USA, Tesla chiude anche alla FM (oltre all’AM): streaming di TuneIn basta. E in Europa si cerca rifugio tra prominence ed obbligo autoradio

Tesla

Altro che difendere le onde medie: Tesla toglierà tout court pure i sintonizzatori FM dai modelli base del mercato USA.
E ciò mentre in Europa broadcaster e istituzioni tentano di reagire alle determinazioni antiradio dell’automotive.
EBU, infatti, ha rilanciato l’iniziativa Radio Ready per la prominence sui cruscotti digitali, mentre l’Italia ha notificato a Bruxelles la proposta di modifica della norma del Codice delle comunicazioni elettroniche ampliandola dalla presenza dell’interfaccia DAB+ nell’autoradio alla dotazione di un sintonizzatore via etere su tutte le connected car.
Contromisure, quelle europee, volte ad evitare la vigente tendenza dell’industria automobilistica a sopprimere l’autoradio secondo i radiofonici per non incorrere nel vincolo di dotarla del DAB+. Tesi respinta al mittente dall’automotive che oppone piuttosto la sopravvenuta inutilità dello strumento, posta l’universale possibilità di ascoltare i contenuti in streaming tramite bluetooh. Posizioni diametralmente opposte entrambe vere solo in parte. Vediamo perché.

Sintesi

Tesla ha annunciato che i modelli base delle sue auto negli Stati Uniti non avranno più sintonizzatori AM/FM, sostituiti da connessioni Bluetooth e servizi streaming integrati.
Una scelta definita pericolosa dai broadcaster americani, poiché priva milioni di automobilisti dell’accesso gratuito alla radio tradizionale.
La decisione, tuttavia, accentua una tendenza globale: l’auto come piattaforma chiusa, dove la radio rischia di diventare un servizio marginale (ed accessorio).
Proprio in risposta a questa scuola di pensiero, l’EBU ha rilanciato in Europa il programma Radio Ready, per garantire la prominence del mezzo nei cruscotti digitali e preservarne il ruolo di servizio pubblico.
L’Italia, da parte sua, ha notificato a Bruxelles una modifica al Codice delle comunicazioni elettroniche per imporre la presenza obbligatoria di ricevitori FM e DAB+ nelle connected car.
L’obiettivo è difendere il pluralismo informativo e l’accesso gratuito ai contenuti, in un mercato dove oltre il 60% della raccolta pubblicitaria radiofonica dipende ancora dall’ascolto in auto.
La “battaglia per il cruscotto” diventa così una questione di libertà e di diritto all’informazione universale.

Tesla spegne la radio: un preoccupante precedente di sistema

L’annuncio della casa automobilistica di Elon Musk è di quelli destinati a lasciare il segno (o a creare tendenze): i modelli base Tesla Model 3 e Model Y Standard negli Stati Uniti non saranno più equipaggiati con sintonizzatori FM (oltre che AM).
La casa californiana – indifferente alle proteste dei broadcaster USA – giustifica la scelta con motivazioni di efficienza e razionalizzazione: tutte le versioni delle proprie auto offrono già connettività Bluetooth per il pairing con smartphone oltre alla possibilità di accedere (con abbonamento) a servizi multimediali (come Spotify, Apple Music, TuneIn, ecc.) col pacchetto Premium Connectivity (con connettività integrata nell’automobile indipendente dal device dell’utente).

Soluzione radicale (non inedita)

Niente di nuovo in realtà: Tesla è abituata a proporre soluzioni radicali: già negli anni scorsi aveva escluso l’AM da alcuni modelli elettrici a causa delle interferenze generate dai motori, salvo reintrodurla, malvolentieri, dopo le pressioni del Congresso. Ma la differenza, questa volta, è sostanziale: il taglio è di principio, non tecnico. Eliminare (anche) il ricevitore FM significa spostare definitivamente il punto di accesso alla radio da una tecnologia aperta e gratuita ad un ecosistema tendenzialmente chiuso (ancorché onnipresente)  e formalmente a pagamento (anche se ormai tutti hanno uno smartphone con connettività e tariffa flat in grande parte inutilizzata nella sua potenzialità).

