator e pubblico.
D’altra parte, per Netflix e Spotify – così come per tutte le piattaforme – l’obiettivo è sempre più quello di trattenere l’utente nel proprio ecosistema digitale, evitando la migrazione tra OTT in un momento in cui tutti sono sotto pressione concorrenziale (in particolare Netflix, da parte di Prime e Spotify da parte di Apple Music ed Amazon Music).
Sul piano industriale, l’intesa moltiplica le opportunità di licensing ed advertising in maniera condivisa.
È un’applicazione contemporanea della teoria di McLuhan: il medium non è il contenuto, ma la piattaforma stessa.
La crossmedialità diventa quindi infrastruttura e non scelta.
Gli esperti concordano: il futuro dell’audio-video passa da chi saprà costruire ponti, non barriere, tra media e linguaggi.
Un accordo strategico tra due giganti globali
Con un comunicato congiunto sui rispettivi siti, Netflix e Spotify hanno ufficializzato una partnership che ridefinisce gli equilibri del mercato dell’audio entertainment.
L’intesa (che partità nel 2026 dagli USA come test-area per un futuro sviluppo mondiale) prevede la coproduzione e la distribuzione cross-platform dei video podcast firmati The Ringer e Spotify Studios, che saranno accessibili contemporaneamente su entrambe le piattaforme, con una logica integrata di promozione, monetizzazione ed analytics condivisi. In particolare, i podcast video saranno accessibili direttamente su Netflix senza bisogno di un abbonamento Spotify e la monetizzazione sarà gestita dai podcaster tramite pubblicità integrata per valutare nuove soluzioni di engagement.
Convergenza mondiale
Si tratta del primo esperimento di questo tipo tra due colossi OTT, ma anche di un punto di non ritorno nella convergenza mediale: Spotify porta la sua competenza nell’audio (il catalogo per Netflix prevede alcuni dei podcast più celebri in USA, come The Bill Simmons Podcast, The Zach Lowe Show, The Rewatchables, Dissect, Conspiracy Theories e Serial Killers), Netflix offre la potenza di fuoco del video e della distribuzione globale. Il risultato è un nuovo formato ibrido, pensato per vivere in un ambiente transmediale, dove il contenuto non ha più confini tecnici, ma solo funzionali.
La crossmedialità come condizione di sopravvivenza per favorire la retention
Come più volte evidenziato su queste pagine, il modello dominante, oggi, è quello cross-platform: non esistono più confini rigidi tra piattaforme, ma un unico ecosistema di flussi digitali. Netflix e Spotify, che fino ad ora incarnavano due mondi formalmente distinti — video eterogenei il primo, musica e contenuti solo audio il secondo — si trovano oggi ad affrontare lo stesso problema: la retention, cioè trattenere l’utente. Mantenerlo attivo e fidelizzato nel proprio ambiente digitale è ormai la vera sfida.
La finalità della partnership
La partnership serve a questo: offrire contenuti complementari che estendano la permanenza dell’utente su una piattaforma anche quando non guarda una fiction video o non ascolta una playlist. È lo stesso principio che regge le piattaforme FAST (Free Ad-Supported Television): il valore non è più solo nel contenuto, ma nel tempo d’interazione.
Dal podcast all’esperienza audiovisiva
L’operazione nasce da un’evidenza empirica: come rilevato da uno studio del 2024 pubblicato qui, la piattaforma più utilizzata per ascoltare podcast audio e video nel mondo non è Spotify, ma YouTube. Il che, per il più grande player audio on demand globale, appariva evidentemente un paradosso non più sostenibile.
Youtube podcast hub
Ma come è potuto succedere ciò?
In realtà, per una ragione piuttosto elementare: YouTube, pur non essendo una piattaforma solo audio, è divenuta la casa naturale dei podcast grazie alla sua struttura visiva ed algoritmica, che privilegia la scoperta, il commento e la condivisione.
Spotify ha dunque deciso di portare il podcast là dove il pubblico dimostra di volerlo: davanti ad uno schermo. E ciò senza rinnegare la propria identità sonora, ma, piuttosto, ampliandola con una componente visiva che ne rafforza la credibilità e la riconoscibilità.
L’immagine come prolungamento dell’ascolto
D’altra parte lo scriviamo da anni: nella cultura della ipervisualità, il suono da solo non basta più. La visual radio, la crescita dei canali FAST ed ora i video podcast rispondono tutti allo stesso principio: in un mondo dominato dagli schermi, il silenzio visivo equivale all’assenza.
