Radio Tv. Sotto questo segno vincerai: la rincorsa a marchi evocativi e suggestivi si accentua con la perdita di rilevanza dell’over the air

segno distintivo, Samsung Tv Plus, 70-80.it

Per decenni, il vantaggio competitivo di una stazione radiofonica o televisiva è stato legato ad elementi tangibili: prima la frequenza di trasmissione e la sua potenza, poi la numerazione automatica (LCN) nelle tv digitali, o più in generale la posizione occupata nell’ecosistema lineare (Rai Uno, Due, Tre, Rete 4, Canale 5, La 7, Nove, Canale 11, ecc.).
Oggi questi asset, un tempo così centrali da essere stati elevati a ID (Radio 105, Radio 101, RTL 102.5, ecc.), stanno progressivamente perdendo rilevanza e significato stesso, diventando, anzi, una zavorra di cui non raramente si chiede conto (perché 105?).
E mentre l’eredità analogica (o digitale d’esordio) evapora, cresce l’importanza del segno distintivo del contenuto, iconizzato sui dispositivi connessi e pronunciato come comando preciso di somministrazione.

Sintesi

Il segno distintivo, che comprende marchio, insegna e, nella accezione specifica dell’ambiente radio-tv, layout editoriale, sta assumendo un ruolo centrale nell’ecosistema radiotelevisivo post-broadcast.
Frequenze FM e numerazioni LCN, un tempo asset primari, perdono progressivamente di significato in favore di icone, app e algoritmi di raccomandazione.
La disintermediazione delle reti broadcast da parte dei sistemi IP based modifica il percorso di accesso ai contenuti: lo smartphone, le smart tv e soprattutto gli smart speaker ed i sistemi integrati nei dashboard delle auto Android Auto e Apple CarPlay, guidano la scelta dell’utente.
In questo scenario, l’ID deve essere breve, pronunciabile, evocativo e non ambiguo, perché la ricerca vocale privilegia solo nomi forti e memorabili.
I metodi di valutazione multilivello dei segni distintivi, individuano criteri semantici, fonetici, algoritmici, giuridici, strategici ed emotivi come fondamentali nella scelta di un marchio.
Un ID ben costruito non solo garantisce un accesso facilitato e migliore collocazione algoritmica, ma influenza anche le indagini CATI, in cui la memoria selettiva degli intervistati premia i nomi identitari.
Lato proprio, la giurisprudenza limita la protezione di claim descrittivi o deboli, ma amplia la tutelabilità a format, jingle e layout. La registrazione del segno diventa così non solo difesa legale, ma patrimonializzazione: il brand è valutato come bene immateriale nei bilanci e nelle operazioni societarie.
La nuova geografia mediale impone un cambio di paradigma: non sono più le onde radio a garantire la voce di un’emittente, ma la forza del suo nome.

Il segno distintivo nell’era IP

Il segno distintivo di un prodotto (che include elementi come il marchio e l’insegna), con la disintermediazione delle reti broadcast (cioè la progressiva emarginazione delle piattaforme distributive via etere, over-the-air, a favore di quelle IP, over-the-top) è ormai assurto, insieme al formato, ad asset primario delle emittenti radiotelevisive.

Dalle frequenze alle icone: la rivoluzione silenziosa della disintermediazione

Per decenni, il vantaggio competitivo di una stazione radiofonica o televisiva è stato legato a elementi tangibili: prima la frequenza di trasmissione in FM, AM, UHF, VHF e la sua potenza radioelettrica, poi la numerazione automatica (LCN) nei decoder e tv digitali, o più in generale la posizione occupata nell’ambiente lineare. Oggi questi asset, un tempo così centrali da essere stati elevati a segno distintivo (Radio 105, Radio 101, RTL 102.5, ecc.), stanno progressivamente perdendo rilevanza e significato stesso, diventando, anzi, una zavorra di cui non raramente si chiede conto (perché 105?).