L’America divisa

Prevedibilmente, l’industria radiofonica statunitense non ha tardato a reagire: la National Association of Broadcasters (NAB, il soggetto portatore di interessi diffusi tra gli editori radiofonici) ha definito la decisione “una scelta miope che priva milioni di conducenti di una fonte insostituibile di informazione, sicurezza e comunità”.

Il 51% dei proprietari di auto Tesla ascolta ancora la radio via etere

Secondo Edison Research, un campione rappresentativo del 51% dei proprietari di vetture Tesla avrebbe dichiarato di ascoltare regolarmente la radio AM/FM in auto, segno che la domanda esiste ancora, anche se neutralizzata dall’offerta. Per questo motivo la NAB e diverse emittenti hanno già chiesto al Congresso di adottare un Radio Mandate Act volto ad obbligare i costruttori automobilistici a mantenere un accesso broadcast gratuito per tutti i modelli venduti sul territorio americano.

Il cruscotto digitale e la nuova battaglia per la prominence

In realtà, la mossa di Tesla accentua una tendenza globale già in atto: quella di rendere l’automobile una piattaforma digitale, dove i servizi broadcast spesso sono confinati nel sottomenù di sistemi sempre più dominati da streaming (lineare oppure on demand sotto forma di podcast e musica liquida), mappe, coordinati da onnipresenti assistenti vocali.

Radio Ready?

Nel contesto europeo, la European Broadcasting Union (EBU) ha reagito a questo scenario con una strategia coordinata, lanciando l’iniziativa Radio Ready, volta a garantire la presenza strutturale della radio (FM, DAB+, IP) sui cruscotti digitali delle connected car. L’obiettivo è duplice: assicurare la prominence — cioè la visibilità immediata e non penalizzante della radio nei menu infotainment — e mantenere la funzione di servizio pubblico che la radio svolge da quasi cento anni (la prima autoradio risale al 1930 ad opera della Galvin Manufacturing Corporation col modello Motorola 5T71).

EBU: ora o mai più

Del resto, la battaglia per la prominence non può essere combattuta a valle: una volta che gli standard di interfaccia ed i sistemi operativi automobilistici (Android Automotive, Android Auto, Apple CarPlay, Samsung Auto, ecc.) avranno consolidato le proprie logiche di priorità, sarà quasi impossibile recuperare spazio. “Se la radio non sarà nativamente integrata nei sistemi digitali delle auto — affermano i tecnici EBU — rischia di diventare un’app qualsiasi, relegata nel sottobosco dell’interfaccia.”

Non basta difendere il passato

Per parte propria, James Cridland, futurologo del settore radiofonico internazionale, lo ha sintetizzato con un avvertimento letto su Newslinet qualche settimana fa:L’automotive sta rendendo sempre più difficile trovare la radio sul cruscotto. Non possiamo limitarci a difendere il passato: occorre pretendere una prominence per la radio come bene pubblico.”

L’Italia in prima linea: il MIMIT notifica a Bruxelles l’obbligo del ricevitore broadcast

Nel frattempo, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) ha scelto una via più assertiva. Come annunciato in anteprima su queste pagine, è stata notificata alla Commissione Europea (notifica n. 2025/0550/IT) una proposta del MIMIT (su evidenziazione di Agcom, sollecitata dai broadcaster italiani) di modifica dell’art. 98-vicies-sexies del Codice delle comunicazioni elettroniche (D. Lgs. 259/2003), per introdurre l’obbligo di dotare tutti i nuovi veicoli connessi di un ricevitore in grado di captare i segnali FM e DAB+.

Una norma con duplice funzione

Da un lato, la misura mira a impedire che i costruttori — come Tesla negli USA, ma anche Stellantis e Renault in Europa — eliminino completamente i ricevitori broadcast, lasciando il cittadino dipendente dalla sola connessione IP (e dal loro controllo di somministrazione); dall’altro, intende tutelare il pluralismo informativo e la sicurezza pubblica, garantendo la possibilità di ricevere messaggi di emergenza anche in assenza di connettività mobile.