La presenza dell’immagine non snatura l’audio, ma lo completa
Il volto del conduttore, il gesto, l’ambiente circostante diventano parte dell’esperienza comunicativa, rafforzando l’empatia e la fiducia tra creator e pubblico. È una dinamica già osservata nella transizione della radio tradizionale alla visual radio, dove il valore aggiunto non è l’immagine fine a sé stessa, ma la continuità percettiva tra suono e visione.
YouTube detta la grammatica, Spotify la riscrive
Con questo accordo, Netflix e Spotify accettano di giocare sul terreno di YouTube, ma con una grammatica diversa: non il video come spettacolo, ma come estensione del linguaggio sonoro. Nei nuovi podcast prodotti con Netflix, la regia è funzionale al racconto, non all’intrattenimento televisivo. È un’estetica calda, intima, coerente con l’identità del medium audio, che però parla la lingua delle piattaforme video.
Moltiplicazione di licensing, advertising e placement
“La sfida è costruire un modello produttivo scalabile, dove lo stesso contenuto possa essere fruito indifferentemente come audio puro o come video podcast”, spiegano da Spotify Studios. Una convergenza che, sul piano industriale, abbatte i costi di duplicazione e moltiplica le opportunità di licensing, advertising e placement.
Il ritorno del medium: McLuhan in versione OTT
L’inedita alleanza tra Netflix e Spotify offre una perfetta applicazione contemporanea del pensiero del sociologo Marshall McLuhan di cui ci siamo occupati ieri. Se il medium è il messaggio, allora ogni innovazione non risiede nel contenuto, ma nel mezzo che lo trasmette. Il podcast video è, in questo senso, il messaggio di un’epoca in cui la piattaforma è il medium: un ambiente fluido, multisensoriale e transitorio.
Normalizzazione della crossmedialità
Anche per questo, definire “ibrido” il nuovo formato è riduttivo: il podcast visivo è la normalizzazione della crossmedialità, la dimostrazione che l’audio è diventato un linguaggio elastico, capace di adattarsi a qualsiasi interfaccia, dalla smart tv allo smartphone, dallo smart speaker al dashboard dell’auto.
Il ruolo dei dispositivi e la rivoluzione in-vehicle
Secondo il report In-Vehicle Visuals 2025, l’83% degli utenti automobilistici visualizza oggi spot e contenuti on demand con elementi grafici o video sui display delle vetture connesse. La trasformazione dei device è il vero motore della rivoluzione mediale: ogni schermo diventa una finestra sonora, ogni suono una presenza visiva. Il podcast, dunque, si adatta ad un ambiente tecnologico che richiede simultaneità percettiva.
Destino inevitabile
In questa prospettiva, Netflix e Spotify non fanno che anticipare un destino inevitabile: la fusione funzionale di tutti i media. La differenza non è più tra radio, tv o piattaforme streaming, ma tra chi è capace di adattarsi all’ecosistema cross-platform e chi ne resta fuori.
L’effetto sistemico sull’industria del contenuto
Le implicazioni di questa alleanza vanno ben oltre il podcast. Si apre una fase di co-produzione trasversale tra OTT, dove l’obiettivo non è più la concorrenza ma la coabitazione strategica. Già Disney, Amazon (che è l’OTT più avanti in tal senso) e Warner stanno testando forme di integrazione simili (tra cataloghi FAST e servizi premium). La collaborazione tra Netflix e Spotify rappresenta il primo esempio maturo di questa convergenza intersensoriale tra piattaforme solo video e audio, con un potenziale di mercato stimato in miliardi di dollari.
L’unione fa la sopravvivenza
L’intesa tra Netflix e Spotify sancisce il definitivo superamento dei media come entità separate. Il podcast video è il simbolo di un mondo in cui la fruizione è ubiqua, continua e multi-sensoriale. In questo scenario, nemmeno gli OTT possono più farcela da soli: la crossmedialità è diventata infrastruttura, non scelta.
Il futuro passa dai ponti
Il futuro dell’audio – e dell’intrattenimento in generale – sarà scritto non dai broadcaster o dagli streamer, ma da soggetti capaci di costruire ponti tra piattaforme. E, come sempre, chi avrà saputo vedere prima la convergenza, dominerà il nuovo ecosistema mediale. (E.G. per NL)












