Percorso di ingresso dell’utente al contenuto

La progressiva disintermediazione delle reti broadcast – ovvero la sostituzione dell’accesso over-the-air con quello over-the-top  (letteralmente al di sopra, perché over IP) – ha cambiato radicalmente il percorso d’ingresso dell’utente al contenuto. Nessun ascoltatore cerca più la frequenza sul quadrante della radio (che invero nemmeno esiste più): la selezione è demandata al sistema. Dall’app sullo smartphone – sia essa singola del contenuto o aggregatrice di più contenuti – all’invocazione per lo smart speaker; dalle icone sulle smart tv ai sistemi di car entertainment con integrati Android Auto ed Apple CarPlay, il gestore integrato nel device individua la migliore soluzione disponibile in tempo reale in un dato contesto.

I telespettatori dimenticano gli LCN

Allo stesso modo, nell’ambito del logical channel numbering introdotto in Italia 25 anni fa, i telespettatori stanno dimenticando gli identificatori LCN minori, metabolizzando un’esperienza basata su icone nella home page delle smart tv e su algoritmi di raccomandazione. In questo nuovo contesto, un efficace segno distintivo ed un coerente ed efficace layout editoriale si impongono come asset primari. Nomen omen: mai come oggi il segno distintivo di un’impresa radiotelevisiva racchiude la sua stessa essenza editoriale.

Il nome come chiave d’accesso nei sistemi vocali

Se la televisione lineare è stata travolta dall’onnipresenza delle smart tv, il mondo radiofonico si confronta con una rivoluzione forse ancora più radicale e silenziosa, nonostante la sua sonorità: la diffusione della ricerca vocale. Il principio di funzionamento degli smart speaker – già protagonisti nelle case – sta ora colonizzando l’automotive grazie all’integrazione con Android Auto e Apple CarPlay, predisposti per la gestione di contenuti e servizi con interrogazione vocale.

Salto cognitivo

Questo passaggio implica un salto cognitivo: l’utente non scorre più un elenco (peraltro ormai infinito), ma pronuncia un nome. E quell’identificativo deve essere memorizzabile, chiaro, privo di ambiguità fonetiche, evocativo del contenuto. Un marchio lungo, equivoco o descrittivo rischia di essere frainteso, o peggio, non riconosciuto dall’assistente vocale. Da qui la necessità di ID brevi, forti, suggestivi, perché la tecnologia governata dagli algoritmi seleziona e privilegia solo chi riesce a fissarsi nella memoria e a farsi pronunciare correttamente.

Segno e son desto

“Se prima bastava essere visibili sul display dell’autoradio, oggi è necessario essere pronunciabili vocalmente. L’algoritmo non perdona le debolezze linguistiche. Di quanto la corsa ai segni idonei: una ricerca che presuppone un approccio su più livelli, che abbiamo mutuato dal nostro storico modello di valutazione degli asset immateriali radiotelevisivi (frequenze FM, diritti d’uso DTT, numerazioni LCN), il “Metodo Consultmedia©” adottato anche dall’Agenzia delle entrate da oltre 15 anni”, avverte Massimo Rinaldi, ingegnere della società di ibridazione radiotelevisiva Com-Nect (gruppo Consultmedia).
Già, ma quali sono questi livelli?

Il livello semantico…

“Nel nostro modello di intervento (scelta e/o valutazione del valore), l’analisi di un segno distintivo parte dal livello semantico: il marchio deve evocare chiaramente il contenuto, il posizionamento o il target (es. “Radio 24” → informazione 24h) – continua Rinaldi –.

… e di coerenza editoriale (nomen omen)

Il secondo livello di approfondimento è la coerenza editoriale (nomen omen): il nome deve rispecchiare l’identità della stazione e la sua “mission” (musica, talk, news, intrattenimento, es. “Giornale Radio” → informazione tout court). Il terzo livello di intervento che, come Consultmedia, sfruttiamo è quello della evocatività: meglio se porta con sé un immaginario o un’emozione, evitando descrittori piatti o troppo generici.