Senza connettività si fermerebbe comunque tutto

Posizione contestata dall’industria automobilistica che – in maniera oggettivamente non peregrina – oppone che in assenza di connettività gran parte delle emittenti sarebbe comunque muta con i propri impianti via etere, considerato che ormai la contribuzione avviene perlopiù via IP e non con ponte radio (così come molti aspetti connessi alla produzione dei contenuti).

Neutralità tecnologica ed interoperabilità

Ma la posizione istituzionale è essenziale di principio: nella sua proposta di modifica il MIMIT ha evidenziato all’UE come la dotazione obbligatoria di ricevitori FM/DAB+ sia coerente con la normativa europea sulla neutralità tecnologica e con il principio di interoperabilità dei servizi audiovisivi. L’obiettivo politico è infatti quello di “assicurare un accesso gratuito, universale e resiliente ai contenuti radiofonici, indipendentemente dalle scelte dei costruttori automobilistici e dagli abbonamenti digitali”.

Un mercato in crescita

La misura interviene in un contesto per qualche verso favorevole: secondo le rilevazioni di GfK e WorldDAB, la quasi totalità delle nuove immatricolazioni in Italia dispone già di ricevitori DAB+, mentre nelle aree metropolitane di Milano e Roma, sono sintonizzabili più di 230 contenuti digitali terrestri radiofonici, segno di un’offerta che ha raggiunto una massa critica. La norma, se approvata definitivamente, rafforzerebbe dunque un trend di mercato, più che imporre un onere tecnico.

Le ragioni tecniche dietro la resistenza dei broadcaster

D’altra parte, la radio in auto in Italia, rappresenta quasi l’80% della fruizione complessiva (non è così in altri paesi, come Svizzera e UK). Per molte emittenti, conseguentemente, le quattro ruote costituiscono l’ambiente di ascolto più stabile, dove il passaggio alla fruizione digitale (DAB/IP) è naturale e non deve tradursi in esclusione.

Broadcast vs IP: una convivenza necessaria

Secondo gli editori, le reti broadcast (FM/DAB) garantiscono copertura continua, costi marginali nulli per l’utente e assenza di congestione, mentre l’IP, pur offrendo personalizzazione, metadati e tracciabilità, soffre di latenza e limiti di banda. E’ invece ormai irrilevante la dipendenza da abbonamenti, basati tutti su tariffe flat con un numero di GB concretamente inutilizzato dagli utenti.

Il rischio

Il vero rischio, evidenziano i broadcaster, è che le case automobilistiche — interessate a monetizzare i dati di traffico e le app — preferiscano promuovere l’ascolto IP, marginalizzando il broadcast che non genera revenue dirette.

Un equilibrio fragile

Per questo motivo la battaglia non è solo industriale, ma giuridica e culturale: la radio, quale infrastruttura di servizio universale, rivendica il diritto a essere presente come funzione nativa nei sistemi digitali del futuro.

La questione europea

Così, mentre gli USA lasciano la partita al mercato, l’Unione Europea sembra voler disegnare un approccio più sistemico. Un processo che parte da lontano: la Commissione, attraverso la Direttiva (UE) 2018/1972 ha stabilito che i ricevitori automobilistici debbano supportare almeno uno standard di radiodiffusione digitale terrestre (DAB+).

Difesa bucata

Una difesa però bucata dall’automotive che, come avevamo avvertito sin dal 2021 su queste pagine, avrebbe potuto facilmente aggirare il vincolo sopprimendo l’autoradio (posto che l’obbligo era relativo ad essa e non all’auto in generale).

