OTT. 2022, un anno di turbolenze per il settore xVOD, che vedrà ulteriori scombussolamenti nel 2023. Un’analisi e qualche previsione per il nuovo anno

xVOD

Siamo giunti alla fine del 2022, è dunque il momento giusto per analizzare alcuni dati provenienti dal mondo degli SVOD al fine di comprenderne alcune macro tendenze e cercare con queste di anticipare il futuro.
Lo facciamo sulla base di un interessante studio della “Intelligence Platform” di Variety intitolato “Dare To Stream” e una serie di dati ricavati da Statista, Kantor e altri siti.

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Ma cominciamo con un sospiro di sollievo. Nel 2023 dovremo confrontarci con un acronimo in meno, in quanto la linea che separava AVOD (Advertising-Based Video on Demand) e SVOD (dove – apprendiamo –  la s non significava “streaming” ma “subscription“) è decisamente “blurred.

Puri ed impuri

In altre parole, considerato che anche uno SVOD puro come Netflix offre un piano supportato da pubblicità la distinzione non ha oggi più alcun senso. Parleremo dunque di xVOD.

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Netflix ad-based

Diciamo subito che lo studio non si spinge a fare considerazioni sul successo dei nuovi piani ad-based, lanciati da troppo poco tempo.

Flop. Presunto

A titolo d’inciso notiamo come la stampa si sia prodigata in articoli copia-incolla su un presunto flop di quello di Netflix, basando le proprie considerazioni su meno di un mese di dati e senza alcuna serie storica.

Errori

Per parte nostra riteniamo che si sbaglino, come si erano sbagliati ai tempi dell’altro presunto flop, quello del calo del 0,09% nel numero di abbonati, ma ci torneremo tra qualche mese con dati concreti alla mano.

Bob out, Bob In

Il 2022 è stato l’anno in cui tutta l’industria si è resa conto che il vecchio indicatore dello stato di salute del business – il numero di abbonati – era errato. Ne sa qualcosa Bob Chapek.

Crescite e crolli

Si, perché la crescita dei clienti a costo di perdite colossali e conseguente depressione del titolo in borsa non è più né accettabile né sostenibile. Meglio crescere poco e mostrare un bilancio in attivo.

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Titoli in borsa: Netflix (blue) vs Disney (in verde)

Netflix vs Disney

I conti sono presto fatti. Nel 2022 Disney+ ha aggiunto 34,4 milioni di abbonati perdendo 1,43 miliardi di dollari nel solo terzo trimestre (“fourth quarter“). Nello stesso periodo Netflix è cresciuta di 3,4 milioni di abbonati, con profitti per quasi 6 miliardi di dollari (“‘$5 to $6 billion annual operating profit“).

Lettera agli azionisti

Quest’ ultimo dato non è mai riportato dalla stampa copia-incolla, tanto che per trovarlo abbiamo dovuto ricorrere alla lettera agli azionisti di fine ottobre 2022.

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Nuovi abbonati- Rosso: Apple TV+, marrone: Amazon Prime Video, Giallo: Disney+, Blu: Netflix (fonte: Kantar)

Troppi players

Illustrando i grafici a torta che riportano la crescita degli abbonati di ciascun xVod, Variety rileva la – a loro dire – evidente necessita’ di un consolidamento del settore: meno piattaforme ma più solide.

Piani

In questo senso sembrano andare i vari piani di fusione tra HBO Max e Discovery+, NBC Universal (Peacock) con Warner, mentre anche Paramount starebbe valutando il “merge” del servizio Paramount+ con ShowTime.

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Il Signore dei pacchetti

Il 2022 è stato l’anno in cui Amazon Prime ha mostrato di voler giocare nella serie A degli xVod: con il lancio di un vero blockbuster come “The Lord Of The Rings: The rings of Power” e con l’esclusiva dei giovedì notte della NFL la società fondata dal signore dei pacchetti, Jeff Bezos, ha mostrato una strategia quasi diametralmente opposta a quella di Apple TV+ (quantity over quality).

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Numeri e titoli a confronto

Il documento di Variety contiene anche un’utilissima tabella che mette a raffronto alcuni indicatori essenziali dei vari operatori: la data di lancio, il numero di abbonati, i prezzi sul mercato nord americano, alcuni tra i principali titoli originali del 2022 e la data di morte (quest’ultimo dato esclusivamente pertinente a Quibi, il xVod multi aspect-ratio noto per aver bruciato 1,75 miliardi di dollari in sei mesi di vita).

Dati parlanti

I dati parlano da soli, inutile qui commentarli.

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Premio Fedeltà

Terminiamo con due indicatori tipici del mondo delle Telco. Il primo è il “net addiction“, il saldo tra nuovi abbonati e utenti che abbandonano le piattaforme (a volte chiamato churn rate).

Cancellazioni

Dato  notevole, in quanto non siamo sicuri se fosse noto come il numero di cancellazioni sia dello stesso ordine di grandezza di quello dei nuovi abbonati, al punto che il saldo cumulativo per tutti gli operatori è a malapena positivo.

Suggerimento

Decisamente gli xVod avrebbero bisogno della consulenza dei due geniali inventore del Premio Fedeltà.

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ARPU

Il secondo dato è l’ARPU, Average (monthly) Revenue per User o ricavo mensile medio per utente. Dato questo che sintetizza quanto vale ciascun abbonato e che è ricavato dalla somma del ricavo medio dall’abbonamento mensile con i ricavi ottenuti inviando nel mese le varie pubblicità al singolo abbonato (che potrebbe non coincidere con “utente”, considerato l’alto livello di condivisione di password).

Primo posto

Anche in questo caso Netflix si posiziona al primo posto, con quasi 10 dollari/mese contro una media del settore pari a 3,28 dollari/mese.

Pubblicità

Non potendo aumentare ulteriormente il costo degli abbonamenti – già ritoccato numerose volte negli scorsi anni – Variety ritiene che sarà proprio la pubblicità a guidare la crescita dell’ARPU nei prossimi anni.

Musichetta di riempimento

Risulta dunque evidente come l’overbooking di pubblicità (venderne più di quanta si pensa se ne possa erogare) sia essenziale in questa fase di attivazione dei piani AVod per evitare l’effetto equivalente alla “musichetta insignificante di riempimento dei cluster pubblicitari” con cui tutt’ora alcuni network radiofonici italiani ci deliziano.

Questione di concetti

Ma questo gran parte della stampa non arriva proprio a comprenderlo. (M.H.B. per NL)

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