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Livello fonetico, algoritmico, giuridico

Il nostro approccio prosegue col livello fonetico, dove rilevano pronunciabilità (il segno deve essere facile da pronunciare in modo naturale, senza incertezze), memorabilità (deve restare in mente dopo una sola esposizione, meglio se breve, con massimo due o tre sillabe forti), neutralità linguistica (attenzione ai mercati plurilingue o internazionali: parole che suonano bene in italiano potrebbero risultare difficili o ridicole altrove)

Livello algoritmico/digitale

Un livello particolarmente critico è quello algoritmico, che si fonda sulla indicizzabilità – il nome deve essere riconoscibile dai motori di ricerca, dai sistemi vocali (Alexa, Siri, Google Assistant, ma anche da quelli dell’automotive, come Hey BMW, Hey Mercedes) – e dagli algoritmi degli aggregatori e sulla unicità (evitare parole troppo generiche o facilmente confondibili con altre stazioni, che accentuano il rischio di dispersione di traffico e di errori nei sistemi di raccomandazione). Sempre su questo livello il nostro approccio valuta anche la compatibilità vocal search (deve essere compreso correttamente dagli assistenti vocali, senza ambiguità fonetiche)”, puntualizza l’ing. Rinaldi.

Livello giuridico

“Ovviamente una parte rilevante della scelta del segno si basa sulla tutelabilità del marchio. Attraverso i legali di MCL Avvocati Associati, la law firm che lavora in esclusiva per Consultmedia, si verifica la registrabilità (marchi preesistenti, rischio di confusione, distintività). In quasi tutti i casi introduciamo anche la cd “Proteggibilità estesa”, cioè la valutazione se il nome sia difendibile anche in relazione a format, jingle e layout associati, passando per la forza distintiva (i claim descrittivi o troppo deboli – es. “La radio che ti piace” – non sono proteggibili oltre certi limiti”, interviene Alessio Negretti, giurista specializzato in proprietà industriale per Consultmedia.

Livello strategico/editoriale

A livello strategico/editoriale rilevano scalabilità, longevità e neutralità tecnologica: “Il nome deve poter accogliere eventuali estensioni di brand (derivati, versioni digitali, podcast verticali), deve evitare mode o riferimenti datati che rischiano di invecchiare presto e non deve legarsi inscindibilmente ad una piattaforma o standard destinato a scadere (come FM, digitale terrestre, satellite)”, sottolinea Negretti.

Livello psicologico/emotivo

L’ultimo livello di approccio del metodo Consultmedia per la scelta e la valutazione economica di un segno distintivo è quello psicologico. “Sul punto rilevano l’engagement emotivo, cioè la capacità del marchio di generare affezione, identità comunitaria e senso di appartenenza; il valore simbolico (il nome diventa bandiera culturale, non solo identificativo (vedi casi storici come Virgin o Radiofreccia)”, riprende la parola l’ing. Rinaldi.

Effetti sulle indagini d’ascolto: CATI e memoria selettiva

Il brand forte non vince soltanto nel percorso di fruizione, ma anche in quello della misurazione. Le indagini basate sul metodo CATI (Computer Assisted Telephone Interviewing), come lo era TER – Tavolo Editori Radio e lo è Audiradio, presuppongono la capacità del rispondente di ricordare e riferire i nomi delle emittenti ascoltate. In questo meccanismo, la forza distintiva del marchio diventa cruciale. Nomi suggestivi o caratterizzanti tendono a fissarsi nella memoria, venendo riportati con maggiore frequenza, a scapito di sigle generiche o simili a concorrenti.

Vantaggio competitivo del segno distintivo

Ciò, come abbiamo osservato più volte su queste pagine, genera un vantaggio competitivo implicito nelle rilevazioni di audience, traducendosi in quote di mercato pubblicitario più elevate. Un marchio debole, invece, rischia di sparire non solo dalla mente dell’ascoltatore, ma anche dai report che definiscono i valori di mercato.