Interoperabilità e regolazione unitaria

Il passo successivo, già in discussione a Bruxelles e Strasburgo, riguarda quindi (e molto più opportunamente) la prominence dei SIG (Servizi di Interesse Generale, cioè le emittenti lineari dotate di testata giornalistica e munite di un provvedimento autorizzativo all’esercizio): l’idea che le piattaforme, comprese quelle automobilistiche, debbano garantire un accesso “equo, facile e neutrale” ai contenuti di interesse pubblico, tra cui la radio.

Digital Services Act (DSA) eMedia Freedom Act (MFA).

In tal senso, l’EBU spinge affinché il principio di prominence venga incluso nelle linee guida del Digital Services Act (DSA) e del Media Freedom Act (MFA). La logica è semplice: “Non basta che la radio sia presente — deve essere visibile e facilmente accessibile.”

L’impatto economico e pubblicitario: un settore da quasi 500 milioni a rischio

La posta in gioco è notevole: nel mercato italiano la radio genera poco meno di 500 milioni di euro annui di raccolta pubblicitaria, di cui oltre il 60% legato all’ascolto in auto. La scomparsa o la marginalizzazione della radio dai cruscotti digitali (a prescindere dalla presenza dell’autoradio) potrebbe quindi produrre un impatto economico diretto sull’intero ecosistema dei media lineari.

Proporzioni

Un recente report di Deloitte per l’EBU evidenzia che ogni punto percentuale di perdita nell’ascolto in auto può comportare fino a 20 milioni di euro di minori investimenti pubblicitari nei principali mercati europei. Inoltre, il valore strategico della radio come punto di contatto locale (servizi, traffico, informazione territoriale) resterebbe irrinunciabile anche nel contesto digitale, dove la personalizzazione rischia di erodere la dimensione comunitaria dell’ascolto.

Gli scenari futuri: radio ibrida e governance condivisa

La transizione inevitabile è verso un modello ibrido broadcast+IP, già al centro di progetti come RadioDNS e delle specifiche EBU per la radio integrata nei sistemi Android Auto/Automotive, Apple CarPlay e Samsung Auto. L’idea è che l’utente non debba scegliere tra DAB e streaming, ma che l’auto commuti automaticamente la fonte in base alla copertura, preservando la continuità d’ascolto e i metadati.

Il messaggio, non il mezzo

Ma soprattutto che la presenza (della radio) come contenuto e non come mezzo, sia impattante sul cruscotto.

Alleanza strutturale tra broadcaster, produttori e regolatori

Perché ciò avvenga, tuttavia, occorre un’alleanza strutturale tra broadcaster, produttori e regolatori.
Gli editori devono fornire metadata standardizzati; i produttori devono adottare interfacce radio-friendly; mentre i regolatori devono garantire che tali standard siano neutrali ed interoperabili.

Conclusioni: il diritto alla radio come bene collettivo

La decisione di Tesla negli Stati Uniti ha il merito di rendere evidente ciò che in Europa si temeva: la radio non è più scontata sull’auto. La sua presenza, un tempo naturale, oggi deve essere difesa e regolata.

Disconnessione culturale

Il rischio è di una “disconnessione culturale”: un’intera generazione di conducenti che cresce senza la familiarità con l’autoradio, sostituendo la continuità lineare della radio con la frammentazione algoritmica dello streaming. L’Europa, e in particolare l’Italia, sembrano aver compreso la posta in gioco: non si tratta solo di conservare un mezzo, ma di tutelare un presidio di pluralismo, sicurezza e coesione sociale. Il passo normativo del MIMIT e le campagne EBU rappresentano la risposta istituzionale più organica finora vista al tentativo di marginalizzare la radio.

Battaglia per il cruscotto è per diritto ad accessibilità all’informazione libera

D’altra parte, la battaglia per la radio nel cruscotto è la stessa di quella per il diritto del cittadino ad un’informazione libera, accessibile e non subordinata a un abbonamento. La radio resta un bene pubblico tecnologico e il cruscotto il suo ultimo presidio fisico. Difenderne la presenza oggi significa decidere se, domani, la radio sarà ancora la colonna sonora universale della mobilità o solo un’app fra le tante nel mare del digitale.

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