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MCL Avvocati Associati – Consultmedia

Algoritmi e piattaforme di aggregazione: la semantica del brand

Un ulteriore elemento di selezione arriva dagli algoritmi delle piattaforme di streaming e aggregazione radiofonica. TuneIn, MyTuner, FM World e simili applicano sistemi di associazione semantica che riconoscono con maggiore precisione marchi univoci, chiari e intellegibili.

Le genericità non sempre paga

Un nome troppo generico rischia di confondersi con altri contenuti o addirittura di non essere correttamente indicizzato, con conseguenze dirette sulla visibilità della stazione. Viceversa, un segno distintivo caratteristico beneficia di una migliore collocazione nelle ricerche e nei suggerimenti algoritmici. In questo senso, la scelta del marchio diventa non solo una questione legale o editoriale, ma anche algoritmica.

Giurisprudenza in evoluzione: tutela oltre il marchio

L’importanza crescente del brand ha inevitabilmente alimentato il contenzioso. Le fonti giurisprudenziali più recenti (Tribunale di Venezia, in particolare) offrono un quadro complesso: da un lato, viene ribadito il principio per cui claim deboli, generici o meramente descrittivi non possono godere di tutela piena; dall’altro, si assiste a un progressivo ampliamento della protezione verso format, jingle e layout, riconosciuti come asset patrimoniali autonomi.

Nuova concezione della tutela del segno

Diversi organismi hanno ormai accolto la tesi che i format radiofonici depositati e i layout grafici costituiscano beni aziendali proteggibili, al pari di un marchio registrato. Questo apre la strada a una nuova concezione di tutela: non più circoscritta al nome, ma estesa al modello editoriale e al modo in cui esso viene presentato al pubblico”, annota sul punto il giurista Negretti.

La confondibilità dei brand derivati: un’arma a doppio taglio

Un altro terreno delicato è quello dei marchi derivati. Molti gruppi editoriali hanno tentato di rafforzare il brand principale attraverso sottosegnali (suffissi, estensioni, duplicazioni). Tuttavia, come dimostrano recenti analisi sugli effetti nelle indagini CATI, la confondibilità rischia di penalizzare l’emittente madre. In alcuni casi, il brand derivato non aggiunge ascolto, ma lo sottrae al segno principale, disperdendo l’audience complessiva e indebolendo l’identità principale. Il moltiplicarsi di nomi simili aumenta inoltre la probabilità di dispute legali con concorrenti che rivendicano la priorità su combinazioni simili.

Verso la patrimonializzazione del marchio-editoriale

In questo scenario, la registrazione e la tutela giuridica dei marchi diventano non solo uno strumento difensivo, ma anche un’operazione di patrimonializzazione. Sempre più spesso il brand – insieme al format – è valutato come asset intangibile nei bilanci, incidendo sulle valutazioni societarie in operazioni di cessione, fusione o acquisizione. La stessa giurisprudenza, ampliando i confini della protezione, favorisce questa evoluzione, di fatto incoraggiando gli operatori a considerare il nome come bene monetizzabile e trasferibile, al pari di frequenze o immobili.

Trasformazione strutturale

Il mercato radiotelevisivo si trova dunque davanti ad una trasformazione strutturale. Frequenze e LCN perdono progressivamente significato; icone, algoritmi e dispositivi smart, guidati dall’intelligenza artificiale, ridisegnano i percorsi di fruizione; i tribunali ampliano la nozione di tutela; la pubblicità si orienta verso brand forti, ricordabili e distintivi.

In hoc signo vinces

In questo contesto, il nome diventa la chiave di tutto: strumento di accesso, parametro di rilevazione, garanzia giuridica, asset patrimoniale. “Non sono più le onde radio a portare la voce dell’emittente, ma il suo nome a veicolare il segnale attraverso le piattaforme digitali”, sintetizza l’ing. Rinaldi.

Istinto di sopravvivenza nella nuova geografia mediale

Chi non comprende questa metamorfosi rischia di ipotecare il proprio futuro: nella nuova geografia mediale, sopravviveranno soltanto quei brand capaci di coniugare identità editoriale, tutelabilità giuridica e forza semantica nell’ecosistema digitale”. (E.G. per NL)

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